Eletto Vescovo il 10 agosto 1982 delle diocesi di Molfetta, Giovinazzo, Terlizzi e il 30 settembre dello stesso anno di Ruvo di Puglia, con stile nuovo egli aveva preparato un messaggio, datato agosto 1982, che aveva inviato alla sua nuova sposa e che sarà letto in tutte le chiese il 19 settembre. In esso rivolgendosi direttamente ai «miei cari fratelli delle chiese di Mofetta, Giovinazzo e Terlizzi» scrive: «Il Signore mi manda in mezzo a voi perché mi metta a camminare alla Sua sequela, cadenzando il mio passo col vostro, che so agile e spedito». E poi continua: «Sulla via ci aiuteremo a vicenda. Spartiremo il pane e la tenda. Anzi, faremo in modo che la nostra tenda e il nostro pane siano disponibili per quanti, dispersi o sbandati, incontreremo nel viaggio». Infine scrive: «Ancora non conosco i vostri volti, però stringo egualmente la mano di tutti, non solo di voi credenti, ma anche di coloro che, pur non condividendo le nostre speranze cristiane, sperimentano come noi la durezza della strada e si impegnano perché la loro vita e quella degli altri sia più degna dell’uomo. Ma non è già questa una speranza cristiana?».
In questo primo messaggio già sono presenti quelle tematiche che faranno da trama a tutto l’episcopato. La sequela Christi, il camminare insieme, l’attenzione ai volti, l’apertura ai dispersi e sbandati, il dialogo con chi non è cristiano. Ma più del messaggio colpì il gesto messo in atto dal neoeletto. Non una delegazione che facesse visita a Tricase, ma lui venne a fare visita al clero il 6 settembre. Arrivò con la sua vecchia fiat 500 e con la sua consueta cordialità si presentò al clero riunito nell’aula del Seminario Vescovile.
Il novello Vescovo si trovò a fare delle scelte apparentemente marginali: lo stemma, la croce pettorale, il pastorale, l’anello, il guardaroba. Fece scelte oculate e orientate a fare delle insegne episcopali non segni del potere, ma si impegnò a dare potere ai segni. E così ridusse al minimo essenziale il suo guardaroba, rifiutando di farsi confezionare la talare paonazza, ma usò sempre e soltanto la talare nera filettata, anche all’ordinazione episcopale. Lo stemma lo volle semplice, riprendendo quello del suo Paese Alessano che aveva nello scudo due ali a cui aggiunse una croce. E come motto scrisse: “Ascoltino gli umili e si rallegrino” che solo per motivi araldici si piegò ad apporre in latino “Audiant et laetentur“, perché diceva i poveri non conoscono il latino. Ma ancor più potenti furono i segni scelti per il suo ministero episcopale: il pastorale in legno d’ulivo, più simile al vincastro di un pastore che allo scettro; la croce pettorale semplice nella sua fattura, anche questa di legno, sostituibile con poca spesa; e infine l’anello, quello della madre.
Questa semplicità fu subito notata al primo colpo da Presidente della Repubblica Sandro Pertini, cui il Vescovo dovette recarsi in Quirinale per il giuramento di rito. In tale circostanza, Il Presidente si meravigliò di quel segno apposto sul petto nel Vescovo e ne fu soggiogato. Don Tonino non si fece sorprendere e subito regalò la sua croce pettorale al Presidente. Il potere dei segni aveva avuto già il sopravvento sui segni del potere.
Fu ordinato nella Piazza di Tricase il 30 ottobre 1982 e successivamente il 21 novembre 1982 faceva l’ingresso a Molfetta (seguiranno il 28 novembre a Giovinazzo; il 5 dicembre a Terlizzi e l’8 dicembre a Ruvo). Subito si mise all’opera incontrando le varie realtà pastorali della Diocesi. Dalle pagine del Settimanale Diocesano «Luce e Vita» comunicava con i suoi fedeli. Richiamò il valore della liturgia e convocò il Convegno Catechistico Interdiocesano per l’estate del 1983 sui temi dell’Evangelizzazione. Pose poi l’accento sulle 7 più grandi ingiustizie del mondo, senza dimenticare i problemi della gente. E così si fece vicino alle esigenze dei disoccupati delle Acciaierie Pugliesi di Giovinazzo, dei tossicodipendenti e degli sfrattati.
Aperta la sua casa agli ultimi, si impegnò sul fronte della giustizia con chi era nel bisogno, spingendo la sua attenzione verso i più poveri di questa nostra società, i tossici. Sicché nel 1985 fondò la Comunità di Accoglienza e Solidarietà ‘Apulia’, che nel suo acrostico suona col nome familiare di C.A.S.A., ad indicare che il recupero per i tossicodipendenti non passa solo per una cura disintossicante, ma passa per un recupero di tutta la persona a quote di normalità familiare e sociale.
Su questo progetto investì molte energie e molte risorse, destinando ogni provento personale, derivante da predicazioni o offerte per conferenze a questo fine. Anzi, trovandosi in ristrettezze economiche per il pagamento di mutui contratti per l’acquisto della struttura della C.A.S.A. , continuò sempre a confidare nella Provvidenza, tanto da non lasciare alcun debito alla sua morte e consegnando tutta la proprietà alla Diocesi.
(Dal sito postulazionedontonino.it)