Il terzo momento del progetto diocesano Alla scuola del Vangelo: educarsi per educare si concentra sull’ambito della carità, impegno del singolo credente e di tutta la comunità a tra-ducere nella quotidianità l’essere cristiani. La fede che nasce dall’ascolto e si conferma nella celebrazione del Signore della vita, solo nella testimonianza dell’amore si irrobustisce e produce i frutti che generano ulteriori semi di speranza.
Educarsi ed educare alla carità, dunque, al passo con le opere solidali che si compiono per trasmettere non solo l’aiuto umano ma l’amore stesso di Dio per ogni uomo e ogni donna. Amati non solo perché bisognosi ma perché facenti parte dell’unica famiglia umana.
La carità si fa sempre all’interno di relazioni umane: relazioni interpersonali, sociali, politiche, nella storia concreta di un tempo e di uno spazio. In tal modo la carità narra che Dio è amore (1Gv 4,16), e trova in Gesù Cristo la sua pienezza; la carità suscitata dall’azione dello Spirito e che “appartiene alla natura della chiesa ed è espressione irrinunciabile della sua stessa essenza” (Deus caritas est, 25).
Nel prossimo anno pastorale, certo, ci sarà data occasione per verificare lo stato delle nostre caritas e la consistenza delle nostre azioni caritative.
Ma educare alla carità non può assolutamente significare limitarsi a raccogliere, magari lamentandosi, dati utili per sapere cosa si è fatto e che cosa la Caritas diocesana o parrocchiale non ha fatto e dovrebbe fare. No. I singoli credenti, devoti e zelanti delle tante espressioni religiose, parrocchie, associazioni e movimenti, impegnati lodevolmente in svariate attività pastorali, anzitutto devono ricordare che la pastorale della carità è altrettanto fondamentale, almeno quanto la pastorale catechistica e quella liturgica.
Siamo invitati e continuamente stimolati a incarnare il Vangelo della Carità, che si caratterizza nella comunicazione di una serie di contenuti e nella testimonianza di gratuità e di coerenti stili di vita.
L’azione caritativa dei credenti non può ridursi solo a fare il bene, ma deve essere un’azione che anche nelle modalità con le quali è esercitata manifesti Dio-Amore. E questo deve iniziare all’interno delle stesse comunità, nelle quali sperimentare una vita vissuta bene, con stili e comportamenti improntati alla fraternità, alla solidarietà e alle opere di misericordia.
Le persone in difficoltà e profondamente segnate dalla povertà sono in mezzo a noi, e a volte non abbiamo ancora l’occhio abilitato a vedere, forse perché non ci si educa insieme ad essere più attenti alla vita di chi ci sta vicino, e a cercare nel proprio territorio i poveri che il Signore Gesù ci ha lasciato in eredità.
è tempo, quindi, di riproporre l’esperienza del volontariato, debitamente motivato e preparato. Volontariato effettivo esiste già a vari livelli nella vita pastorale delle nostre comunità. Tuttavia l’esigenza che il Progetto Pastorale Diocesano ci indica è la seguente: “Il valore della gratuità che la comunità difende non va solo attribuito alla propria attività di volontariato, ma deve diventare testimonianza anche per l’impegno nelle attività non-profit del terzo settore. Ciò che il volontariato testimonia altro non è che il paradigma della vita personale e lo stile con cui vivere le relazioni anche nella professione, nella quotidianità della vita. è necessario che riemerga la funzione pedagogico-educativa del volontariato…” (PP 2.3).
Le nostre comunità potranno trovare in queste indicazioni e nella loro realizzazione un valido aiuto ad essere più attente ai bisogni delle persone, a consolidare la propria presenza nel territorio, a ritrovare l’unità tra catechesi liturgia e carità, a riscoprire la forza profetica del Vangelo, a praticare uno stile di chiesa più coerente e, non ultimo, a rilanciare l’impegno per la costruzione della giustizia sociale.