Gentile Direttore e gentile Priore Pignatelli,
leggo con un senso di disagio e con fatica ‘ già dal titolo – l’editoriale apparso su LeV on line, riferito al nient’affatto ‘presunto’ inchino del simulacro della Madonna delle Grazie davanti alla casa di un noto boss della ‘ndrangheta locale. Un’inquietudine acuita dal testo dell’articolo. A mio avviso, mai come in questi frangenti, occorre decidere da che parte stare, senza fraintendimenti e senza distinguo. Si tratta di un modo di leggere avvenimenti e fatti che esige chiarezza, per spazzare via ogni commistione dubbia e sospetta. Per tanto tempo, abbiamo avuto una Chiesa a doppia velocità: quella della denuncia scomoda, capitanata dai cosiddetti preti di strada, sempre molto borderline, nell’immaginario collettivo poco sponsorizzati dalla Chiesa ufficiale (nonostante secoli di pronunciamenti e di Dottrina Sociale) e quella del silenzio ecclesiale, alle volte accondiscendente nei confronti del potente di turno o peggio della malavita locale, un atteggiamento fatto passare per pietosa accoglienza di chi sbaglia.
Ora che finalmente si respira aria di velocità unica e volontà di pulizia senza ritorni indietro, ora che abbiamo l’occasione per dire in coro un NO netto, deciso e definitivo a certe discutibili usanze mascherate per rituali di pietà popolare, ecco che ci esercitiamo in farraginosi arrampicamenti sugli specchi. Mi spiego meglio: l’articolo sembra indicare come forma di carità la sosta della processione presso la casa di un’anziana consorella, come un atto ‘umano’di riconoscenza a chi ha dedicato la sua vita alla devozione di un santo. L’accostamento è facilmente intuibile: anche il mafioso di Oppido Mamertina era anziano e malato e generoso sovvenzionatore, dunque anche quell’inchino, se vogliamo, è stato un gesto di carità! Questo edulcorare la pillola, senza sottolineare certe forme devozionali distorte, da ‘pervertimento religioso’, mi sembra fuorviante e pericoloso. Minimizza quanto è accaduto e invita a darne una lettura persino positiva. E stai a vedere che alla fine si è interpretato tutto in maniera sbagliata, esagerata, la verità è molto più banale e confortante.
Personalmente credo che le confraternite avrebbero molto da dire e fare sul versante della carità, come, del resto, dice il loro Statuto. La cura della carità verso i poveri , non occasionale e non relegata ad atti eclatanti né a voglia di tenerezza, dovrebbe di gran lunga superare l’impegno per l’estetica delle processioni e del loro innegabile, folkloristico contorno. Ridiscutiamo, dunque, sul dovere della carità e prendiamo le distanze in modo netto da certe pericolose derive: gli inchini, si sa, causano naufragi.
Angela Paparella, presidente diocesano di Azione Cattolica