Domenica 25 maggio gli elettori europei avranno tra le mani un foglio rettangolare sul quale esprimere il proprio punto di vista sull’Europa. Sarà non una semplice scheda elettorale, ma una scheda di valutazione.
Una parte di elettori voterà per gridare sulle piazze di Strasburgo e di Bruxelles quel bisogno di novità che, già foriero di divisioni nel piccolo dell’Italia, tenterà di sovvertire il metodo delle negoziazioni sui tavoli politici e di promuovere, con contestazioni a tutto campo (si immagini l’urto di questo metodo con le democrazie estere ben più consolidate dell’italiana), un rinnovato rigore in nome della società sana. Un’altra parte esprimerà un giudizio negativo sulla funzione unificante dell’apparato europeo, sostenendo quelle spinte politiche che mirano a liberalizzare le regole per la tenuta dell’intera economia, a conquistare maggiore libertà locale, a far sì che le scelte nazionali non siano controllate dalle istituzioni europee, a pagare il prezzo della predominanza di poche economie statali forti purché arrivino aiuti europei agli Stati in crisi.
Ci sarà invece chi, in pieno spirito europeista, voterà per consolidare i progressi che l’unificazione europea ha garantito in questi anni di faticosa costruzione: prosperità, pace, scambi culturali, azioni sinergiche per la diffusione di una coscienza socio-geografica unificante, scambi tra esperienze di democrazia.
Anche l’astensione sarà una motivazione, espressa al contrario, sul sentimento europeista e sul ruolo delle istituzioni. Alle europee del 2009 (fonte web) ha partecipato il 43 % dei chiamati al voto e, in Italia, il 65 %. Alle politiche italiane del 2013 la percentuale è stata del 75,21 % (fonte: Ministero), ed è presumibile che il 25 maggio a sostenere una buona percentuale sarà la contemporaneità di numerose elezioni amministrative. Le motivazioni dell’astensione possono essere ricercate nella constatazione che i candidati sono lontani dalle realtà territoriali, oppure che non si conoscono bene i programmi elettorali (né gli incontri di pugilato politico dei numerosi programmi televisivi possono dirsi valevoli per la diffusione dei programmi elettorali), ovvero la sensazione che molti candidati siano nomi altisonanti e di mera presa popolare, ovvero ancora che per alcuni candidati il Parlamento europeo sia una casa di riposo per la vecchiaia politica da trascorrere silenziosamente e lontano dall’Italia. Tutto ciò fa sì che le elezioni europee siano avvertite come distanti, non alimentate da una vera partecipazione della base, non precedute da primarie.
E come di solito avviene per ogni astensione, anche alle prossime europee si asterranno coloro che dalla politica aspettano tutto, dal posto di lavoro ad una maggiore giustizia sociale, ma che non muoveranno una matita per tracciare un segno sulla scheda elettorale, fomentando l’inutilità della democrazia elettorale, ma in verità esaltando la propria inutilità. Anche se un punto di ragione gli astensionisti lo hanno: per quanto gradevoli siano gli spot europeisti che passano sui mezzi di comunicazione, le forze politiche italiane puntano poco sulle motivazioni per il voto europeo, preferendo propagandare le proprie risposte ai mali nazionali attraverso il megafono dell’appuntamento elettorale europeo. Anziché pensare alla grande piazza dell’Europa, pensano al cortile dell’Italia. E l’italiano medio, già critico davanti alle amministrative ed alle politiche, vede nelle elezioni europee la superflua ripetizione di un copione fin troppo conosciuto.
Queste contraddizioni fanno permanere la domanda fondamentale su cosa sia l’Europa ed a cosa serva. C’è una coscienza europea, ma forse ne manca ancora l’anima. Ci sono numerose azioni di collegamento, ma ancora non si vede una figura (concettuale) di Stato unico. La diversità delle lingue e degli stili di vita, accompagnata da una non completa diffusione della moneta unica (per la quale si vuole svolgere al più presto in Italia un referendum abrogativo) fa concludere che l’Europa sia un mezzo e non un fine, un taxi da prendere all’occorrenza per mete brevi e convenienti ai singoli Stati ed alle lobbies.
Davvero difficili e piene di motivazioni si presentano le elezioni europee 2014. Tra rivincite nazionaliste e spinte di ritorno al passato, rappresentano il varco per il passaggio, qualora lo si voglia, da una nativa idea di unione tra Governi d’Europa ad un concreto sistema di interdipendenza tra Nazioni. Interdipendenza (favorita negli ultimi tempi con tappe significative come ad esempio la lotta alla corruzione negli appalti pubblici e la regolamentazione della deontologia delle cariche politiche) che non può essere solamente di tipo economico, essendo fondamentale passare dalla reciproca tolleranza tra Stati ai comuni destini tra popolazioni.