Ogni anno, la puntuale fioritura delle mimose ricorda che dal 1975 l’ONU ha riconosciuto e fissato l’8 marzo quale Giornata Internazionale della donna. La data, legata al terribile incendio (25 marzo 1911), nella fabbrica Triangle di New York, in cui morirono giovani donne immigrate dall’Europa, suggella e conclude, almeno in alcuni paesi del mondo, un lungo periodo di lotte che dal tentativo del 1908 di un Woman’s day negli Stati Uniti, passando da Stoccarda (1907) e da Copenaghen (1910), percorse l’Occidente e vide centinaia di donne impegnante socialmente e politicamente, anche a costo della vita, come Rosa Luxemburg, nella difesa dei propri diritti.
Ma si può parlare davvero di donna, nella sua unicità di essere, riconosciuto con tutta la sfera dei suoi diritti naturali e sociali? Ancora oggi, ciò non è possibile. Piuttosto, si dovrebbe parlare dei tanti volti delle donne, diverse non solo per cultura, ma soprattutto per il grado di emancipazione, dignità, libertà duramente conquistato o negato. In Occidente, indubbiamente, la donna ha ottenuto tutto ciò che per secoli all’universo femminile era stato precluso: libertà, indipendenza, autonomia, accesso a tutte le professioni lavorative. Purtroppo, però, si combatte ancora contro la violenza, l’intolleranza, la repressione, ostacoli questi che negano, in alcuni Paesi, anche le libertà fondamentali, i diritti alla vita, alla salute. E la violenza sulle donne non è un problema che riguarda il Sud del mondo, è uno dei dati che accomuna tutta l’umanità. Proprio le statistiche ne danno la dimensione globale, quando attestano che il 70% delle donne del mondo ha subito nel corso della vita una violenza fisica, sessuale o psicologica (7 milioni 134 mila donne): isolamento (46,7%), controllo (40,7%), violenza economica (30,7%), svalorizzazione (23,8%), intimidazioni (7,8%). Ban Ki-Moon, segretario generale dell’Onu, sostiene che ‘la violenza nei confronti delle donne, sotto diverse forme, è uno degli ostacoli più significativi alla piena uguaglianza tra i sessi, una piaga inaccettabile che colpisce tutto il mondo, soprattutto i Paesi in via di sviluppo e in situazioni di conflitto. I rapporti internazionali dell’Organizzazione Mondiale della Sanità denunciano cifre ancora troppo alte, anche in Occidente.
In Italia, una donna su tre, tra i 16 e i 70 anni, è vittima dell’aggressività di un uomo. Ogni anno vengono uccise in media 100 donne dal loro compagno o ex e, secondo i dati del Fondo delle Nazioni Unite per la Donna, l’Unifem, la violenza maschile è la prima causa di morte per le donne tra i 16 e 44 anni, più del cancro, degli incidenti stradali e delle guerre. In media, una donna su 5 è vittima di violenze. A tutto questo si aggiunge, imperante, l’appello all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, per una messa al bando universale delle mutilazioni genitali femminili.
L’umanità è davvero sede di grandi contraddizioni: come può l’uomo che ispirato nell’estro creativo sublima la femminilità nelle liriche, nei poemi, nei versi dell’elegia, ne canta ed esalta la bellezza, la grazia, la leggiadria, ne dipinge la sensualità, la invoca come musa ispiratrice, essere poi capace di tanta violenza, di arroganza, di totale negazione dei diritti fondamentali? Come si possono perpetrare violenze sullo stesso essere che la fantasia dell’uomo ha identificato come Beatrice, Elena, Medea, Alcyone, Maya, Giulietta, in una continua tensione di un odi et amo senza fine, in un incontro che, per dirla con Arturo Paoli, ci rende ‘dolorosamente persone, uomo e donna’?
Forse dovremmo recuperare, come ha fatto il poeta siriano Nizar Qabbani (1923-1998), l’antica lezione dei poeti stilnovisti, che vedevano nella donna l’incarnazione di un essere angelicato ‘una cosa venuta da cielo in terra a miracol mostrare’. Dovremmo farlo semplicemente perché, nei secoli, silenziosamente, la donna ha continuato ad essere ‘il prodigio’ del creato. Non certo per rimarcare il pregiudizio della superiorità maschile che relega la donna al ciclo della natura e assegna all’uomo il ruolo nella storia, piuttosto per pensare che la donna sia l’altro volto di Dio di cui non ha perso la sua prima grande connotazione: il miracolo del grembo d’amore, con il mistero perfetto della vita che si schiude e cresce pian piano, atto e potenza del meraviglioso miracolo della creazione. Dio ha creato l’uomo a sua immagine, ma ha scelto la donna come sua prodigiosa creatura in grado di generare la vita, strumento del creatore, meraviglioso e perfetto, essere angelicato, a metà tra cielo e terra, la linea d’orizzonte tra umano e divino, enigma di aurora e crepuscolo, dimensione sublime, ‘quando il giorno non è solo giorno e la notte non è solo notte’ (U. Galimberti).