Quando i social fanno male ai ragazzi (e non solo a loro)

di Luigi Sparapano

«Qualche volta è più facile esprimere certe cose attraverso uno schermo poichè ci sentiamo più sicuri e non abbiamo il timore di scrivere quello che pensiamo».
É un’affermazione che sintetizza bene la dinamica comunicativa favorita dai social network. La comunicazione vocale, compresa quella telefonica, ci mette in imbarazzo perchè troppo coinvolgente dal punto di vista emotivo; richiede più spontaneità, più immediatezza e più autenticità, cosa difficile da gestire dai ragazzi (quanti TVB scritti sui messaggi e non detti personalmente?).
Qualche dato nostrano
L’autrice dell’affermazione d’apertura fa parte di coloro che, rispondendo ad un’indagine che ho fatto a scuola fra i 13enni, sostegnono di trascorrere mediamente dalle 3 alle 4 ore al giorno on line e che inviano circa 700-800 messaggi al giorno (conteggiati con difficoltà, ma non manca chi arriva ad oltre 2000 messaggi tra vari social). Come si connettono? Prevalentemente dallo smartphone (il 56% del campione), posseduto dal 96% degli studenti, dono ormai classico ricevuto normalmente alla Prima Comunione o, per i più sfortunati, alla Cresima (sigh!).
E se per tanti è solo un modo per sentirsi tra amici, concordare l’uscita serale o scambiarsi i compiti, non mancano i sostenitori del cellulare come mezzo rassicurante per relazionarsi “a distanza” con i coetanei: «Io, attraverso il cellulare, riesco a esprimere meglio le mie emozioni, i miei sentimenti con i miei amici e quindi questo riesce a migliorare i rapporti» riconoscendo che «Io dovrei parlare più volte di persona invece dei messaggi normali che non esprimono nessuna emozione».
In questo diuturno rapporto con lo smartphone, i genitori si intromettono poco: secondo le risposte dei ragazzi, solo per il 20% controllano i contatti e i messaggi, per il 66% impongono delle regole, come orari stabiliti, divieto durante pranzo e cena o durante i compiti, linguaggio corretto e così via. 
Tra i social più usati balza in testa Whatsapp, seguito da Facebook, facendo salire in maniera esponenziale la messaggistica digitale quale modalità comunicativa quasi prioritaria. Ed è facile capire perchè: i ragazzi si stanno disaffezionando a Facebook perchè ambiente più frequentato da adulti ficcanaso, mentre WA consente più riservatezza e selezione del gruppo. 
La perdita di concentrazione
Un recente articolo del quotidiano The Independent riportava i risultati di una inchiesta sulla crescente difficoltà di concentrarsi a lungo su qualcosa, dovuta proprio all’eccessiva esposizione ai media digitali  con il conseguente indebolimento dell’ apprendimento emotivo che invece si sviluppa grazie all’interazione tra persone.
Gli esperti ci dicono che la continua distrazione (per esempio durante lo svolgimento dei compiti) debilita «i circuiti della corteccia prefrontale, la parte del cervello che gestisce l’attenzione, controlla le spinte emotive ed è sede dei processi decisionali e dell’etica». 
Se questo è vero, e non abbiamo motivo di non condividere, possiamo trovare spiegazione a molti comportamenti, compresa una certa tolleranza a reali scene di violenza o di indubbio cattivo gusto che avvengono a scuola o per strada e non suscitano più di tanto ribrezzo o condanna. Quella parte del cervello si sviluppa in età giovanile, da qui le reali difficoltà che si incontrano a scuola come a casa, con le nuove generazioni, sempre meno disposte a svolgere compiti lunghi, che richiedono concentrazione, abituati come sono sin da piccolissimi al multitasking (pensare e fare più cose contemporaneamente). Comprendiamo quanto sia dannoso e quindi deplorevole l’atteggiamento di genitori che concedono lo smartphone o il tablet o altri dispositivi per videogiocare, a bambini in età prescolare. Sempre gli esperti consigliano di interagire quanto più possibile a voce, soprattutto in presenza dei più piccoli, di porre precisi limiti all’uso dei dispositivi e di incentivare attività di interazione tra persone. 
Le persone non concentrate sono in perenne agitazione, guardano tutto e non si fermano su niente.
Il rischio sexting
C’è un ulteriore elemento riscontrato nell’indagine ed è quel fenomeno chiamato sexting mania: lo scambio tramite smartphone o Pc di propri contenuti foto/video a sfondo sessuale. Una ricerca in Italia riporta che circa un ragazzo su dieci ha ricevuto messaggi di questo tipo e il 6% ne ha mandati. Quella scoperta tipica dello sviluppo adolescenziale viene così condivisa, in una esasperata logica narcisistica, tagliando fuori la sfera di una intimità privata e teatralizzando ogni cosa. E la cosa non è senza conseguenze. Lo ha confermato una ragazza nell’indagine da cui siamo partiti: «Un “ragazzo” che viene in classe con me mi chiedeva, quasi ogni giorno, di avere un rapporto sessuale con lui o di inviargli foto del mio corpo. Gli ho sempre detto di no, ma lui insisteva. Devo dire grazie alla mia forza e alla mia fermezza se non sono caduta nel suo tranello. Ho sopportato tutto questo per circa 8 mesi, non ce la facevo più, volevo parlarne con un adulto, ma era imbarazzante per me raccontare tutto questo e sono rimasta in silenzio. Ho tenuto tutto dentro me. I miei genitori si lamentavano della mia arroganza nei loro confronti, i professori si lamentavano del mio disimpegno e della mia disattenzione, ma nessuno in 8 mesi ha provato a chiedermi cosa mi succedesse. L’unica che aveva capito che qualcosa non andava è stata mia sorella, lei è riuscita ad accedere al mio cellulare e ha letto tutti i messaggi di questo “ragazzo”: Grazie ai suoi consigli sono uscita fuori da questa situazione. Ho allontanato questo “ragazzo” e ho iniziato “di nuovo a respirare”.»
Ogni ulteriore commento è superfluo.
Ben vengano allora iniziative come quella appena avviata dall’AC diocesana “#CollegaMenti. Rel@zioni oltre le connessioni”, che ora si disseminerà nelle parrocchie e scuole. Ben vengano forme di autocontrollo come il “No smartphone day” e anche da queste pagine proseguiremo la riflessione.
Ancora una volta è richiesta una grande dose di responsabilità educativa e noi non possiamo venir meno.