Educarsi per educare. Presentato il Progetto Pastorale diocesano

a cura di Antonio Rubino

‘Alla scuola del Vangelo: educarsi per educare’ è il titolo del progetto pastorale 2012-2016 che il vescovo di Molfetta-Ruvo-Giovinazzo-Terlizzi, mons. Luigi Martella, ha consegnato alla comunità diocesana. Il progetto è stato presentato il 26 giugno nel corso del convegno pastorale diocesano di fine anno, tenutosi a Molfetta (Ba). Il progetto ‘intende rispondere ‘ scrive mons. Martella ‘ ad ‘alcune esigenze profondamente avvertite’: l’appello di Benedetto XVI rivolto nel 2008 alla diocesi di Roma circa ‘l’emergenza educativa’; gli Orientamenti pastorali della Cei per il decennio in corso, ‘Educare alla vita buona del Vangelo’ e, infine, la recente Nota pastorale della Conferenza episcopale pugliese, ‘Cristiani nel mondo, testimoni di speranza”.  L’intero documento è disponibile sul sito della diocesi (clicca quii per il testo pdf e qui per la presentazione ppt – ndr)


Gesù maestro. ‘I Vangeli ci riportano molte parole di Gesù’ e ‘accanto alle parole ci vengono descritti anche fatti, avvenimenti, atteggiamenti di Gesù’, esordisce mons. Martella. Anche di questi ‘bisogna far tesoro perché costituiscono come la trama su cui deve costruirsi uno stile cristiano’, che ha in Gesù Maestro il suo riferimento. ‘L’impegno educativo della Chiesa non si pone al di fuori della più complessa opera formativa della persona umana’. Si è educatori ‘nella coerenza della vita’ e lasciandosi coinvolgere ‘da chi ci è affidato’. L’attenzione, perciò, ‘deve essere posta sul verbo ‘ducere’, che significa condurre’. La conduzione presuppone ‘un punto di partenza, che è dato sempre dall’altro’, e ‘un punto di arrivo’, la misura alta della santità. In mezzo c’è un percorso, che ‘si caratterizza attraverso l’acquisizione delle virtù teologali della fede, della speranza e della carità’, che si guadagnano e crescono ‘nell’esperienza della catechesi, nella vita liturgica e nella testimonianza della carità’. Il percorso educativo dev’essere un ‘e-ducere’, un ‘intus-ducere’ e un ‘tra-ducere’.

Educare è condurre. L”e-ducere’, che si concretizza nell’evangelizzazione e nella catechesi, serve ‘per accompagnare le persone alla comprensione della propria fede’, da vivere ‘all’interno di una comunità credente’. Nella trasmissione e comunicazione del Vangelo ‘un’importanza particolare riveste l’utilizzo attento e intelligente dei nuovi mezzi di comunicazione sociale’.
L”intus-ducere’ significa ‘condurre dentro; scendere cioè nel proprio cuore dove incontrare Dio che parla nella profondità della propria intimità. La preghiera è il luogo di questa intimità’. Alla preghiera va unita la liturgia, un ‘cammino permanente che introduce il cristiano nella vita divina’. Tra le proposte, ‘l”aggiornamento del linguaggio’ della comunicazione della fede e della celebrazione della stessa’ e ‘percorsi biblici rivolti a genitori, educatori e adulti’.
Il ‘tra-ducere’ esprime ‘la gioia di sentirsi collaboratori di Dio nell’amore’ traducendo ‘nella quotidianità il nostro essere cristiani’. Per educare alla carità occorre ‘rideclinare’ questa parola con altre due: responsabilità ‘nella logica del ‘mi sta a cuore’, ‘mi interessa”; e comunità, ‘il luogo dei legami forti e della costruzione di un comune destino’.

I cinque ambiti. Il tema dell’educazione, conciliandosi con i cinque ambiti sviluppati al Convegno ecclesiale di Verona del 2006, si concretizza nel ‘cum-ducere’. Per l’ambito lavoro e festa, bisogna ‘rivalorizzare la domenica come giorno del Signore Risorto’. L’educazione alla fede, inoltre, deve avere come destinatario ‘l’uomo in tutte le stagioni della vita’.
Sul piano della affettività, ‘ai ragazzi va proposta una educazione all’affettività liberante e serena’ per aiutarli a riconoscere ‘il bisogno di amare e di essere amato’. È ‘imprescindibile tenere alta l’attenzione sul valore della famiglia e sulla responsabilità genitoriale’ e occorrerà, tra l’altro, ‘ridare slancio’ all’accoglienza e all’accompagnamento ‘per le persone in situazioni atipiche’.
Sul fronte della fragilità, si devono esercitare i percorsi educativi dell’ascolto, della condivisione e dell’accompagnamento ‘nei confronti dei disagi familiari’, delle forme di ‘frantumazione della vita affettiva’ e delle povertà sociali, materiali e relazionali.
Per l’ambito legato alla tradizione, alla ‘antica classificazione di fedeli, tra credenti-praticanti e credenti-non praticanti, oggi c’è il rischio di individuarne una terza, quella di praticanti-non credenti’, intendendo dire, ‘della dicotomia tra la spiritualità professata con la vita e le attività poste in atto nei vari ambiti ecclesiali’. Per quanto riguarda la cittadinanza, ‘la risposta ecclesiale è incerta se non assente’. Occorre educare ‘al senso della cittadinanza e alla responsabilità sociale’ e ‘formare nuove generazioni di laici capaci di assumere impegni di vita’.
‘Al centro di tutta la vita pastorale della diocesi’ c’è la parrocchia, conclude il vescovo, aggiungendo che ‘è necessario e urgente’ attivare forme di collaborazione tra le parrocchie e le aggregazioni laicali e rilanciare ‘fortemente’ i Consigli pastorali parrocchiali.