Magistero

Nell’oggi di Dio il nostro oggi

Omelia del Vescovo per la Messa Crismale a conclusione della visita pastorale

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Carissimi confratelli nel sacerdozio, diaconi, consacrati nella vita religiosa e seminaristi, fratelli e sorelle della nostra amata Chiesa, vi saluto di vero cuore, ringraziandovi per la vostra presenza e partecipazione.
Nel segno della fraternità che tutti unisce, saluto con grande affetto anche i presbiteri che operano fuori dalla nostra Diocesi e tutti coloro che, per le difficoltà di salute o per le limitazioni da rispettare, non sono qui con noi fisicamente, ma lo sono di certo spiritualmente.

1. In questo giorno si incrociano diversi motivi che ci fanno elevare l’inno di lode e di gratitudine al Padre.
In primo luogo l’anniversario della Dedicazione della nostra Cattedrale, cuore della Chiesa Diocesana, nella quale ci riuniamo nei momenti più importanti dell’anno liturgico. Ogni Diocesi ha la sua Cattedrale, quale casa di Dio sulla terra, una casa che accoglie tutti tra le sue mura come una madre accoglie sempre i suoi figli. Se fossimo capaci di ascoltare la voce delle antiche pietre di questo tempio, ci sentiremmo ammonire con queste parole: «Noi siamo unite, compaginate, ciascuna nel posto in cui è stata voluta. E voi che venite qui per formare la Chiesa viva, con quale spirito vi riunite?». È importante prendere coscienza che tutti noi, riuniti attorno all’altare del Signore, realizziamo un’architettura meravigliosa in cui ciascuno, come pietra viva, dovrebbe gioire sapendo di concorrere alla bellezza di tutta la costruzione. Che importa se si è in alto o in basso, se si è nella luce dei capitelli o nelle oscurità delle fondazioni? Importa sapere che ciascuno dà e riceve, sostiene ed è sostenuto. Ogni nostra fatica ha un senso perché formiamo un tempio dove si celebra la bellezza, la bontà, la prossimità del nostro Dio.
Un secondo motivo di lode e di gratitudine al Padre è dato dal compimento della Visita Pastorale, indetta l’8 dicembre del 2018 e ufficialmente avviata il 15 gennaio del 2019. Con un ritmo spedito e secondo un calendario preciso, nel primo anno, ho potuto incontrare le diverse realtà presenti nel territorio diocesano: le Istituzioni civili, gli Ospedali, le Scuole, i Centri di aggregazione sportiva, il Mondo del lavoro, le Confraternite e parte delle Comunità parrocchiali.
Sopraggiunta la pandemia, la Visita è stata interrotta per tre volte e ripresa, in forma più breve ma non meno intensa, nelle restanti Comunità parrocchiali.
Ovunque sono andato, durante il mio pellegrinaggio pastorale, mi sono presentato nel nome del Signore: portando nel cuore il suo amore, sulla bocca la sua parola, nelle mani la sua grazia da donare.
Semplicità e povertà hanno caratterizzato la mia presenza, consapevole di trovare in voi l’unica ricchezza di cui essere fiero. A contatto con la nostra gente, ho avuto modo di percorrere le vie del cuore, anche quelle più profonde e più segrete. Quanta vitalità e impegno generoso ho visto nelle persone incontrate, quanta bontà nel volto sofferente degli ammalati, quanta voglia di protagonismo nei ragazzi e quante domande sul senso della vita e sul cammino della fede mi sono state poste dai giovani, quanta sapienza nelle parole degli anziani! A tutti esprimo la mia sincera riconoscenza per l’accoglienza che mi è stata riservata.
C’è, poi, una terza coordinata, sia pure più personale, che fa da contesto alla nostra celebrazione: si è compiuto da poco per me il quinto anno di servizio come vostro Vescovo e, proprio oggi, ricordo il quarantacinquesimo anniversario della mia Ordinazione Presbiterale. Ringrazio di cuore quanti si sono resi presenti con la preghiera e con parole di augurio e di affetto sincero.

2. «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato» (Lc 4,21).
Questa parola è al centro di una serie di “oggi” che ritmano il Vangelo di Luca, dalla nascita di Gesù fino alla morte in croce. «Oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore» (Lc 2,11); «Oggi la salvezza è entrata in questa casa» (Lc19,9); «Oggi sarai con me nel paradiso» (Lc 23,43).
Cari sacerdoti, l’oggi è per noi il ritrovarci come presbiterio per riaffermare davanti al Vescovo e alla Comunità cristiana la fedeltà al nostro ministero e rinnovare le promesse manifestate il giorno della nostra Ordinazione.
Anche gli Oli che saranno benedetti ci ricorderanno i molteplici doni che il Padre, per mezzo del Figlio, nello Spirito Santo, affida al nostro ministero: l’olio del Crisma che santifica ogni realtà e situazione di vita; l’olio dei Catecumeni che vince sullo spirito del male; l’olio degli infermi che dona conforto e liberazione nella malattia e di fronte alla morte. Al di là dell’uso e del significato proprio di ciascuno, i tre Oli costituiscono un simbolo del dono Pasquale dello Spirito che, proprio attraverso il ministero di noi sacerdoti, viene largamente elargito.
Nessuno può vantare un diritto al sacerdozio ministeriale. Nessuno può sceglierselo, come si sceglie un impiego qualsiasi. Per esso si può soltanto essere scelti da Lui, il solo che «sa lavorare e agire anche con strumenti insufficienti» (Benedetto XVI). Ciascuno di noi dovrebbe ripetere a se stesso: «Mi ha scelto per sempre. Mi ama per sempre con amore geloso, come sua speciale proprietà». Quale stupore e quale gioia ci vengono da questa verità!
Scelti da Lui, dobbiamo anche noi scegliere Lui, fargli spazio nella nostra vita, per diventare ogni giorno di più sua viva e autentica immagine.
In questa solenne celebrazione siamo lieti di unirci al magnificat di quanti nel corso dell’anno celebreranno il giubileo sacerdotale: don Michele Del Vecchio, don Vito Marino (al quale va il nostro augurio di pronta guarigione), don Salvatore Summo e padre Roberto Francavilla per il cinquantesimo anniversario; don Giuseppe Barile per il sessantesimo anniversario.
Carissimi, nell’adempimento fedele del nostro ministero si esprime tutta la nostra paternità. Papa Francesco, dedicando un anno speciale a San Giuseppe, ha voluto indicarcelo come modello di paternità. Nell’attuale società definita “senza padri”, il presbitero è chiamato a vivere una paternità a tutto campo che lo fa essere costruttore di relazioni, custode della propria comunità, pronto a cogliere i cambiamenti e i bisogni dei suoi figli, capace di correggere e di stimolare ciascuno a dare il meglio di sé, contento di amare tutti senza possedere nessuno e di stare vicino a tutti “con cuore di padre”. «Solo quando un amore è casto, è veramente amore. L’amore che vuole possedere, alla fine diventa sempre pericoloso, imprigiona, soffoca, rende infelici» (Patris corde, 7).
I nostri fedeli ci chiederanno di mostrarci il Padre, come un giorno l’apostolo Filippo chiese a Gesù (cfr. Gv 14,8), se mostriamo di essere noi per primi dei padri. La nostra, come quella di San Giuseppe, è una paternità che esige capacità di ascolto e di silenzio, prevede impegno quotidiano e non rilassamento, si svolge nell’ombra e non nella visibilità, si caratterizza per la capacità di comprensione e non per la rigidità delle proprie posizioni. Essa è esercitata con pazienza e coraggio, ma anche attraverso le nostre debolezze, paure e fragilità messe nelle mani di Dio, lasciando a Lui il timone della nostra barca (cfr. Ibid., 2).
Vi ringrazio, cari sacerdoti, per il vostro «coraggio creativo», dimostrato soprattutto in questo tempo di pandemia. Aiutati dal generoso impegno dei laici presenti nelle vostre Comunità, avete promosso tante iniziative di «contatto» per stare vicini alla gente e raggiungere, in particolare, le persone più fragili e più deboli.

3. Cari fratelli e sorelle, la paternità non appartiene solo ai presbiteri, è anche l’orizzonte del nostro essere Chiesa, che con amore e tenerezza è vicina ai vissuti lacerati delle persone. Mai come in questo tempo vorremmo sentire forte nel cuore la parola del Risorto: «Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28.20). Quali riflessi può avere questa certezza sul modo di intendere la nostra storia? Com’è il nostro oggi? È un oggi attraversato dalla crisi, ma valorizzato dalla fratellanza e aperto al futuro di Dio.

L’oggi attraversato dalla crisi
Rispetto allo scorso anno, abbiamo una percezione più grave dell’epidemia e il senso di stanchezza e di incertezza sta pesando sulle nostre vite e sulle nostre stesse comunità cristiane. Essa, come ha scritto il Papa, somiglia a una tempesta che «smaschera la nostra vulnerabilità e lascia scoperte quelle false e superflue sicurezze con cui abbiamo costruito le nostre agende, i nostri progetti, le nostre abitudini e priorità» (Fratelli Tutti, 32). Se c’è una parola che esprime in modo chiaro la situazione che tutti stiamo sperimentando, questa è la parola “crisi”. Nel suo ultimo discorso alla Curia romana, Papa Francesco l’ha evocata ben 46 volte.
La crisi è un fenomeno che sta coinvolgendo tutti, ma va affrontata riconoscendone il significato e l’importanza. Proprio perché destabilizza, la crisi prepara nuovi equilibri. Richiede – come ricorda la radice etimologica del verbo greco Krino – quel tipico lavoro di setaccio che pulisce il chicco di grano dopo la mietitura. In questo senso la crisi dà forma e compimento alla storia. La stessa Bibbia, da Abramo in poi, è popolata di personaggi in crisi, i quali però proprio attraverso di essa compiono la storia della salvezza.
Si direbbe che se non c’è crisi non c’è vita. La crisi ci sta portando ad abbandonare un modo di essere, di ragionare e di vivere che non rispecchia il Vangelo e ci apre alla novità che lo Spirito suscita costantemente. Bisogna viverla «come un tempo di grazia: è movimento e fa parte del cammino» (Papa Francesco). Così essa diventa una chiave di lettura che evoca la speranza, provoca cambiamenti, conferisce alla vita il movimento giusto per essere più evangelica. Non lasciamo che i profeti di sventura approfittino della crisi per seminare sfiducia e disperazione. Come cristiani abbiamo il dovere di iniettare la speranza, soprattutto là dove vediamo delle ferite.

L’oggi valorizzato dalla fratellanza
Con questa consapevolezza ci proiettiamo verso una direzione nuova della nostra vita, ovvero verso una vita più fraterna che abbatte tutte le barriere e le distinzioni e si traduce in solidarietà. È quello che sta già avvenendo. Ci sono persone che, senza comparire troppo come San Giuseppe, stanno scrivendo gli avvenimenti decisivi della nostra storia. «Quanta gente esercita ogni giorno pazienza e infonde speranza, avendo cura di non seminare panico ma corresponsabilità. Quanti padri, madri, nonni e nonne, insegnanti mostrano ai nostri bambini, con gesti piccoli e quotidiani, come affrontare e attraversare una crisi riadattando abitudini, alzando gli sguardi e stimolando la preghiera. Quante persone pregano, offrono e intercedono per il bene di tutti» (Papa Francesco, Meditazione in tempo di pandemia – 27 marzo 2020).
Questo tempo ci sta insegnando che siamo un’unica famiglia, «viandanti fatti della stessa carne umana, ciascuno con la ricchezza della sua fede o delle sue convinzioni, ciascuno con la propria voce, tutti fratelli» (Fratelli tutti, 8).
Nella concretezza della dura quotidianità, siamo chiamati a mettere in atto un accompagnamento discreto e amorevole, declinato nei mille modi possibili, dalle attività caritative al semplice sorriso o alla telefonata per dire: «Io ci sono, non temere, resto al tuo fianco». Tutto questo, in fondo, appartiene al munus regale di Cristo, che si è fatto servo di tutti. È nella cura dell’altro che la vita trova il proprio senso. Questa pandemia ci ha ricordato che ciascuno di noi dipende dall’altro.

L’oggi aperto al futuro di Dio
Al termine della Visita Pastorale invito tutti ad alzare lo sguardo per ritrovare il gusto del futuro di Dio verso il quale siamo incamminati. Mi rivolgo, in particolare, agli ambiti e alle categorie che ho avuto modo di incontrare.
Le Istituzioni civili facciano il possibile per rendere i nostri Comuni abitabili e umani. Si facciano sempre più carico dei giovani, perché possano accedere a percorribili prospettive di lavoro in loco; non dimentichino le famiglie che in questo momento sono in affanno, quanti sono disoccupati e quanti sono caduti in depressione e finiti in qualche forma di dipendenza. Nessuno sia lasciato indietro senza uno spiraglio di speranza.
La scuola, fortemente penalizzata dalla pandemia, attraverso il lavoro encomiabile dei docenti e dei dirigenti scolastici, realizzi sempre meglio la sua vocazione di palestra dove si costruisce il futuro buono del nostro Paese.

Il mondo del lavoro è l’urgente questione sociale del momento. Ogni lavoro onesto «diventa partecipazione all’opera stessa della salvezza» e «occasione di realizzazione» per se stessi e per la propria famiglia. Senza un degno sostentamento non c’è dignità umana. Da qui il richiamo di papa Francesco a «rivedere le nostre priorità» per impegnarci a dire: «Nessun giovane, nessuna persona, nessuna famiglia senza lavoro!». Consapevoli che «quello che facciamo è soltanto una piccola goccia nell’oceano» (Madre Teresa), come risposta concreta rispetto alle povertà che ho potuto leggere e incontrare nella Visita Pastorale, tra cui molte riconducibili all’assenza di opportunità lavorative, è di imminente attivazione nella nostra Diocesi il micro-credito come forma di prestito etico e sostenibile erogato in favore di soggetti fragili.

I Centri di aggregazione sportiva, appena torneranno ad essere fruibili, siano luoghi di educazione al senso della disciplina, al rispetto delle regole, al gioco di squadra e, allo stesso tempo, opportunità per sviluppare i talenti ricevuti da Dio, dare il meglio di se stessi e riconoscere i propri limiti.
I ragazzi e i giovani siano pensati come la vera risorsa della società e della Chiesa. Facciamo in modo che si sentano veri protagonisti favorendo, e non spegnendo, il loro entusiasmo, la loro capacità di guardare avanti, il loro desiderio di radicalità nelle scelte di vita. Aiutiamoli a mettere le loro fresche energie a servizio di Dio e dei fratelli. A loro vorrei consegnare quello che un giorno disse Mahatma Gandhi: «La vita non è aspettare che passi la tempesta, ma imparare a ballare sotto la pioggia». I giovani cristiani incarnano proprio questo.

Le comunità parrocchiali siano il cantiere della speranza sempre aperto nelle nostre città. In questo momento anch’esse sono chiamate a spingersi verso prospettive inedite e possibili cambiamenti, a praticare percorsi di conversione pastorale, riformulando un sogno di parrocchia che sia all’altezza del Vangelo. Una parrocchia che non si riduca né ad una vetrina di antiquariato né ad una pinacoteca, ma che si ripensi come laboratorio di futuro: creativo, attraente, appassionante.

Una parrocchia dal formato famiglia, dove non ci si sta per convenienza o per dovere, ma per amore; dove si sperimenta il senso dell’accoglienza e si respira il profumo della gioia.
Una parrocchia che sia madre dal cuore grande, come quello di Dio, dove c’è spazio per tutti: per chi condivide con noi la fede, ma anche per chi è più lontano.
Una parrocchia che non diventi mai l’isola dei pochi ma buoni o piccola azienda per utenti passivi, ma che sia un crocevia per gli ‘affamati’ di salvezza, per gli ‘scartati’, per quanti vivono ‘negli scomodi tabernacoli della miseria, della sofferenza, della solitudine’ (don Tonino Bello).

Coraggio, Santa Chiesa di Molfetta – Ruvo – Giovinazzo – Terlizzi!

Mantieni accesa la fiaccola della speranza, poiché ogni nostro giorno custodisce il respiro di Dio ed è carico della sua presenza.
A Lui la lode e la gloria nei secoli. Amen.

+ Domenico Cornacchia, Vescovo