Una telecamera di sorveglianza registra l’ennesimo scippo compiuto da due giovani in motorino, ai danni di un’anziana signora, nelle vie di un quartiere di Molfetta. Sarebbe poco più di una notizia di cronaca vera, condita da allegato video, se non fosse per il risvolto tragico e doloroso del fatto stesso: dopo due giorni la signora Giulia, 90 anni, muore a causa delle ferite riportate nella caduta conseguente allo scippo. I due giovani, Pietro e Michele, responsabili del criminoso gesto, sono facilmente individuati e arrestati.
In questa vicenda si incrociano strade e vissuti che portano in sé, senza nasconderli, disagi forti, attese deluse, speranze tradite, esperienze incompiute, fedeltà mancate. E, poi, Giulia, troppo anziana, forse, per attendersi ancora qualcosa di significativo dal futuro, e di certo ignara di ciò che l’attende su quella strada, sempre frequentata e che, nonostante la sua età, la fa sentire ancora viva.
Pietro e Michele troppo giovani, forse, per prendere sul serio pensieri e progetti sul futuro, e troppo condizionati da colpe altrui, da un’infanzia e preadolescenza private di limpidezza, serenità ed esemplarità.
Di fronte alla violenza gratuita e folle, dobbiamo interrogarci, far sorgere domande, anche per non cedere alla rabbia e a reazioni giustizialiste che, seppur comprensibili, non servono a giustificare il deficit di responsabilità che tutti, a diversi livelli, abbiamo in questa vicenda.
Sì, nessun cittadino, men che meno i credenti, possono chiamarsi fuori da questa triste storia, anche se Giulia non è nostra madre o nonna, e Pietro e Michele non li conosciamo, né vorremmo conoscerli per nessuna ragione al mondo. Non si può dire: “È faccenda che riguarda altri; e gli altri?
Che si arrangino”. Non possono dirlo soprattutto i credenti, i cristiani delle nostre parrocchie e associazioni; ora che i percorsi comunitari di fede si stanno concentrando sull’emergenza educativa e sulla proposta ai giovani di costruire un progetto di vita, in questa cultura fortemente a-progettuale.
Proviamo da credenti, che sposano una logica progettuale, a farci carico di questo fallimento consumatosi nelle nostre strade, cercando di uscire dal proprio accartocciamento su noi stessi, nutrito di individualismo e apatia, talvolta con qualche sprazzo di solidarietà, forse per lenire un certo senso di colpa, più che per autentica convinzione.
Certo, nessuno di noi sfugge alla tentazione, in questa civiltà del rischio, di rifugiarsi nel non-rischio, di non voler guardare avanti, ad un futuro che sembra promettere più minacce ed incognite che non sicurezze e speranze.
Come collocare in questa logica a-progettuale il senso e il coraggio del costruire e proporre un progetto di vita? Come recuperare insieme con i giovani la dimensione della libertà che si coniuga alla responsabilità? Come far crescere la capacità di scelta e superare paure e trepidazioni di fronte alle sfide continue di coloro che, a vari livelli, diseducano, sposando la cultura dell’illegalità?
Se accogliamo queste domande e le condividiamo, in confronti costruttivi, con tutti coloro che non vogliono rassegnarsi, se stiamo accanto ai giovani e diamo loro speranza, costruendo e ricostruendo la vita, senza abbandonare le proprie responsabilità, anche quando ogni impegno sembra inutile, allora saremo persone che scelgono di agire nel quotidiano, e non solo di reagire quando gli eventi si fanno tragici.
Lo dobbiamo ai giovani tutti, come comunità votata alla speranza; lo dobbiamo alla nostra città, spesso trascurata; lo dobbiamo anche a Pietro e a Michele, perché non siano lasciati, d’ora in poi, solo in preda all’infelicità; lo dobbiamo a Giulia, che ora il Padre di tutti ha stretto nel suo abbraccio.
don Francesco de Lucia