Eccoci al terzo manifesto della campagna “#CollegaMENTI rel@zioni oltre le connessioni”: un uomo in gondola, chiara allusione a Venezia, una delle città più belle del mondo. Eppure gli occhi di quest’uomo non sono che per il suo notebook, indifferente a tutta la bellezza dispiegata intorno. Magari sta scrivendo agli amici «meravigliosa Venezia…». Come vogliamo chiamarlo un personaggio di questo genere? Il termine più in voga è zombie.
Gli zombie esistono e camminano in mezzo a noi, talvolta si concentrano in uno stesso luogo. Capita, ad esempio, di vederli ad una messa di Prima Comunione: sono i genitori il cui primo pensiero non è abbracciare i propri figli, ma scattare una foto col cellulare.
Parliamo di comportamenti nella media … non di cose da codice penale, ma di normale comunicazione tramite social network.
Chi ha un po’ di esperienza con i social network sa bene che molto spesso i contenuti che si ripetono sono tutt’altro che originali. Non si tratta neanche di notizie di cui si vuol aumentare la diffusione. Aforismi, frasi, immagini e filmati ad effetto, oppure divertenti, per altri cinque minuti di buon umore a buon mercato. Spesso commenti a notizie vecchie o non verificate, moderne catene di Sant’Antonio. In definitiva una somma di voci, un grande rumore, che finisce per distogliere l’attenzione da ciò che invece la meriterebbe. Non si può non pensare ad un grande spreco di tempo e di energie.
Con ciò non si vogliono demonizzare i social network, tutt’altro. La creazione di un gruppo Whatsapp può rappresentare un modo economico e semplice per intensificare le relazioni, tenerle vive tra un incontro e l’altro. Anche il “banale” messaggino di auguri su Facebook, trito e ritrito, in fondo non è altro che l’erede dei vecchi biglietti di auguri e dei telegrammi che ormai nessuno usa più. L’importante non è, evidentemente, il mezzo, ma che la comunicazione sia a sostegno della relazione e che non la sostituisca, che una vasta rete di interessi virtuali non copra una certa povertà di relazioni, di reale coinvolgimento.
Di fronte alla rete si ritorna ingenui: un “mi piace”, una condivisione, e ci si sente parte attiva di un processo, come gettare un sasso che generi onde che si espandono sulla superficie dello stagno. Senza pensare che infiniti sono i sassi nello stagno, e le onde interferiscono senza essere intellegibili. Dunque, salvo rare eccezioni, ancora increspature indistinte, il grande rumore di cui parlavamo sopra.
L’uso intelligente e moderato dei social media, almeno per noi adulti, non è solo questione di dominio di sé. Diventa l’occasione per liberare risorse, il tempo anzitutto, ed impegnarsi a investirle per ciò che merita: la famiglia, le amicizie, le letture (magari la Lettura per eccellenza), il servizio, oppure, semplicemente, uno sguardo attento all’altro. E poi, quando davvero serve, raccontarlo su Facebook.
Gli zombie esistono e camminano in mezzo a noi, talvolta si concentrano in uno stesso luogo. Capita, ad esempio, di vederli ad una messa di Prima Comunione: sono i genitori il cui primo pensiero non è abbracciare i propri figli, ma scattare una foto col cellulare.
Parliamo di comportamenti nella media … non di cose da codice penale, ma di normale comunicazione tramite social network.
Chi ha un po’ di esperienza con i social network sa bene che molto spesso i contenuti che si ripetono sono tutt’altro che originali. Non si tratta neanche di notizie di cui si vuol aumentare la diffusione. Aforismi, frasi, immagini e filmati ad effetto, oppure divertenti, per altri cinque minuti di buon umore a buon mercato. Spesso commenti a notizie vecchie o non verificate, moderne catene di Sant’Antonio. In definitiva una somma di voci, un grande rumore, che finisce per distogliere l’attenzione da ciò che invece la meriterebbe. Non si può non pensare ad un grande spreco di tempo e di energie.
Con ciò non si vogliono demonizzare i social network, tutt’altro. La creazione di un gruppo Whatsapp può rappresentare un modo economico e semplice per intensificare le relazioni, tenerle vive tra un incontro e l’altro. Anche il “banale” messaggino di auguri su Facebook, trito e ritrito, in fondo non è altro che l’erede dei vecchi biglietti di auguri e dei telegrammi che ormai nessuno usa più. L’importante non è, evidentemente, il mezzo, ma che la comunicazione sia a sostegno della relazione e che non la sostituisca, che una vasta rete di interessi virtuali non copra una certa povertà di relazioni, di reale coinvolgimento.
Di fronte alla rete si ritorna ingenui: un “mi piace”, una condivisione, e ci si sente parte attiva di un processo, come gettare un sasso che generi onde che si espandono sulla superficie dello stagno. Senza pensare che infiniti sono i sassi nello stagno, e le onde interferiscono senza essere intellegibili. Dunque, salvo rare eccezioni, ancora increspature indistinte, il grande rumore di cui parlavamo sopra.
L’uso intelligente e moderato dei social media, almeno per noi adulti, non è solo questione di dominio di sé. Diventa l’occasione per liberare risorse, il tempo anzitutto, ed impegnarsi a investirle per ciò che merita: la famiglia, le amicizie, le letture (magari la Lettura per eccellenza), il servizio, oppure, semplicemente, uno sguardo attento all’altro. E poi, quando davvero serve, raccontarlo su Facebook.