Chiesa locale

Ravviva il dono di Dio che è in te. Omelia per la Messa Crismale 2024 di S.E. Mons. Domenico Cornacchia

Mercoledì Santo 27 marzo 2024

Carissimi sacerdoti, diaconi, religiosi/e, consacrate/i secolari, seminaristi, fedeli tutti, vi saluto nel nome del Signore. Saluto con particolare gioia i miei confratelli nell’episcopato, Mons. Felice di Molfetta e Mons. Vincenzo Turturro. A te, Eccellentissimo don Vincenzo, esprimiamo i nostri vivissimi ed affettuosi auguri per la tua Ordinazione Episcopale, avvenuta lo scorso 9 Marzo a Roma e, per un fecondo, sereno servizio alla Santa Sede, quale Nunzio Apostolico in Paraguay. Ti accompagniamo con la preghiera, che ne siamo certi, sarà ricambiata.

 

La Messa Crismale certamente è la celebrazione che rende ancor più evidente il clima di una vera festa del sacerdozio ministeriale all’interno di tutto il popolo sacerdotale. Essa è il momento in cui, sacerdoti e popolo cristiano, si riuniscono per esprimere il rendimento di Grazie al Buon Dio del grande dono del sacerdozio. In questa celebrazione eucaristica vengono benedetti gli Oli Santi dei Catecumeni, degli Infermi e del Santo Crisma. Con quest’ultimo Olio veniamo unti il Giorno del Battesimo, della Confermazione, dell’Ordinazione sacerdotale ed episcopale. Questa è la Liturgia eucaristica nella quale siamo invitati a pregare in particolare per i nostri sacerdoti. Preghiamo per i neo presbiteri ordinati il 27 Gennaio scorso, per i sacerdoti che celebrano il loro anniversario di Ordinazione sacerdotale, don Gianni Rafanelli (25 anni) e don Michele (detto Lello) Cagnetta (50 anni). Preghiamo per le vocazioni al sacerdozio!

La gratitudine per il sacerdozio ministeriale

Insieme, consideriamo e richiamiamo la finalità della nostra chiamata, che si riassume nelle parole del Profeta Isaia: “Il Signore mi ha consacrato con l’unzione; mi ha mandato a portare il lieto annunzio ai miseri e, a dare loro un olio di letizia” (Is 61, 1-5). Quanto dice il profeta non può essere semplicemente un vanto, un singolare privilegio tra i ricordi del passato e basta. Per noi tutti, investiti del Sacro Ordine e Battezzati, sia questa, un’occasione propizia per  essere più consapevoli della dignità profetica alla quale il Signore ci ha chiamati.

Non manchi in noi l’olio della consolazione

Dare l’olio della consolazione è la nostra peculiare missione: spargere l’olio della misericordia, della luce, dell’incoraggiamento! Nessuno deve trovarci sprovvisti di tale olio! Il nostro è un ministero di consolazione, che brilla sui nostri volti, mandati come siamo ad annunciare ai poveri il Vangelo, a rincuorare gli afflitti, a spezzare le catene, a liberare dal male, ad annunciare la pace e, a proclamare un anno di grazia del Signore (Cf Lc 4, 18-19). Tante sono le ferite da curare ed addolcire col dolce balsamo! È la vocazione alla quale siamo tutti chiamati, oggi più che mai: della profezia, dell’evangelizzazione e della carità!

la nostra vocazione, fuoco da ravvivare

Con voi, desidero soffermarmi sulla profonda espressione che l’Apostolo Paolo indirizza al suo figlio spirituale, il discepolo Timoteo: “Ravviva in te il dono ricevuto da Dio” (2Tm 1, 6)! Non è questa forse, l’occasione in cui, anche noi, siamo chiamati a ravvivare la gioia della nostra vocazione e della nostra missione? L’“oggi”, di cui si parla nella Scrittura appena ascoltata (Cf Lc 4, 21), deve scuoterci e, metterci in cammino.

 

Domandiamoci: il dono della fede, che il Signore ci ha fatto, è una sorta di eredità che, col tempo, si riduce sempre più nel suo valore, oppure viene alimentato, incrementato ed apprezzato da coloro che ne possono beneficiare? San Paolo esorta il discepolo Timoteo a ravvivare il dono che il Signore  gli ha conferito per il bene della comunità e per la diffusione del Regno di Cristo. Il tempo, le circostanze a volte avverse, possono far evaporare il fascino anche della più bella scelta di vita! Per questo San Paolo lega il ministero di Timoteo al germe della fede, trasmesso a lui, tramite la testimonianza della sua nonna Lòide e di sua madre Eunìce (2Tm 1, 4). Quanto è importante il ruolo della famiglia cristiana, anche oggi! Certo non sono tempi facili e sereni! Sappiamo però che non si può vivere di sola rendita. Senza dubbio, dobbiamo sempre più essere consapevoli che ogni dono che il Signore ci fa “è per, a favore di altri”, di chi ha bisogno, partendo da chi è a noi più vicino. Papa Francesco, di recente, ha detto che, nel cammino spirituale, abbiamo bisogno di punti di appoggio. E noi, dobbiamo esserlo per gli altri!

 

Paolo fa una sorta di consuntivo del suo cammino apostolico e pastorale. Sembra che voglia condividere con noi un prototipo di testamento spirituale. Egli ha vissuto l’esperienza del carcere a motivo della testimonianza cristiana. Sente di essere giunto al termine della battaglia dell’annuncio evangelico. (Cf 2Tm 4,7). Sentiamo rivolta anche a noi presbiteri, la sua esortazione: “Ravviva il dono di Dio che è in te per l’imposizione delle mie mani” (2Tm 1, 6). È proprio quello che anche noi vogliamo fare: vedere come e da dove cominciare a ravvivare il dono ricevuto da Dio, quello della fede cristiana, della sacra Ordinazione, al fine di contribuire alla diffusione del Regno di Dio. Sappiamo bene che per quanto grande possa essere un fuoco, se non viene alimentato, si spegne, muore! Così è anche la nostra vocazione e la nostra fede.

 

Il verbo ravvivare (Id 4, 6) (dal greco anazopiuréin) significa smuovere il fuoco, riaccendere un tizzone che si sta spegnendo, ma che non è ancora spento. Tale fuoco è detto kàrisma (Cf 1Tm 4, 14) ed indica il dono di di Dio, ma è anche il nostro impegno! Bisogna ripartire a fare con cuore, con gioiosa passione, con assoluta libertà interiore le piccole cose, quelle quotidiane. È qui richiamata la “successione apostolica” mediante la preghiera sul candidato e l’imposizione delle mani (Cf At 8, 18).

 

Il Mercoledì delle Ceneri, Papa Francesco ci ha messo in guardia dal nascondere il fuoco della nostra fede e del nostro ministero, sotto la cenere dell’accidia, della superbia e dell’indolenza! Chiediamoci dunque: come si può e si deve ravvivare il dono del ministero di cui il Signore ci ha fatti partecipi? Parafrasando il pensiero di Isaia: [domandiamoci] “Coloro che ci vedono, ci riconoscono come coloro che sono partecipi della stirpe eletta del Signore?” (Cf Is 61, 9). Carissimi ed amati sacerdoti, anche noi siamo chiamati a soffrire “per” il Vangelo (2Tm 1, 8).

 

Se la nostra chiamata è un dono impegnativo, dev’essere anche un modo gioioso ed irresistibile di farlo nostro, di accoglierlo in noi e di diffonderlo intorno a noi.

 

A tutti e a ciascuno di voi, carissimi presbiteri, diciamo un sincero ed affettuoso grazie per  l’abnegazione con cui servite le nostre Comunità e gli ambiti del ministero ecclesiale. Grazie anche della pazienza che avete con me e della comprensione delle mie mancanze e limiti! Sappiate che vi voglio davvero bene!

 

Fissiamo lo sguardo su Gesù

Nella Sinagoga di Nazaret gli occhi di tutti erano fissi su di Lui, il Signore (Lc 4, 20). Noi pure, non distogliamo lo sguardo da Cristo. Lasciamoci da Lui ammaliare, conquistare, sedurre ed ammaestrare.

 

Paolo è in catene; Timoteo non deve provarne vergogna. Viaggi, incontri, lavori e preghiere hanno caratterizzato la missione di Paolo. Egli ha dimostrato di essere pieno di amore per Gesù e per il Vangelo. Ha subìto persecuzioni (cf 2Cor 11, 23-27), umiliazioni, condanne, prove. Nonostante tutto però è rimasto fedele alla chiamata di Gesù di essere  suo testimone per il mondo, sino al martirio. (At 19, 21-28.31). Come Paolo, anche noi dobbiamo poter ripetere ai nostri fedeli: “Fatevi miei imitatori, come io lo sono di Cristo” (1Cor 11, 1).

 

Guardiamo agli esempi riusciti

Per ravvivare in noi il dono della vocazione ricevuto dal Signore, guardiamo ad alcuni esempi riusciti nel sacro ministero. Diceva San Giovanni Paolo II: “Fate della vostra vita un capolavoro”! Ognuno di noi ha la possibilità, singolare, unica e personale, di ravvivare il dono della speciale chiamata alla sequela di Cristo! Pertanto, a ciascuno di voi, fratelli nel sacerdozio, ripeto quanto un teologo scrive a riguardo: “Tieni dentro di te un piccolo fuoco che brucia; per quanto piccolo, per quanto nascosto” (Cormac McCarthy)! È una raccomandazione che Papa Francesco esplicita con un semplice esempio: “Se in uno stadio, in una notte buia, una persona accende una luce, si intravvede appena, ma se gli altri settantamila spettatori accendono ciascuno la propria luce, lo stadio si illumina. Facciamo che la nostra vita sia una luce di Cristo; insieme porteremo la luce del Vangelo all’intera realtà”. È vero, il mondo brancola nel buio. Tuttavia: “Quando l’esistenza diventa sempre più buia, se una sola luce si accende, il buio non ha l’ultima parola” (Anonimo).

 

E, ancora, il Pontefice così puntualizza: “Si fa fatica a rimanere in piedi, l’equilibrio è instabile e, le cadute sono frequenti. Scarseggiano i «punti di appoggio»”. Dobbiamo far in modo da essere noi, quel punto d’appoggio tanto desiderato da chi cammina accanto a noi! Ce la dobbiamo fare! Sappiamo che una virtù, come un vizio, non sono altro che un allenamento nel bene o nel male.

 

Il giovane tennista Jannik Sinner, dopo un grande successo sportivo in Australia (28 gennaio 2024), ha detto: “Tutte le partite che si vincono, non si vincono nel giorno in cui si disputano. Si vincono preparandosi per mesi, forse anni, lavorando per quella partita. […]. Non ho paura di sbagliare”.

 

Miei cari, diamo prova al Signore che vogliamo corrispondere alla sua chiamata! L’Apostolo così si rivolge al discepolo Timoteo: “… Attingi sempre forza nella grazia che è in  Cristo Gesù… Tu rimani saldo in quello che hai imparato e di cui sei convinto” (2Tm 3, 11) e, gli confida: “Tutti mi hanno abbandonato, […] il Signore però mi è stato vicino e mi ha dato forza” (Id 4, 16-17). Carissimi, quando Gesù entrò nella Sinagoga, leggendo il brano del Profeta Isaia, disse: “Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato” (Lc 4, 21).

 

Forse siamo ancora troppo lontani dal poter dire che oggi si è adempiuta la parola ascoltata! Quanti, animati da profonda fede, al solo passaggio di Gesù e degli apostoli venivano guariti, sfiorati appena dal loro mantello (Mc 5, 25-34. At 5, 5, 15)! Ai nostri giorni, purtroppo, pare che si giri alla larga, dal Signore e dai sacri ministri. Più che ostilità e negazione della Chiesa e di Gesù Cristo a farci paura, oggi, è proprio la contagiosa indifferenza.

 

Questa è la sfida più grande da vivere per noi! Allora, più che badare a riconquistare il nostro spazio cristiano perduto, sforziamoci di essere, alla luce del Risorto, segno inequivocabile dell’amore di Dio per gli oppressi, gli afflitti, i carcerati, gli accecati dall’odio e dalla vendetta! Più che tendere a cristianizzare, dobbiamo evangelizzare, testimoniare cioè, l’amore di Dio per il mondo, anche nostro tramite.

 

Invito a non tacere

La società secolarizzata ci invita a tacere, a mettere da parte Cristo e il suo Vangelo. La Chiesa del silenzio, però non tace, non è quella che sta zitta, ma è quella della parresia, del martirio anche cruento, dello sporcarsi le mani.

 

Ravviviamo la nostra fede con i rami secchi della nostra fragile umanità, delle nostre umiliazioni e dei nostri sacrifici! Tra poco sarà benedetto l’olio. Un tempo le lampade erano ad olio: quanto più il lucignolo ardeva e bruciava, tanto più risplendeva la luce in casa.

 

Cari fedeli, fratelli e sorelle, vi chiediamo di alimentare le lampade nostre e, del prossimo, con l’olio della preghiera, della vicinanza, della comprensione e dell’ascolto. Cerchiamo tutti di essere sempre più: contemplativi nell’azione, nel quotidiano, nella ferialità del nostro vivere.

 

Dio opera ancora prodigi “non comuni”

E noi, cari fratelli sacerdoti e consacrati a speciale ministero, prendiamo a modello, come qualcuno ha definito, il simpatico personaggio di Don Camillo del Guareschi: era un prete che aveva l’abitudine di parlare con il Crocifisso, in un dialogo a tu per tu, nel quale il parroco confidava tutto ciò che riguardava  lui stesso e la Comunità parrocchiale.

 

Infine, il Libro degli Atti dice che: “Dio operava prodigi non comuni per opera di Paolo” (At 19, 11). Auguro a noi presbiteri e fedeli tutti, che il Signore continui ad operare almeno prodigi comuni nella quotidianità e nella ferialità dei semplici.

 

Così sia!