Non nascondo la tentazione istintiva di dissuaderla dal legarsi ad appartenenti ad altre religioni, preso come sono, e lo siamo un po’ tutti, da uno sconforto nei confronti di chi oggi, a cento anni dalla prima guerra mondiale e a settanta dalla seconda, dopo le tragedie umanitarie che la storia ha catalogato, sembra non aver capito alcun insegnamento, ancor peggio se mosso da motivazioni religiose (o pseudo tali). In questo quadro leggiamo il conflitto tra Israele e Hamas e il cruento stato islamico che ci sospinge di almeno 500 anni indietro nella storia. Sembrava dovessero essere eventi di minore portata, invece si tratta di fuoco che covava sotto le ceneri della disinformazione.
Perchè il conflitto israelo palestinese non è mai terminato, ma soltanto sopito in alcuni periodi per riaccendersi in altri. E proprio quando il Papa ha tentato di farsi mediatore tra le parti con l’incontro dell’8 giugno in Vaticano, ecco scoppiare, con più veemenza, una lotta violenta inconcepibile, di fronte ad una ONU impotente; il Papa, voce quasi solitaria, ha continuamente esortato le autorità locali e internazionali “a non risparmiare la preghiera e alcuno sforzo per far cessare ogni ostilità”; Francesco ha auspicato anche che non ci sia mai più guerra e ha invocato “il coraggio di compiere gesti concreti per costruire la pace”. “Rendici disponibili ad ascoltare il grido dei nostri cittadini che ci chiedono di trasformare le nostre armi in strumenti di pace, le nostre paure in fiducia e le nostre tensioni in perdono”. La tregua che registriamo in questi giorni sarà infruttuosa se non si procede a porre mano ad un chiaro progetto di convivenza tra i due Stati.
Una precisa responsabilità a riguardo l’abbiamo noi Italiani dal momento che Israele è uno dei nostri principali acquirenti di armi, anzi proprio durante i raid aerei su Gaza venivano inviati dal gruppo Finmeccanica i primi due aerei M-346 alla Forza aerea israeliana. Insomma da una parte si invoca il cessate il fuoco, dall’altra si foraggia la guerra.
Stessa situazione in Iraq, dove il nunzio a Baghdad, l’arcivescovo Giorgio Lingua, in una recente intervista a Radio Vaticana, ha detto: “Il problema principale è quello delle armi. Mi domando come fanno (gli jihadisti, ndr) ad avere certe armi così sofisticate”. Ed ancora, in riferimento ai raid americani: “Purtroppo si interviene per riparare ad una situazione che forse si poteva prevenire, ma è bene quando si riesce a togliere almeno le armi dalle mani di questa gente che non ha scrupoli”. Quanto anche auspicato dal Papa che ha chiesto di fermare il genocidio.
Sull’altro versante mediorientale la persecuzione dei cristiani, come anche di altre minoranze islamiche, ci interpella sul vivo. Già in altre circostanze abbiamo sollevato da queste colonne la riflessione a riguardo; il 2 agosto abbiamo anche pregato insieme, presso la Basilica Madonna dei Martiri, per invocare la pace e offrire il nostro tributo alla memoria di tutte le vittime innocenti con il simbolico gesto della corona di rami di ulivo e rose bianche (foto in prima pagina) adagiata sulle acque del mare. E se crediamo nella forza della preghiera dovremo ancora continuare, giorno dopo giorno, domenica dopo domenica, a ricordare comunitariamente quanto avviene in un mondo che non è poi lontanissimo da noi.
A questo riguardo si fa più urgente il dialogo con i musulmani che sono tra noi, talvolta quasi invisibili e trasparenti ai nostri occhi, perchè insieme si possa stigmatizzare il male, da qualunque parte provenga. Ancora timida la presa di posizione delle diverse autorità islamiche rispetto a quanto avviene in Iraq, non si registra una netta distanza e deplorazione tali da isolare questi pazzi che, al contrario, suscitano fascini assurdi tra i giovani occidentali. Esperti del settore sostengono che il reclutamento delle forze jihadiste avviene anche nel nostro Paese e sono circa 50 (fonte: Ministero dell’Interno) i giovani italiani, tra i 18 e 25 anni, convertiti, indottrinati e reclutati per combattere in Siria ed Iraq ed immolarsi, sempre a costo della loro vita, al grande e perverso sogno del califfato islamico. Per lo più maschi, settentrionali, convertiti da poco all’Islam, solo un 20% sono figli di immigrati di seconda generazione. Varie procure italiane hanno aperto inchieste per terrorismo e su presunti reclutatori stranieri e si progetta un’osservazione attenta su quanto si predica nelle moschee, su internet e social network.
Allora alla mia cara alunna ho risposto, tra le altre cose, che il matrimonio forse è una questione lontana per due ragazzini, ma è giusto che tra i discorsi e gli scambi di idee che si fanno per conoscersi, non può e non deve mancare un aperto confronto sui valori che fondano la propria vita e quella degli altri, andando a ricercare quello che ci unisce e quello su cui dobbiamo collaborare, chiamando per nome ciò che è male e ciò che è bene.
Quelli della pace, dell’accoglienza, della convivialità delle differenze, sono valori da cui non si può prescindere e se non si è d’accordo su questo difficilmente si può interagire su altro.