Docenti in uscita

Luigi Sparapano

Si apre il nuovo anno scolastico all’insegna di una riforma problematica che proprio i docenti non hanno accolto – e sono chiamati ora ad applicarla -, perchè il Governo non ha voluto ascoltarli, puntando strategicamente e illusoriamente sul discorso dell’assunzione dei precari. Ma in questa riflessione non è della riforma in sè che si vuole trattare quanto di una rinnovata vocazione all’insegnamento che non può essere frutto di alcuna riforma che non sia prioritariamente quella interiore al docente stesso. 
Lo dice bene Massimo Recalcati, uno tra i più noti psicoanalisti italiani, nel suo recente libro L’ora di lezione. Per un’erotica dell’insegnamento (ed. Super et opera viva, 2014) che consiglio vivamente a tutti i colleghi. E la sua tesi di fondo è che «quel che resta della Scuola è la funzione insostituibile dell’insegnante. Questa funzione è quella di aprire il soggetto alla cultura come luogo di “umanizzazione della vita”, è quella di rendere possibile l’incontro con la dimensione erotica del sapere». Ovviamente il termine, epurato da fraintendimenti, va letto nel suo senso profondo e cioè nella capacità di far nascere negli alunni quel desiderio del sapere che può dare vita alla propria esistenza; non il contenuto del sapere, come un certo cognitivismo esasperato sostiene e molti docenti perseguono anno dopo anno, lezione dopo lezione, verifica dopo verifica… ma la “trasmissione dell’amore per il sapere”. E questa non può essere data se non la si possiede o non si è disposti ad acquisirla, giorno per giorno.
Non ci vuole molto ad accorgersi come, a fronte della maggioranza di docenti che ogni giorno si mettono in gioco, caparbiamente impegnati a non ingessare il proprio lavoro, non pochi sono quelli che a scuola ci stanno perchè devono; contano i minuti, si chiedono sempre se tocca a loro esserci in quel momento, per quell’attività; aderiscono alle assemblee sindacali, ma non vi partecipano; aspettano sempre che sia qualcun’ altro a proporre, a sperimentare, ad innovare, non assumono responsabilità… 
A loro e a tutti, indistintamente, Recalcati ricorda che “un’ora di lezione può cambiare una vita, imprimere al destino un’altra direzione, sancire per sempre quella che si era solo debolmente già abbozzata”. E l’ora di lezione non si improvvisa, non si affronta a cuor leggero.
Le tecnologie offrono da un bel po’ di tempo possibilità di informazione e assunzione di contenuti infinitamente superiori a quelli che un docente può trasmettere, per cui il suo ruolo va necessariamente ripensato e calibrato. Tanto più che ha di fronte non più l’allievo e la famiglia che riconoscono in lui quell’autorità capace di plasmare la persona (la Scuola-Edipo), ma ci si trascina in una deleteria contrapposizione tra famiglia e scuola, “una confusione immaginaria tra genitori e figli che finisce per isolare il corpo docente, come corpo nemico soprattutto quando genera frustazione nei figli-Narcisi (Scuola-Narciso). In questa prospettiva è da leggere anche l’assenza della figura paterna o dell’adulto in genere, la sua incapacità o debolezza nel porre norme e farle rispettare, la compiaciuta disponibilità ad assecondare ogni richiesta dei figli, bruciando tappe, eliminando desideri che vengono subito soddisfatti, riflettendosi nei figli e quasi mescolando le rispettive personalità.
La scuola che abbiamo di fronte, secondo Recalcati, si presenta con il complesso di Telemaco, in cui il disagio non è più causato dal conflitto intergenerazionale, quanto da una domanda profonda di adulti significativi, che non si confondano con i ragazzi, ma che sappiano aiutarli nel faticoso percorso di umanizzazione della propria vita. A patto che anche gli adulti, genitori e insegnanti, abbiano maturato il senso della propria vita.
L’erotica dell’insegnamento chiede di ricucire il gap tra istruzione ed educazione, tra contenuti cognitivi e relazione affettiva, tra nozioni e valori, al di là delle assillanti competenze, che pure servono, e trasformare il sapere in desiderio che genera desiderio. 
Ecco allora la funzione docente, certamente più complessa che nel passato, quando poteva bastare il possesso delle conoscenze. Un mio caro collega ripete spesso che non abbiamo studiato da psicologi o assistenti sociali – ed è vero – per affrontare situazioni critiche che sono sempre più presenti. Ma questo tempo richiede appunto di uscire da sè, dalle proprie consuetudini, dalla routine, dai programmi fotocopiati, dalla propria disciplina, dalla rinuncia a ricercare occasioni di formazione alta. 
Docenti in uscita, parafrasando papa Francesco, che sappiano decentrarsi per rinnovarsi. Che sappiano mostrare l’amore per il proprio lavoro, preparato con cura, attuato e osservato, con l’entusiasmo incoraggiante e contagioso che  può conquistare la fiducia dei ragazzi.