Campo diocesano dell’Azione Cattolica: le sfide dell’AC oggi

Susanna M. De Candia

Si è svolto dal 5 al 7 luglio il camposcuola diocesano di Azione Cattolica, presso il Seminario Regionale. Un’occasione per riflettere sul cammino annuale, cogliendo elementi di forza e criticità, così da puntare avanti con sguardo consapevole, e per prendere coscienza delle sfide a cui tutt’oggi sono chiamati i laici di Ac, per dare il loro contributo negli ambiti della vita cristiano-associativa. Inoltre, quest’anno ricorreva un evento fondamentale: il 25° anniversario della diocesi.

Nella prima giornata ci si è confrontati sull’anno associativo concluso, soffermandosi  su alcuni nodi: identità associativa e pastorale parrocchiale, diocesanità e laicità. Si è, insomma, voluto verificare il grado di contaminazione tra la realtà parrocchiale (con correlate esigenze, proposte e attività) e il quid associativo. Quanto e quale equilibrio vi sia tra la dimensione della parrocchia e quella della diocesi, in merito non solo alla programmazione, ma alle iniziative presentate, per vivere collettivamente lo stesso percorso. E, ancora, come siamo in grado di vivere la nostra identità di laici, in che modo siamo in grado di lasciare la nostra impronta nella società.

Il sabato si è articolato in due momenti: la mattina, tavola rotonda con tre Presidenti diocesani sulle sfide dell’Ac in diversi ambiti (vita pastorale, sociale e personale); il pomeriggio, testimonianza dei Presidenti che venticinque anni fa hanno vissuto l’unificazione della diocesi, con intervento del vescovo, Mons. Luigi Martella e momento festa.

La prima sfida pastorale consiste nel chiedersi ancora cosa vuol dire essere cristiani. «Se significa essere in relazione, vuol dire che siamo Chiesa» ha affermato Gino Sparapano (ex Presidente diocesano). Eppure, il concetto di Chiesa può tradursi in due dimensioni: Amore o sovrastruttura. Quest’ultima va assottigliata, è sufficiente lo spessore del Vangelo. Bisogna «non disperdere la credibilità di cui la parrocchia gode ancora oggi, almeno qui al Sud e farne un luogo di spiritualità, non solo luogo di servizio».
Per le sfide nel sociale, significativo l’intervento di Silvana  (Presidente diocesana di Andria), che prende spunto dal libro ‘La nostra vocazione di laici’ di Giorgio La Pira, per cui essere laici rappresenta uno stato di vita che ci rende non solo spettatori, ma attori; ̔uscire fuori̓ significa guardare le sollecitazioni che la società ci pone, saper vivere «la speranza, che è dimensione del futuro». Soprattutto oggi, che non vi è più omogeneità culturale e, proprio per questo, è necessario «educarsi alla libertà, all’accoglienza ‘ e la Puglia da sempre è terra di accoglienza ‘, alla sobrietà come stile di vita, alla resposabilità» ha sostenuto con toni pacati, ma ferma convinzione Michela  (Presidente diocesana di Bari-Bitonto).

Insomma, essere laici di Ac comporta una certa priorità alla formazione, intesa «non come scelta pedagogica, ma antropologica». Il focus è comunicare l’uomo all’uomo. Più vita associativa corrisponde a più vita di Chiesa. «Occorre rinnovare il nostro amore e la dedizione verso la parrocchia, verso i sacerdoti, soprattutto i più giovani e prendersi cura delle loro fragilità; tenere alta l’attenzione diocesana; costruire corresponsabilità; vivere il bene Comune esercitandolo come scelta. Insomma, siamo chiamati ad essere profetici (cioè, indicare piste)» ha sostenuto Gino.
E Silvana ha sottolineato l’importanza di non vivere una frattura tra il nostro essere cristiani e l’essere nel mondo. Essere laici di Ac significa avvertire il desiderio di partecipare; promuovere democraticità e popolarità; stimolare il confronto tra generazioni; interrogarsi e farsi portavoci di quanto c’è nell’Associazione. Va riscoperto «il carisma dell’Ac, che oggi si è ridotta alla parrocchia. Il deficit di laicità è deficit di missionarietà. La Chiesa è la continuazione di Gesù, che è presenza umana, viva e vera» ha aggiunto Michela.

Nel pomeriggio, il Vescovo ha evidenziato la necessità per i laici di Ac di mettersi al servizio del bisogno di speranza che oggi si percepisce, perché i giovani presentano una ferita di fiducia. Sul piano personale, bisogna favorire un processo di coscientizzazione. Le finalità dell’Ac comprendono, non a caso: evangelizzazione, santificazione e formazione delle coscienze.

A seguire, il racconto-testimonianza di alcuni rappresentanti della prima Presidenza interdiocesana (Cosmo Altomare, Angelo De Palma, Giuseppe Dangelico, nel 1988. Le quattro diocesi erano allora realtà del tutto separate. Già Mons. Garzia aveva cominciato a motivare per l’Ac un confronto tra i quattro territori, finché don Tonino, vera e propria incarnazione dello spirito laicale e forte dei nuovi propositi del Concilio Vaticano II, portò all’unica realtà diocesana che oggi viviamo.

Un video ha poi ripercorso i 25 anni di cammino della diocesi, tra momenti di condivisione, spiritualità, impegno, missione, convivialità, aggregazione e tanto altro, chiamando quanti si sono succeduti nei vari incarichi a livello diocesano.

Domenica, ultima giornata, è stata dedicata alle proposte e prospettive per il prossimo anno associativo, con l’intento di cogliere suggerimenti e fare tesoro delle provocazioni. Quest’anno il campo non è stato residenziale ed ha avuto una durata più breve rispetto al solito, ma l’obiettivo è stato quello di consentire a quante più persone di prendervi parte, così da favorire sempre l’arricchimento personale e altrui, attraverso la formazione che può adeguarsi ai cambiamenti della società, purché non venga svilita.