La Giornata Mondiale contro la Violenza sulle Donne, il 25 novembre, rinnova annualmente l’intenzione di promuovere una cultura che valorizzi la donna e sconfigga ogni tipo di violenza contro la stessa.Que-sto significa pensare in grande e in modo globale. Vuol dire, soprattutto, riconoscerne la dignità, in ogni dimensione di vita. Inclusa quella professionale.
Da settembre, in tv e su Youtube, viene diffuso uno spot per la parità salariale tra uomini e donne, soprattutto quando lavorano nel privato. Ciò non solo indica la necessità di ribadire un’uguaglianza non ancora raggiunta, ma una conquista culturale che implica un cambio di mentalità.
Il video in questione è stato promosso da Valore D, un’associazione nata nel 2009 dall’incontro tra dodici manager e che conta oggi in Italia oltre 180 imprese associate, per un totale di più di un milione e mezzo di dipendenti. L’impegno è garantire un equilibrio di genere e una cultura inclusiva.
Tutto comincia dalla campagna social #NoPayGap, lanciata ad aprile, trasmesso negli ultimi mesi sulle tre principali Reti RAI.
Se provate a cercare il video su Youyube (o dal qrcode accanto, ndr), noterete la serie dei commenti che lo accompagnano: superficiali e aggressivi. La violenza sulle donne si esercita a più livelli: quella fisica è la più visibile, ma quella che si manifesta sotto forma di commenti accusatori, di proposte non compatibili con la scelta di maternità delle donne, con una retribuzione di fatto inferiore al collega maschio è da evidenziare/combattere con decisione e continuità.
La violenza di genere è molto più pervasiva di quanto si creda. A chi commenta che le donne siano favorite in molti aspetti della vita pratica (riduzione dei biglietti del cinema una volta a settimana o dei biglietti dei treni in occasioni speciali, sconti nei negozi, maternità a rischio, riduzione ore di lavoro per allattamento e via dicendo), sfugge che sono ancora tanti gli ambiti in cui il loro accesso è limitato o ancora impari. Le donne sono accusate di abusare dei diritti loro offerti soprattutto in relazione alla maternità (avviene, è vero, in alcuni casi, ma andrebbero conteggiate le situazioni reali di abuso), di usufruire di riduzioni pur reclamando la parità dei sessi, di avere una o più Giornate a loro dedicate, di fare lavori meno logoranti.
In un articolo di Mattia Mor su Il fatto quotidiano (31 luglio 2018) si legge che in Italia le donne lavorano gratis per oltre due mesi l’anno, in disappunto con quanto si asserisce nell’art. 37 della Costituzione che prevede parità di retribuzione tra uomini e donne.
In Italia c’è ancora molto da scardinare sui vecchi stereotipi che vedono la donna relegata al ruolo di moglie e madre; quando riveste ruoli dirigenziali, non sono pochi i commenti malevoli volti a giustificare la “scalata” più per prestazioni sessuali che per meritocrazia.
La differenza di valutazione per lo stipendio fra uomini e donne nel privato riguarda da un lato le differenze nella composizione della forza lavoro (età, livello di istruzione, settore di attività e tipo di occupazione) e dall’altro la remunerazione delle caratteristiche individuali e occupazionali tra i sessi.
Anche quando le donne hanno un livello di istruzione più alto degli uomini, il loro lavoro vale meno, a livello retributivo. Ad esempio, l’Islanda è stata la prima in Europa a varare una legge per la parità salariale che obbliga le aziende a stabilire stipendi identici per uomini e donne. In Italia questa disparità corrisponde al 4,9%. In parte ciò è dovuto anche alla minore occupazione femminile.
La Giornata contro la violenza sulle donne sia opportunità, per le donne, di prendere coscienza delle loro possibilità e del loro valore e, per gli uomini, occasione di abbattere pregiudizi e barriere mentali ed economiche.
di Susanna M. de Candia