Cari adulti,
questa lettera aperta è l’occasione per esternare riflessioni maturate dopo anni di osservazione da un luogo ed una prospettiva privilegiati, quali quelli che mi permette di vivere il servizio che sto prestando all’AC, ma anche elaborate grazie al dialogo con tanti di voi, alle esperienze condivise insieme.
Parto da un evento emblematico, che molto mi ha interrogato: 25 marzo, manifestazione cittadina del presidio Libera a Molfetta. Sono quattro anni che questo presidio, anche grazie all’Azione Cattolica, è nato ed è attivo sul nostro territorio. Sono quattro anni che, come succede a livello nazionale, intorno all’inizio della primavera si organizza una semplice manifestazione per dare lettura dei nomi dei morti ammazzati per mafia della nostra Puglia. Sono due anni che tra essi viene nominato anche Gianni Carnicella, sindaco di Molfetta, ucciso nel ’92 sul sagrato della chiesa di S. Bernardino. Bene, anche quest’anno, nonostante le ripetute sollecitazioni del coordinamento cittadino di AC perché vi fosse una nutrita partecipazione dei giovani e degli adulti della nostra Associazione, c’era una sparuta rappresentanza di qualche comunità parrocchiale, forse quattro parrocchie su dieci, con un numero esiguo di adulti ed una maggioranza di giovani.
Mi sono chiesta: perché un adulto non sente l’esigenza di presenziare a questo momento di crescita della coscienza civile, a questo far memoria di morti che hanno scritto, col loro sacrificio, pezzi della nostra storia? Io capisco che a un giovane alcuni di quei nomi risultino ignoti e che altri li conosca per sentito dire, ma per un adulto quei nomi sono legati alla propria vita, alle tappe della propria esistenza, alla consapevolezza politica e storica di sé come cittadino. Chi di noi adulti non ricorda il delitto Moro, o piazza Tien’anmen ? Chi non ricorda la stagione delle stragi dei primi anni novanta, Falcone e Borsellino? Chi non ha viva nella mente la tragedia delle torri gemelle? Questo per sottolineare come inevitabilmente la nostra storia personale si intrecci con quella comunitaria di un popolo, di un Paese, del mondo intero o anche solo di una città, com’è successo per la morte del sindaco a Molfetta. E allora? Come non sentirci interpellati nel nostro senso civico, chiamati al dovere di esserci e dire con la nostra presenza, che non abbiamo dimenticato, che quei morti parlano ancora alla nostra sete di giustizia, al nostro impegno civile e morale di cittadini e cristiani? Già, perché c’è un’aggravante alla nostra assenza, alla manifestazione di Libera come al festival della legalità l’estate scorsa a Terlizzi o agli appuntamenti importanti dell’Osservatorio di Giovinazzo, per fare degli esempi. L’aggravante è dovuta al fatto che siamo cristiani, per giunta di Azione Cattolica.
Non voglio fare la predica a nessuno e non posso permettermi di farla, però alcune osservazioni nascono spontanee: com’è che siamo così solerti e partecipativi quando si tratta di manifestazioni sacre o pagane organizzate dalle nostre comunità parrocchiali e – forse – diocesane, e non prendiamo neanche in considerazione l’ipotesi che ci spetta anche, e direi soprattutto, dare una testimonianza in questi contesti civili, dove il nostro vuoto è occupato da altre presenze e la nostra assenza stride con l’identità di una Chiesa in uscita e di un’Associazione che è un tutt’uno col territorio in cui si incarna? Perché siamo così bravi a partecipare a processioni, passioni, sagre, recital e musical rendendo, per carità, un servizio devoto e gratuito alle nostre parrocchie e invece viviamo con assoluta indifferenza ogni occasione che richieda un’adesione ragionata e motivata, un impegno personale – che stenta ancora a diventare comunitario – dettati dalla nostra identità di laici? Siamo adulti, maturi abbastanza per scelte di coerenza e testimonianza, o viviamo nell’eterno limbo dove famiglia-casa-chiesa sono un alibi al nostro non voler crescere, un gigantesco dito dietro cui rifugiarsi per non vedere, non sentire, non parlare, illudendosi che basti essere brave persone per non avere null’altro da rimproverarsi? Un po’ come chi preferisce tenere stretti i talenti che ha, magari sotterrarli, piuttosto che rischiare di trafficarli. Abbiamo il coraggio di stare nelle nostre città e di dire chiaramente da che parte stiamo, vista la catechesi permanente, i cammini formativi, le Messe domenicali ed i ritiri di cui ci nutriamo? E dove mettiamo l’impegno educativo, il dovere della testimonianza? Cosa avranno pensato quella sessantina di giovani presenti alla manifestazione di noi, adulti assenti?
Certo ci avranno trovato in parrocchia, a preparare dolci, cucire abiti, allestire scenografie … ma non per strada, a testimoniare loro che è possibile realizzare un futuro migliore, che non sono soli, che quelle persone non sono morte invano. Che esistono adulti che insegnano a fare memoria. Che loro, i giovani, hanno un PRIMA davanti a sé. Che essere cristiani significa costruire la speranza. E’ così difficile da capire la necessità di una nostra presenza più chiara, meno defilata e afona, per i nostri figli e per i nostri giovani? Quando avremo quello scatto di dignità laicale che ci restituirà la nostra significatività di adulti?
La presidente diocesana, Angela Paparella