E dopo le rivolte dei Paesi islamici?

di Domenico Amato

É il 17 dicembre 2010 quando un venditore ambulante, Mohammed Bouazizi, si dà fuoco nella città di Sidi Bouzid in Tunisia, perché la polizia gli ha confiscato il banco di frutta e verdura. L’episodio viene diffuso attraverso la rete internet e subito fa il giro del mondo. Parte di lì quella che è stata chiamata la primavera araba. Un anno intenso di rivolte, per lo più popolari, che hanno visto cadere uno dietro l’altro vari regimi in Tunisia, Yemen, Egitto, Libia. In altre parti, invece, la protesta viene repressa violentemente come  in Arabia Saudita, Barhain e Siria.

Ora alcune riflessioni si impongono: la prima riguarda il passaggio politico in atto. Saranno capaci quei Paesi di attivare un vero processo democratico? Al di là delle proteste di piazza, l’autorità non sembra sia passata di mano ai militari. In Egitto, in Tunisia, in Yemen è ancora l’esercito che regola la vita di quelle nazioni e determina pesantemente le scelte che la gente è chiamata a fare. Il rischio è che a cambiare sia solo un dittatore per un altro. Per cui, rimanendo sulla metafora primaverile, sembra che sia scesa una vera e propria gelata a far svanire tutti i sogni che avevano alimentato quei popoli, soprattutto i giovani.

L’altra questione riguarda il ruolo dell’Europa in riferimento ai rapporti, agli interventi e più in generale alla politica estera che si vuol perseguire nei confronti di quegli Stati. Si stenta a capire che cosa effettivamente gli Stati Europei vogliano. Abbiamo assistito ad un ‘intervento umanitario’ in Libia, per eliminare il dittatore Gheddafi che aizzava l’esercito contro il suo stesso popolo. È certo che quel regime non sarebbe caduto senza l’intervento delle forze di coalizione esterne che hanno messo fuori uso le postazioni militari e gli armamenti dell’esercito governativo. Ma nei confronti di un altro popolo trattato alla stessa maniera dal regime, da un dittatore altrettanto sanguinario che da mesi sta decimando il suo popolo, parlo della Siria, non c’è alcun ‘intervento umanitario’ a difesa di quelle popolazioni e a sostegno degli oppositori del regime. Certamente ci sono motivi di politica internazionale che gli statisti valutano, ma non si può non sentire il rammarico di un atteggiamento squilibrato e al limite dell’ipocrisia. È chiaro che non sto invocando la guerra contro la Siria, ma piuttosto porre la domanda del perché della guerra contro la Libia.

In questo discorso si inserisce una valutazione circa i nuovi assetti internazionali. Due di questi è necessario porre sul tappeto: il ruolo della Turchia e il conflitto Israelo-Palestinese. La Turchia, paese emergente che stava sul punto di entrare nell’Unione Europea, ora si propone come guida dei nuovi assetti del Medio Oriente. È il primo passo verso il ritorno ad una nuova grandeur ottomana? Circa il conflitto tra israeliani e palestinesi, si noterà che da quando si è cominciato a raccontare della primavera araba tale conflitto è passato in secondo piano, almeno nelle notizie dei media. C’è da chiedersi cosa ciò possa significare, se un passaggio verso una prospettiva nuova di soluzione del conflitto o uno scontro più acceso che vede il mondo arabo coalizzarsi?

In tutto questo, rimane sullo sfondo la sofferenza delle minoranze cristiane nei paesi islamici. Per loro il processo di democratizzazione non solo non porta benefici, ma anzi subiscono nuove violenze e attacchi. Le notizie sulle chiese incendiate, cristiani discriminati e uccisi, vanno sempre più aumentando. Anche su questo la voce dell’Occidente democratico è flebile e a singhiozzo.

È chiaro che qui non si vuol solo cercare un intervento difensivo, ma porre la questione su come veramente l’Occidente vuole accompagnare il processo di vera democratizzazione dei Paesi Arabi, evitando scorciatoie e fallimenti come in Iraq e in Afganistan. Senza dimenticare che gli sconvolgimenti di quei paesi pesano anche sui flussi migratori, e i profughi che attraversano il Sahara o il Sinai si vedono ridotti a semplice merce. Persone che a migliaia ormai trovano la morte o nel mare di sabbia o in quello di acqua, senza che nessuno si chieda perché!