Attori e spettatori nell’era digitale

di Luigi Sparapano

C’è un passaggio culturale di non poco conto, realizzato negli ultimi anni, nel modello di fruizione dei media e dei contenuti mediali che i palinsesti televisivi e la diffusione delle nuove tecnologie hanno reso possibile. I sociologi della comunicazione lo chiamano “diffused audience” (pubblico diffuso) riferendosi a quel pubblico costituito da persone che trascorrono una grande quantità di tempo nel consumo di mass media in casa e fuori, per le quali i media sono ormai una dimensione costitutiva della vita quotidiana.

Programmate proprio nelle ore in cui la famiglia è ancora riunita, laddove i tempi lavorativi lo permettano ancora, si rincorrono in TV trasmissioni spudoratamente diseducative che ci abituano lentamente a sorbire litigi e contrapposizioni; uomini e donne da provare, prendere e lasciare; anziani divertiti che divertono giocando e ballando in pubblico con i propri sentimenti; occhi tecnologici che scrutano e ci rimandano l’artefatta convivenza di giovani e adulti, sconosciuti o famosi, chiusi in casa o inviati in esilio su isole sperdute, a mettere in mostra ogni residuo di intimità.

È un pubblico che, con l’avvento dei social network, abbraccia sempre più persone di ogni età, sollecitate e coinvolte in un continuo processo di spettacolarizzazione di qualsiasi evento, tanto della vita privata che di quella sociale. Da un po’ di anni, infatti, ci pervade l’exploit di internet e dei social network (Facebook in prima linea), di Youtube e quant’altro, dove ciascuno può tranquillamente cercare amicizie, comunicare stati d’animo, mostrare al mondo la sua vita personale, far sapere le scarpe che ha comprato o l’ultimo bacio dato’

Uno degli effetti di questa intrusione dei media nella vita quotidiana è che così facendo qualsiasi evento può essere trasformato in performance, in spettacolo, in esibizione, e chi vi partecipa vede se stesso ad un tempo attore e spettatore, con una crescente difficoltà a distinguere il reale dal virtuale. Guardare ed essere guardati e, ancor più, compiacersi di come si viene guardati, questa è la linea delle attuali programmazioni televisive e degli spazi che concede la rete.

Ancora, i sociologi, sintetizzano questo processo nel paradigma “spectacle/performance”, evidenziando come nell’attuale comunicazione mediale venga sempre più esaltato il proprio narcisismo, il desiderio di apparire e di essere guardati in un circuito sempre più corto e ripiegato che, al contrario di quanto si possa pensare, mette a rischio la relazione interpersonale vera, preferendo quella virtuale, ideale.

È necessario quindi prendere coscienza del fenomeno e tentare di porre degli argini alle sue derive pervasive e perverse, che possono indurre atteggiamenti impropri e di pericolosa dipendenza; occorre anche valorizzarne opportunamente le potenzialità, senza recriminazioni che si configurerebbero come anacronistiche.

Se rispetto ai programmi televisivi l’unica forma di obiezione di coscienza da porre in essere è l’uso del telecomando e di conseguenza l’influenza che si può esercitare sui dati dell’audience (oltre che attivare un dialogo in famiglia sulle questioni poste da certi programmi), riguardo ad internet, una realtà che ormai fa parte della vita quotidiana di molte persone senza che siano richieste competenze specifiche, la riflessione deve approfondirsi sia sul piano culturale che su quello educativo. Da un semplice giro di domande risulta evidente come internet sia un luogo da frequentare per stare in contatto con amici lontani, leggere le notizie, acquistare beni o prenotare viaggi, condividere idee ed interessi… Ma anche le richieste di amicizia e di relazioni moltiplicate virtualmente danno l’idea di non essere più uno spazio di alcuni momenti della giornata, quanto piuttosto una dimensione fluida giocata tra l’on-line e l’off-line, che può compromettere sul serio la nostra capacità riflessiva e relazionale. Nell’ultimo messaggio del Papa per la prossima Giornata delle Comunicazioni Sociali risulta chiara la consapevolezza di questa era digitale: «Vorrei invitare i cristiani ad unirsi con fiducia e con consapevole e responsabile creatività nella rete di rapporti che l’era digitale ha reso possibile. Non semplicemente per soddisfare il desiderio di essere presenti, ma perché questa rete è parte integrante della vita umana (…).Anche in questo campo siamo chiamati ad annunciare la nostra fede».

Ancora una volta siamo chiamati in causa tutti, anche in quanto credenti, a coscientizzarci e offrire il prezioso contributo educativo che tenga alto il valore e la dignità della persona anche nella sua interazione virtuale.