Il mare, l’occhio vigile e il bastone da viaggio. Le esequie di Martella a Depressa

A giorni un'ampia documentazione fotografica e video dei funerali e la trasmissione in differita su Teledehon

Deposta la bara di don Gino in un loculo a pavimento, nella cappella, non ancora completa, della famiglia Martella, nel cimitero di Depressa, davanti agli occhi gonfi di lacrime dei famigliari, dei concittadini e di una rappresentanza della nostra diocesi. Si è chiusa così, nel pomeriggio di giovedì 9, la parentesi terrena del Vescovo “buono”. Il suo volto, riprodotto sulla copertina di Luce e Vita, campeggiava ovunque per le strade di Depressa; un volto amico che saluta con fare discreto e schivo, come lui faceva.

Dalla sera di mercoledì, anche nella chiesa parrocchiale di S.Antonio, la salma è stata vegliata nella preghiera, fino al pomeriggio di giovedì, quando in processione è stata portata in una piazzetta vicina, dove Mons. Vito Angiuli, vescovo di Ugento-Santa Maria di Leuca, che aveva condiviso alcuni anni di impegno comune nel Seminario Regionale di Molfetta, ha presieduto la concelebrazione con tanti sacerdoti di Ugento e di Otranto, alcuni dei nostri, con don Mimmo Amato, con il vicario di Otranto mons. Gianfreda e don Salvatore Palese.

Alla bella e sobria cerimonia funebre di Molfetta è seguita l’altrettanto bella e semplice celebrazione a Depressa, in un crescendo di partecipazione che ha rispecchiato le origini semplici di don Gino, della sua numerosa famiglia, del paese, la ricchezza di umanità tipica della terra salentina con la quale aveva un legame profondo e viscerale.

«È stato caro a Dio, egli lo ha amato e don Gino è stato tutto orientato al suo Signore – così ha esordito Mons. Angiuli nell’omelia – in un intreccio di amore reciproco e nella consapevolezza che nessuna fatica o sofferenza lo avrebbe mai allontanato da Dio».

Poi il Vescovo ha tratteggiato molto efficacemente la personalità di Mons. Martella in tre immagini.


«Un mare calmo, ma non immobile». Per dire del suo grande equilibrio, della ponderazione delle sue scelte, della pazienza, del senso di tranquillità che trasmetteva nel suo fare e nel suo dire. Lasciava trasparire un senso di pace interiore senza manifestare la fatica della sua responsabilità e dei suoi affanni pastorali che pure lo coinvolgevano totalmente, senza risparmiarsi.


«L’occhio vigile e appassionato». Mons. Angiuli ha richiamato la capacità di attenzione e di discernimento di don Gino, che gli consentivano di guardare lontano e in profondità. Di mirare l’orizzonte e scrutare l’abisso; di delineare prospettive alte, ma concentrarsi sulle fondamenta; di ammirare i frutti senza trascurare le radici. Aveva quindi «l’occhio del buon pastore, capace di scrutare e vedere quello che non appare ad un occhio inesperto». Per questo da Roma gli avevano affidato il delicato compito di Visitatore dei Seminari, che non è da tutti, e che don Gino ha svolto «con grande dedizione, silenziosa ma efficace. I suoi interventi nella Conferenza Episcopale Pugliese, a proposto di seminari e formazione dei preti, rivelavano la reale consapevolezza delle questioni in gioco».


«Con il bastone da viaggio». Vescovo anche di Alessano, Mons. Angiuli non poteva non alludere a don Tonino il quale ha idealmente consegnato a Martella il suo pastorale, suggellando un’amicizia, già precedente, che si è approfondita negli anni di episcopato. «Ha portato quel pastorale insieme e a nome di don Tonino». E se il dono più evidente che Martella ci ha fatto è la causa di canonizzazione del Servo di Dio, atto simbolico e molto profondo, tanto altro c’è da riscoprire in quanto ha scritto su don Tonino. In particolare Angiuli si riferisce alla relazione di Martella in occasione del decennale della morte di don Tonino.
C’era sintonia tra loro, conoscenza e ammirazione di don Gino per don Tonino; «egli ha camminato sulla via tracciata dal predecessore e ne ha scoperto anche dei tratti inediti».


«Attenti, vigilanti nel Signore che viene nei tempi a noi sconosciuti – ha concluso Angiuli – siamo chiamati ad essere servi in attesa del Signore che certamente viene».

A conclusione della celebrazione l’ultimo saluto è stato affidato ad uno dei nipoti che, con la voce rotta dall’emozione, ha pronunciato pensieri intensi, come intenso era il rapporto con “zio Gino”, con il quale potevano liberamente trastullarsi sul divano o andare al mare, con la complicità propria di un legame carico di affetto: «Più che la lingua, l’occhio e l’orecchio sono gli organi da attivare nei confronti di don Gino».

La processione funebre a piedi verso il cimitero, il passaggio davanti dalla tomba della sorella e del fratello defunti, poi l’inumazione nella cappella.


E a noi un grande vuoto, ancora più percepito ieri sera in redazione, nella vana attesa che, come quasi ogni sera, passasse e ci dicesse “Allora, che fate?”. 

Luigi Sparapano

© Luce e Vita