Carissimi fratelli e sorelle, cari sacerdoti, confratelli, autorità civili e militari, signor Sindaco,
celebriamo oggi la Festa del Corpo e Sangue di Gesù Cristo, nostro Salvatore. È il sacramento visibile della sua presenza invisibile.
La Liturgia ripete anche a noi le esortazioni di Mosè al popolo: “Ricordati di tutto il cammino che il Signore ti ha fatto percorrere in questi quarant’anni nel deserto […]. Non dimenticare”. (Dt 8,2.14)
Il popolo deve fare memoria di quanto il Signore gli ha donato perché non muoia di fame e di sete. “L’uomo non vive soltanto di pane, ma di quanto esce dalla bocca del Signore” (ivi, 3).
Gesù, nel Vangelo di Giovanni afferma: “Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno” (Gv 6, 51.54).
Noi siamo “il nuovo popolo” in cammino, nel deserto della vita. In questo deserto, però, non siamo soli: Dio si fa nostro cibo, nostro sostentamento. Egli, nostro viatico, non ci dona un pane qualsiasi, ma se stesso. Egli, in noi, diventa energia e, nello stesso tempo, meta del nostro cammino. Inoltre, in questo esodo terreno, noi siamo in compagnia di altri fratelli, siamo tutti un solo corpo (1Cor 10, 17). Gli uni, uniti agli altri.
Chi mangia dell’Eucaristia dunque, è in comunione con Cristo e con il suo corpo che è la Chiesa. L’Eucaristia e la Chiesa non sono due corpi separati, ma un’unica realtà, chiamata Corpo di Cristo. Il corpo eucaristico è il fondamento, la giustificazione e la manifestazione del corpo ecclesiale.
La comunione con Cristo, Capo, è condizione e fondamento della comunione con i fratelli, membra del medesimo corpo. Se vogliamo, la comunione visibile tra noi è l’unica prova di quella invisibile con il Signore! Condividere la mensa dell’altare non può prescindere dalla mensa della vita quotidiana.
A volte, dalla cronaca abbiamo appreso episodi di profanazione dell’Eucaristia. Subito si cerca di sanare, di bonificare tale sacrilegio, con preghiere di riparazione e atti di penitenza. Se necessario, si riconsacra l’altare medesimo. Perché non abbiamo la stessa ed immediata reazione, quando viene profanato il corpo ecclesiale, quando cioè assistiamo a ingiustizie e disparità, violenze e sopraffazioni? Quante lacerazioni anche all’interno del tessuto ecclesiale! Eppure, questo non è oltraggio minore di quello, perché riguarda sempre il “corpo” di Gesù. Se in noi non c’è posto per Gesù, vuol dire che qualcun altro o, qualche altra cosa, hanno preso possesso alla grande nel nostro cuore!
Se davvero siamo cristiani, viviamo in maniera più eucaristica la nostra esistenza. Siamo noi ad essere assimilati a Cristo, non viceversa, quando ci nutriamo di Lui (S. Agostino).
Chiediamoci, cosa possiamo fare per sentirci degni commensali del Signore e in comunione con il nostro prossimo? “Dimmi di cosa ti nutri e, ti dirò chi sei”, diceva qualcuno. Cosa sarebbe la nostra vita se si nutrisse di tutto, ma non del Signore, della Santa Eucaristia e della sua Parola? Viviamo più di adorazione, di comunione eucaristica e di comunione fraterna.
Adorare Cristo nel Tabernacolo deve spingerci ad inchinarci dinanzi al tabernacolo di Cristo che sono i poveri e il prossimo.
Un grande statista, Alcide de Gasperi, diceva: “Mi inginocchio dinanzi all’Eucaristia, per poter essere in piedi dinanzi agli uomini”. Oh! Tante volte, nella nostra vita, capita esattamente il contrario: ci inginocchiamo dinanzi ai potenti della terra e mettiamo sotto i piedi il nostro Redentore.
Vi è un delicato monito per noi sacerdoti da parte di San Francesco d’Assisi, il quale così diceva ai suoi frati: “Ecco, ogni giorno Egli si umilia nella Santa Eucaristia, come quando dalla sede regale discese nel grembo della Vergine Maria. Egli stesso, ogni giorno discende dal seno del Padre sull’altare, nelle mani del sacerdote”. E, in una lettera a tutto l’Ordine, Francesco esclama: “Quanto dev’essere santo, giusto e degno colui che stringe nelle sue mani, riceve nel cuore e offre agli altri questo Santissimo Sacramento. Oh umiltà sublime! Oh sublimità umile! Il Signore dell’universo, Dio e Figlio di Dio, così si umilia da nascondersi, per la nostra salvezza, sotto poca apparenza di pane. Guardate fratelli. È umiltà di Dio”!
A conclusione di questa riflessione, diciamo che l’uomo è affamato di Dio. Non è forse vero che tutto il benessere di oggi non ha fatto crescere di un grammo la felicità umana? La vera gioia non consiste nell’accaparrare, ma nel farsi dono; proprio come ha fatto e fa Gesù, ogni giorno, per noi, sulla mensa eucaristica.
Santa Teresa di Calcutta diceva: “Senza Eucaristia non potrei vivere un solo giorno. E, senza Eucaristia non potrei portare l’amore ai poveri”.
Guardando quei raggi di ogni Ostensorio, pensiamo a come anche la nostra vita è chiamata ad essere una irradiazione di quella luce che promana dal Cristo Vivente nelle sacre specie eucaristiche.
Così sia!
+ Domenico Cornacchia, Vescovo