Il Giovedì Santo, nella Messa vespertina in Coena Domini facciamo memoria di Gesù che istituisce i Sacramenti dell’Eucaristia e dell’Ordine ministeriale, rispettivamente Sacramento del dono e del servizio. Due sacramenti che rimandano alla stessa presenza di Cristo racchiusa in un frammento di pane, l’Eucaristia, e in un frammento di umanità, il prete. Sono due frammenti opachi che nascondono la Sua presenza luminosa: il pane, nella sua semplicità e banalità, il prete nella sua umanità fragile e debole. «D’ora in poi – sembra dire Gesù – chi vorrà incontrarmi deve attraversare con gli occhi della fede l’opacità di queste due realtà e scorgervi la mia presenza di Maestro e Signore». Come non trasalire di gioia e di gratitudine dinanzi tali doni che Gesù fa a noi suoi discepoli?
La liturgia della Parola di questo giorno mette in collegamento due simboli apparentemente distanti tra loro: il pane e i piedi.
Dalla seconda lettura, tratta dalla prima Lettera ai Corinzi (11,23-26), sappiamo che Gesù si mise a tavola con i dodici, «prese il pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: “Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me”». Così facendo, Gesù ha inventato l’impossibile per restarci accanto, per continuare ad essere vicino ai discepoli di ogni tempo. Non solo vicino, ma addirittura dentro la vita dei discepoli. A Lui, infatti, non basta rimanere tra noi solamente attraverso la sua parola e il suo esempio. Vuole rimanere anche nel corpo: facendosi cibo, diviene carne della nostra carne. E ci chiede di rinnovare sacramentalmente la sua presenza, la sua “memoria viva”.
Passando al brano del vangelo secondo Giovanni (13, 1-15), la scena della lavanda dei piedi è la traduzione vitale del pane che poco prima Gesù ha spezzato e distribuito ai dodici. I piedi, come il pane, sono il segno dell’abbassamento estremo di Gesù.
Scrive un autore: «Sono due simboli che non possono stare divisi: il pane senza i piedi scade nel ritualismo, nello spiritualismo astratto. I piedi senza il pane si stancano, si inaridiscono e finiscono per rimanere bloccati e sporchi» (E. Castellucci). L’evangelista Luca, dal canto suo, racconta che durante la cena pasquale era nata tra
gli apostoli una discussione su chi di loro poteva essere considerato il più grande (cf. Lc 22,24-27). In questa contesa gli apostoli sono lo specchio della debolezza, della vanità e della meschinità, che è presente in ogni uomo. Anche oggi la vita è spesso una lotta per conquistare il prestigio, per emergere e dominare. Gesù lo sa. Ecco allora la sua risposta: «si alzò da tavola, depose le vesti e, preso un asciugatoio, se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli» (Gv 13,4-5).
Sostiamo un attimo sulla scena. Noi di solito il grembiule lo indossiamo sopra le vesti. Gesù no. Gesù prima depone le vesti e poi mette il grembiule. Con ciò ci vuol far capire che il grembiule è la sua veste e il servizio umile è la sua identità. «Il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita» (Mc 10, 45): così aveva detto. Come va intenso il servizio nelle parole e nei gesti di Gesù? Il servizio non è mai una questione di cose da fare, ma un modo di stare nell’esistenza.
Per questo Gesù è venuto in mezzo a noi: per stare come colui che serve. Si tratta, allora, di fare una scelta, escludendo il suo contrario: essere serviti dagli altri. Sono due i modi di stare nella vita e sono tra loro inconciliabili: o si vive usando gli altri o si vive per aiutare gli altri a vivere. Gesù compie questa seconda scelta. Così ci insegna una nuova grandezza: la grandezza del dono, del servizio e dell’amore.
Celebrare il Giovedì santo in casa
Dovendo celebrare il Giovedì santo in casa, dopo aver proclamato il Vangelo della lavanda dei piedi (Gv 13,1-15), ogni componente della famiglia, munito di brocca, catino e asciugatoio, può lavare i piedi dell’altro, proprio per ricordare che l’Eucaristia è celebrata quando ci mettiamo a servizio gli uni degli altri; quando c’è continuità tra il pane spezzato per noi in Chiesa e le nostre vite che si piegano in atteggiamento di servizio davanti ai piedi degli altri. Al riguardo teniamo ben a mente la lezione del Sevo di Dio don Tonino Bello. Commentando le parole di Gesù: «Anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri», egli diceva: «“Gli uni gli altri”, a partire dalle famiglie che non possono dirsi cristiane se non assumono la logica della reciprocità; perché se il marito smania di lavare i piedi
ai tossici, la moglie si vanta di servire gli anziani e la figlia maggiore fa ferro e fuoco per andare nel Terzo Mondo come volontaria ma poi, tutti e tre, non si guardano in faccia quando stanno in casa, la loro è soltanto una contro-testimonianza penosa».
Accanto alla lavanda dei piedi, un altro bel gesto da compiere in casa, dopo aver recitato il Padre nostro, sarebbe quello di spezzare un pane e condividerlo. È un gesto che rimanda all’Eucaristia che celebriamo ogni domenica con tutti i credenti.
don Pietro Rubini
Ufficio Liturgico diocesano