Comuni e crisi: un colpo di scure

di Nicola Salvagnin

Così come sono, i Comuni italiani non ce la fanno più a sostenersi finanziariamente. I continui tagli ai trasferimenti statali, reiterati pure nell’ultima manovra del governo Monti, li stanno mettendo in ginocchio. Mancano i soldi per servizi alla comunità considerati importanti, come gli asili nido, il trasporto scolastico, l’assistenza sociale. E siamo ai limiti pure per il pagamento degli stipendi correnti per il personale assunto.

L’Imu, entrata in vigore nelle settimane scorse, ha alleviato la situazione di alcuni, ma non certo di molti altri: non tutti possono contare sui 10 milioni di euro incassati da una Cortina d’Ampezzo ricca di seconde, opulente case; o sugli introiti derivanti da strutture commerciali e produttive che pagano solo se ci sono. Mancano le risorse correnti, è impedita sostanzialmente la possibilità d’indebitarsi, di contrarre mutui. Quindi niente nuove scuole o palestre, marciapiedi o manutenzione stradale, parchi e gestione degli stessi.
Un brutto colpo, l’ennesimo, per queste realtà istituzionali considerate a ragione le più vicine al cittadino, e solitamente pure le più attente nella gestione delle risorse finanziarie, a parte il caso di qualche grande città che si ritrova sul groppone debiti spaventosi. Molto spesso i cittadini eletti a sindaco svolgono questa gravosa funzione come puro volontariato, o con un esiguo rimborso spese; tra l’altro sono già stati tagliati compensi e numero di assessori e consiglieri comunali.
Dicevamo all’inizio: così come sono. Perché se questa marea di tagli hanno colpito più e più volte i Comuni, vuol dire che ci sono due spiegazioni: o i governanti italiani non credono molto all’importanza del Comune come ente territoriale, frutto di una miopia che non si spiega; o non vogliono che la situazione rimanga così.
In Italia ci sono venti Regioni, un centinaio di Province (ma si sta decidendo sul loro dimezzamento) e ben 8.082 Comuni. Di questi, solo 650 superano i 15 mila abitanti. Vuol dire che la stragrande parte di essi è composto di pochissime migliaia di residenti. In Molise, la media è di 2.200 abitanti.
La recente spending review pretende un massimo di un dipendente ogni 144 abitanti nei Comuni che ne hanno meno di 10 mila. E siamo arrivati al nocciolo della questione: il governo considera troppi i dipendenti comunali attualmente in servizio, è qui che si vuole in definitiva colpire. Ci sono municipi – tantissimi – che sono il principale datore di lavoro locale. Ci sono funzioni che più non si giustificano con i tempi e le tecnologie moderne: un ufficio anagrafe per ogni piccolo Comune è un lusso considerato oggidì impossibile da permettersi.
Negli anni si è provato a ridurre sia il numero dei municipi che il personale degli stessi. Le Unioni dei Comuni, ad esempio, hanno cercato di realizzare lo scopo raggruppando due o più realtà per ottimizzare servizi e costi. Finché queste Unioni hanno ricevuto incentivazioni economiche, hanno avuto fiato; senza queste, si sono fermate.
Quindi ci troviamo di fronte ad una prospettiva corretta (ridurre l’eccessivo numero di realtà comunali) perseguita con metodi discutibili, diremmo ‘all’italiana’: non si pianifica con metodo, ma si raggiunge il risultato togliendo l’ossigeno. Non si razionalizza, ad esempio, l’offerta ospedaliera con un disegno complessivo che può anche essere doloroso per le piccole od obsolete realtà: le si fa morire pian piano, chiudendo un reparto, impedendo la sostituzione del personale.
Con i Comuni siamo qui. La logica direbbe di riordinare la questione: il Comune c’è solo se ha un tot di residenti, quindi si valutano le unioni e il personale in carico. Si è scelto il colpo di scure: spariti i soldi, spariranno giocoforza molti Comuni e molti dipendenti comunali. Ma così si rischiano inefficienze e disordine.
Queste poi sono solo parole. Nei fatti, significa il rischio di chiusura di nidi e scuole, lo spegnersi dell’assistenza alla popolazione, del controllo del territorio (urbanistica, lavori, traffico) e di altro ancora.
Non è detto che debbano per forza essere dei dipendenti comunali a fare tutto ciò. Ma finora mancano pure le alternative, se è vero – come è vero – che ad esempio i trasferimenti alle scuole non statali sono stati massacrati. O che si vorrebbe affidare ai Comuni maggiori poteri di accertamento sulle imposte, ma non si capisce chi e come dovrebbe esercitarli.
Il bicchiere mezzo pieno? C’è. Con questi continui giri di vite cesserà definitivamente la funzione del municipio come ‘fabbrica’ di posti di lavoro magari per i figli dei soliti noti; e si smetterà di spendere soldi inutilmente ‘per realizzare il programma elettorale’. Non sta, infatti, scritto da nessuna parte che ogni Comune abbia necessariamente il ‘suo’ palazzetto dello sport o la piscina, magari a dieci chilometri di distanza da quelli del Comune confinante.
Sono lussi che non possiamo più permetterci e che ci siamo permessi senza averne la possibilità.