Con viscere di misericordia. Sfoglia il settimanale del 17 aprile

a cura di Franca Maria Lorusso

Sfoglia Luce e Vita del 17 aprile 2016

Misericordia è quell’amore tenero che fa sentire a una madre i fremiti dall’utero per il figlio, è l’amore senza condizioni, istintivo, viscerale, radicale. Misericordia è lasciarsi prendere fin nelle viscere, avere un amore intimo, assoluto, profondo, spontaneo. Non è una semplice azione compassionevole, ma si tratta di una tenerezza “uterina”, tipica del grembo materno o del cuore di un padre. 

Misericordia è la profezia più grande annunciata e vissuta da don Tonino, prima ancora che la pace, la giustizia, i poveri, la carità. E se i suoi gesti profondamente “misericordiosi” perché umani e liberanti ci hanno sconcertato, le sue parole hanno scompaginato le nostre ipocrisie e le ipocrisie del mondo. 
Con misericordia e per la Misericordia, il Vescovo degli ultimi, spezza tabù, infrange frontiere, smonta pregiudizi, relativizza leggi, smaschera l’ingiustizia e genera vicinanza, relazione, dialogo, intimità. La sua compassione, lungi dall’essere un puro stato emotivo, è un fremito di partecipazione interiore che spinge ad agire. Ascoltiamolo.
Misericordia è gratuità: dare da mangiare agli affamati
“Questa pagina viene chiamata, ordinariamente, della moltiplicazione dei pani. Vorrei esortarvi a chiamarla, da questa sera, la pagina della divisione dei pani. Il dividendo sono i cinque pani e i due pesci; il divisore è costituito da cinquemila persone. Una divisione con le cifre decimali. Tutti furono sazi: questo è il risultato, il quoziente. Ma c’è anche il resto: avanzarono dodici canestri. É una vera e propria divisione: perché la chiamarono moltiplicazione dei pani? E siamo ancora così tardi nel capire per quale motivo il Signore ha voluto prendere un bambino, che a quel tempo non contava niente, come non contavano niente le donne e i vecchi; che volutamente ha scelto il segno della fragilità umana, della trascuratezza, dell’emarginazione? Un bambino, cosa può tenere nel suo canestro? Gesù gli ha detto: “Vieni qua; adesso questi li dividiamo”. Poi li ha presi e li ha spezzati: quando si spezza, mi pare che si divida. Questo odore di forno, questo pane che passa di mano in mano e si spezza, si divide, sazia, avanza. Un insegnamento straordinario, cari fratelli miei: non è la moltiplicazione che sazierà il mondo, è la divisione! Il pane basta, cinque pani e due pesci bastano. Il pane che produce la terra è sufficiente. É l’accaparramento, invece, che impedisce la sazietà di tutti e provoca la penuria dei poveri. Se il pane, dalle mani di uno, passa nelle mani dell’altro, viene diviso, basta per tutti. Dividete le vostre ricchezze, fatene parte con coloro che non ne hanno, ai diseredati della vita.»
Misericordia è attenzione al creato: dar da bere agli assetati
«Dobbiamo protestare contro coloro che violentano la natura, che deturpano i paesaggi, che speculano sulle bellezze della terra».
Misericordia è accoglienza e fraternità: ospitare i forestieri
«Anche il canto gregoriano più limpido sarebbe un sacrilegio, finché il Signore se ne va ramingo per il mondo senza trovare una pietra dove poggiare il capo».
«Dovete impegnarvi con tutta l’anima affinché le vostre comunità offrano al mondo l’immagine della vera accoglienza cristiana. Siano perimetri di profonda umanità, non appartamenti recintati dove si pratica il rifiuto. Palestre dove ci si allena alla carità e non ambiti in cui l’egoismo la fa da padrone creando spaccature».
«C’è stato un momento in cui mi è sembrato di vedere non una tomba indistinta, ma i volti di quanti la compongono, e al loro posto quello delle loro madri. E poi che ne è stato? Lo scempio che abbiamo constatato! Spreco d’amore, gemme sfogliate, petali al vento. Ma non è giusto! Quella gente va amata, uno per uno, come se di ciascuno fossimo madre.»
Misericordia è sobrietà: vestire gli ignudi
«Ci sono fratelli destinati a rimanere per sempre privi dell’essenziale: la salute, la casa, il lavoro. Ci sono pensionati con redditi bassissimi. Di fronte a questa gente non basta più commuoversi. Occorre rendere sterile l’utero sempre gravido che genera i mostri delle nuove povertà».
Misericordia e sofferenza: visitare gli infermi
«Oggi il mondo vola sulle grandi carreggiate delle realizzazioni concrete per cui chi non produce, chi non è efficiente, chi non mette sul mercato della vita i valori così banali delle cose, dell’ affare, del business… non conta nulla. Oggi, purtroppo, questo è il criterio predominante: il binario dell’efficienza.
Di fronte a questo meccanismo dell’efficienza che stritola i più deboli, che cosa stiamo a fare noi ammalati? Che senso ha il nostro continuare a vivere? Costretti su lettighe di dolore, handicappati, gente lacerata da mille sofferenze fisiche prodotte da un tumore selvaggio. Che stiamo a fare noi, gente lacerata da tanto dolore che ti immobilizza e ti inchioda sulla sedia a rotelle? Gente stritolata da un male congenito, che affonda le radici proprio alle origini della esistenza: ciechi nati, sordomuti, poveri, handicappati, oligocefali? Gente schiacciata dalle conseguenze nefaste di un incidente stradale, oppure mutilata sul lavoro, che ti ha stroncato i progetti nei quali si erano riposte mille speranze e tante attese così puntigliosamente disegnate a tavolino? Che ci stiamo a fare? C’è pure per noi un ruolo da giocare? Non con il compianto di chi ci sta attorno e neppure col pregiudizio di chi pensa alla nostra funzione come a qualcosa di estremamente marginale, e, non di essenziale, per la vita del mondo? Ma che cosa è diventata questa sera la nostra splendida Cattedrale: hangar dove sono convenuti in deposito i carrozzoni umani fuori uso? Garage delle macchine che non servono più? Che cosa siamo noi: mendicanti in cerca di pietà?
A questo punto vorrei far esplodere fortissimo il mio «No!». No, non è così.
Attenzione, perché qualche volta, soprattutto nei momenti di disperazione (non di disperazione, perché un credente non si lascia assoggettare alla disperazione), nei momenti di caduta di tono, potremmo soggiacere anche noi a questa tentazione.
Vedete, vi dico una cosa. Se noi dovessimo lasciare la croce su cui siamo confitti (non sconfitti) il mondo si scompenserebbe. È come se venisse a mancare l’ossigeno nell’aria, il sangue nelle vene, il sonno nella notte. La sofferenza tiene spiritualmente in piedi il mondo. Nella stessa misura in cui la passione di Gesù sorregge il cammino dell’universo verso il traguardo del Regno. In questo Gesù è il nostro capo. Bellissimo, stasera, sentircelo al centro, Gesù. Lui confitto su un versante della croce e noi confitti, sull’ altro versante della croce, sul retro. Gesù comunque è in mezzo a noi. È toccabile. E quando abbiamo bisogno di lui non è necessario urlare: basta chiamarlo, perché sta appena dietro di noi. Gesù è il nostro capo. È il capo delle nostre attese. E noi, turbe di ammalati, abbiamo lui come responsabile del nostro sindacato. Noi dovremmo sentirci fieri di questa chiamata: perché si tratta di vocazione.»
Misericordia, colpa e perdono: visitare i carcerati
«Coraggio Giuseppe, siamo tutti pezzi di galera ma prepariamoci ad uscirne. Tu coprendo, sotto la tutela della tua parola d’onore, non un frammento di tempo, ma tutto l’arco della tua vita; noi ritrovando nel Vangelo, nella gioia di un’accoglienza che ci faccia intuire, se non per tutto l’arco della vita, almeno per un frammento di tempo, anche sotto l’amarezza di uno sguardo fosco come il tuo, la dolcezza del volto di Cristo. Sono in attesa di questo incontro, verrà presto, lo sento. E allora, ridiventato uomo, brinderemo di nuovo senza più paure, alla tua libertà, anzi alla nostra. Alla salute Giuseppe, uomo d’onore».
Misericordia, morte e speranza: seppellire i morti
«Ho saputo per caso della tua morte violenta, da un ritaglio di giornale. Mi hanno detto che ti avrebbero seppellito stamattina, e sono venuto di buon’ora al cimitero a celebrare le esequie per te. Ma non ho potuto pronunciare l’omelia. Perché alla mia messa non c’era nessuno. Solo don Carlo, il cappellano, che rispondeva alle orazioni. E il vento gelido che scuoteva le vetrate. Sulla tua bara, neppure un fiore. Sul tuo corpo, neppure una lacrima. Sul tuo feretro, neppure un rintocco di campana. Ho scelto il Vangelo di Luca, quello dei due malfattori crocifissi con Cristo, e durante la lettura mi è parso che la tua voce si sostituisse a quella del ladro pentito: «Gesù, ricordati di me! … ».
La misericordia autentica è così: non ragiona, non calcola, non misura, non innalza barriere, non pone condizioni, non costrui-sce frontiere e non ricorda offese. 
Essa nasce solo dal cuore.