Un abbraccio e tre Porte. Si può riassumere con questa immagine una giornata già di per sé consegnata alla storia. Papa Francesco ha aperto il suo primo Giubileo – il primo “decentrato” in tutto il mondo, il primo dedicato tematicamente alla misericordia, a 50 anni esatti dalla conclusione del Concilio Vaticano II – cominciando con un abbraccio fraterno con il suo predecessore, che dopo l’Angelus ha chiesto di salutare alle almeno 70mila persone presenti in piazza San Pietro, nonostante gli allarmi terroristici e la pioggia caduta su Roma fin dalle prime ore del mattino. La Porta Santa della Basilica vaticana – da oggi Porta della misericordia – si è aperta alle 11,10. Francesco ha spinto più volte con le sue due mani i preziosi battenti intarsiati, dopo aver salito i gradini: quando la Porta finalmente si è aperta, Francesco ha sostato in preghiera sulla soglia. Quindi è entrato solo, e per primo, in basilica, seguito dai concelebranti e da alcuni rappresentanti di sacerdoti, religiosi, religiose e fedeli laici. Dopo di lui, il secondo pellegrino a passare per la Porta della misericordia è stato Benedetto XVI. La lunga processione ha percorso tutta la navata centrale fino ad arrivare all’Altare della Confessione, dove si è svolto il rito conclusivo della Messa. Le altre due Porte Francesco le ha citate nell’omelia: “Come ho fatto a Bangui”, ha detto riferendosi al gesto che avrebbe compiuto poco dopo. Poi il riferimento al Concilio, di cui erano stati letti brani tratti dalle Dichiarazioni e dai Decreti prima dell’inizio del rito: esattamente 50 anno dopo, il Papa evoca “un’altra porta”, quella spalancata dai padri conciliari.
Allora come oggi, la Chiesa deve “uscire dalle secche per riprendere con entusiasmo il cammino missionario”. Allora come oggi, si tratta di “andare incontro a ogni uomo là dove vive”. Nella sua città, nella sua casa, nel luogo di lavoro: “Dovunque c’è una persona, là la Chiesa è chiamata a raggiungerla per portare la gioia del Vangelo e portare la misericordia e il perdono di Dio”.
“È questa la porta del Signore. Apritemi le porte della giustizia. Per la tua grande misericordia entrerò nella tua casa, Signore”. Sono le tre frasi pronunciate dal Papa subito prima di aprire la Porta Santa, che ha varcato come primo pellegrino dell’anno giubilare, ripetendo il gesto che aveva fatto il 29 novembre nella cattedrale di Bangui. “Donaci di vivere un anno di grazia”, la preghiera per il Giubileo.
“Dobbiamo anteporre la misericordia al giudizio, e in ogni caso il giudizio sarà sempre nella luce della sua misericordia”, l’invito centrale dell’omelia, tutta centrata sul parallelo tra la Solennità dell’Immacolata e il significato più profondo dell’Anno Santo. “Nella nostra vita tutto è dono, tutto è misericordia”, che è “la parola-sintesi del Vangelo”. “Non si può capire un cristiano vero che non sia misericordioso, come non si può capire Dio senza la sua misericordia”.
“Non abbiamo paura”, ha detto il Papa nell’omelia e dopo l’Angelus, rievocando indirettamente san Giovanni Paolo II, come nelle parole pronunciate prima di aprire la Porta Santa, che hanno riecheggiato l’Anno Santo del Duemila: Gesù “è la Porta”. Nell’omelia: “Abbandoniamo ogni forma di paura e di timore, perché non si addice a chi è amato; viviamo, piuttosto, la gioia dell’incontro con la grazia che tutto trasforma”. E all’Angelus, a braccio: “Non abbiamo paura: lasciamoci abbracciare dalla misericordia di Dio che ci aspetta e perdona tutto. Nulla è più dolce della sua misericordia. Lasciamoci accarezzare da Dio: è tanto buono, il Signore, e perdona tutto”. Ha attinto a piene mani all’esperienza quotidiana, Francesco. Come quando nell’omelia ha parlato della “tentazione della disobbedienza, che si esprime nel voler progettare la nostra vita indipendentemente dalla volontà di Dio”. Entrare per la Porta Santa, invece, “significa scoprire la profondità della misericordia del Padre che tutti accoglie e ad ognuno va incontro personalmente”. “È lui che ci cerca, è lui che ci viene incontro!”, ha aggiunto sempre fuori testo. O quando ha dipinto il ritratto di Maria, “madre di una umanità nuova, aurora della nuova creazione attuata dalla divina misericordia”. Celebrare il Giubileo, ha spiegato Francesco, comporta due cose: “Accogliere pienamente Dio e la sua grazia misericordiosa nella nostra vita” e “diventare a nostra volta artefici di misericordia mediante un cammino evangelico”.
“La Festa dell’Immacolata diventa la festa di tutti noi se, con i nostri sì quotidiani, riusciamo a vincere il nostro egoismo e a rendere più lieta la vita dei nostri fratelli, a donare loro speranza, asciugando qualche lacrima e donando un po’ di gioia”.
Così il nostro volto assomiglierà almeno un po’ al volto di Cristo: “Quel volto che noi riconosciamo quando va incontro a tutti, quando guarisce gli ammalati, quando siede a tavola con i peccatori, e soprattutto quando, inchiodato sulla croce, perdona”.
Allora come oggi, la Chiesa deve “uscire dalle secche per riprendere con entusiasmo il cammino missionario”. Allora come oggi, si tratta di “andare incontro a ogni uomo là dove vive”. Nella sua città, nella sua casa, nel luogo di lavoro: “Dovunque c’è una persona, là la Chiesa è chiamata a raggiungerla per portare la gioia del Vangelo e portare la misericordia e il perdono di Dio”.
“È questa la porta del Signore. Apritemi le porte della giustizia. Per la tua grande misericordia entrerò nella tua casa, Signore”. Sono le tre frasi pronunciate dal Papa subito prima di aprire la Porta Santa, che ha varcato come primo pellegrino dell’anno giubilare, ripetendo il gesto che aveva fatto il 29 novembre nella cattedrale di Bangui. “Donaci di vivere un anno di grazia”, la preghiera per il Giubileo.
“Dobbiamo anteporre la misericordia al giudizio, e in ogni caso il giudizio sarà sempre nella luce della sua misericordia”, l’invito centrale dell’omelia, tutta centrata sul parallelo tra la Solennità dell’Immacolata e il significato più profondo dell’Anno Santo. “Nella nostra vita tutto è dono, tutto è misericordia”, che è “la parola-sintesi del Vangelo”. “Non si può capire un cristiano vero che non sia misericordioso, come non si può capire Dio senza la sua misericordia”.
“Non abbiamo paura”, ha detto il Papa nell’omelia e dopo l’Angelus, rievocando indirettamente san Giovanni Paolo II, come nelle parole pronunciate prima di aprire la Porta Santa, che hanno riecheggiato l’Anno Santo del Duemila: Gesù “è la Porta”. Nell’omelia: “Abbandoniamo ogni forma di paura e di timore, perché non si addice a chi è amato; viviamo, piuttosto, la gioia dell’incontro con la grazia che tutto trasforma”. E all’Angelus, a braccio: “Non abbiamo paura: lasciamoci abbracciare dalla misericordia di Dio che ci aspetta e perdona tutto. Nulla è più dolce della sua misericordia. Lasciamoci accarezzare da Dio: è tanto buono, il Signore, e perdona tutto”. Ha attinto a piene mani all’esperienza quotidiana, Francesco. Come quando nell’omelia ha parlato della “tentazione della disobbedienza, che si esprime nel voler progettare la nostra vita indipendentemente dalla volontà di Dio”. Entrare per la Porta Santa, invece, “significa scoprire la profondità della misericordia del Padre che tutti accoglie e ad ognuno va incontro personalmente”. “È lui che ci cerca, è lui che ci viene incontro!”, ha aggiunto sempre fuori testo. O quando ha dipinto il ritratto di Maria, “madre di una umanità nuova, aurora della nuova creazione attuata dalla divina misericordia”. Celebrare il Giubileo, ha spiegato Francesco, comporta due cose: “Accogliere pienamente Dio e la sua grazia misericordiosa nella nostra vita” e “diventare a nostra volta artefici di misericordia mediante un cammino evangelico”.
“La Festa dell’Immacolata diventa la festa di tutti noi se, con i nostri sì quotidiani, riusciamo a vincere il nostro egoismo e a rendere più lieta la vita dei nostri fratelli, a donare loro speranza, asciugando qualche lacrima e donando un po’ di gioia”.
Così il nostro volto assomiglierà almeno un po’ al volto di Cristo: “Quel volto che noi riconosciamo quando va incontro a tutti, quando guarisce gli ammalati, quando siede a tavola con i peccatori, e soprattutto quando, inchiodato sulla croce, perdona”.