L’anno pastorale volge al termine, un’altra estate si presenta davanti a noi carica di attese, di programmi, di sogni alimentati nell’arco di una lunga e impegnativa stagione di lavoro ecclesiale. Ad uno sguardo retrospettivo appare un anno intenso e ricco di eventi. È stato soprattutto l’anno della ricorrenza del ventesimo anniversario della morte di don Tonino, durante il quale abbiamo concluso la fase diocesana del processo di beatificazione; è stato l’anno del cinquantesimo della promulgazione della costituzione conciliare Sacrosanctum Concilium alla quale abbiamo dedicato la settimana biblica; è stato l’anno in cui il tema della speranza, secondo il progetto pastorale diocesano, ha segnato la nostra catechesi e le nostre iniziative.
È stato pure l’anno in cui papa Francesco ci ha fatto dono della sua prima Enciclica, Lumen Fidei e della Esortazione apostolica Evangelii Gaudium a conclusione dell’ Anno della fede, dove sono contenute le sue speranze per una Chiesa rinnovata.
Non intendiamo fare alcun bilancio, ma se diventa proprio inevitabile al temine di quest’anno pastorale, facciamone uno che non sia consuntivo bensì preventivo. Un bilancio, cioè, che riguardi non il passato, ma il futuro. Per essere più espliciti: pensiamo a quello che possiamo fare d’ora in avanti; quello che ci chiede di fare in questo momento storico la Chiesa e la società. E obiettivamente, nulla ci sembra di più urgente che continuare ad essere seminatori di speranza. Spesso lo stesso pontefice, papa Francesco, sollecita in questa direzione. Non manca occasione per ripetere, soprattutto ai giovani: «Non lasciatevi rubare la speranza!». Lo ha fatto anche nel recentissimo viaggio a Cassano allo Jonio. D’altra parte, sappiamo bene che la speranza è una dimensione fondamentale dell’uomo, senza la quale la vita stessa non respira, non ha senso. È per questo che la Chiesa e i cristiani non possono disattendere questo aspetto. Essi sanno che devono reagire alla tentazione della rassegnazione. Ma sanno pure che la speranza si nutre di segni. Il cristiano non è solo colui che raccoglie, ma anche colui che semina.
Il nostro progetto pastorale, perciò, continua proprio con questa attenzione ai segni. L’anno prossimo, infatti, il progetto prevede che il discorso dell’educazione si debba coniugare con la carità (tra-ducere). La speranza evangelica e anche la speranza autenticamente umana, non possono germogliare o consolidarsi se non attraverso la fantasia della carità che si esprime concretamente nei segni visibili e invisibili di amore e di vicinanza verso tutti e in particolare verso i più bisognosi.
La presenza tra noi, in questi giorni, di S.E. Mons. Francesco Montenegro, arcivescovo di Agrigento e quindi di Lampedusa, luogo di frontiera e di accoglienza, di drammi e di slanci caritativi, si colloca in questa prospettiva. Così pure il Convegno ecclesiale diocesano previsto per settembre prossimo, nel quale avremo la presenza del direttore della Caritas Italiana, Mons. Francesco Soddu, ci vuole predisporre per questa avventura e questa sfida comunitaria di saper ‘abitare le periferie’ dell’uomo di oggi.