Sia pure in sordina si stanno celebrando i 150 anni dell’unità d’Italia. Dalle pagine del nostro settimanale vogliamo accompagnare questo evento con alcune riflessioni. L’ottica è duplice: l’unità d’Italia a partire dal Sud e l’esperienza della Chiesa come contributo alla unità del Paese.
Il movimento risorgimentale che attraversò l’Italia nel cuore dell’Ottocento ebbe non poca influenza e trovò diversi sostenitori anche nel Sud. In Puglia si era formata una classe politica che aveva attinto, proprio nella capitale del Regno, idee aperte dal secolo dei lumi, ed anche il clero più colto aveva maturato la consapevolezza della necessità di confrontarsi con le idee che la cultura del tempo andava veicolando. In Puglia dopo il decennio Francese era andata maturando l’idea che fosse necessaria una Italia unita, e se non vi furono moti rivoluzionari eclatanti, nondimeno si costituì un radicato e diffuso movimento culturale cui non furono estranei ambienti ecclesiastici. Secondo la testimonianza di Raffaele De Cesare “oltre al seminario di Matera, erano focolari di cospirazione unitaria quelli di Molfetta e di Conversano”, né i vescovi “avevano preso mai alcun provvedimento contro i preti liberali”. Fra questi certamente era presente lo stesso Vito Fornari che ebbe un ruolo attivo in questo movimento unitario sia con gli scritti, sia per i contatti con ambienti pugliesi volti al processo unitario.
Del resto solo in provincia di Bari erano presenti ben 64 vendite carbonare e nei processi politici aperti nel ’49 furono incriminati per il distretto di Trani ben 154 patrioti. Si tenga conto che al plebiscito per l’annessione del Regno di Napoli al nuovo Regno d’Italia, a Molfetta solo in quattro votarono contro e tutti sacerdoti, uno dei quali era lo zio di Gaetano Salvemini.
Eppure nonostante questo forte movimento unitario, le aspettative post-unitarie andarono ben presto deluse, sia negli ambienti ecclesisatici aperti, sia nella stessa popolazione. Le leggi del nuovo stato unitario avevano disposto l’incameramento dei beni ecclesiastici, questi vennero messi in vendita e furono acquistati a basso costo dai latifondisti. La conseguenza fu duplice, da una parte furono sottratti beni a confraternite, comunità religiose, sodalizi che si trovarono nella impossibilità di continuare la propria opera caritativa e sussidiaria, dall’altra i contadini che lavoravano nei fondi di proprietà ecclesiastica si trovarono senza lavoro. I monti di pietà, indeboliti nella propria capacità creditizia, non riuscivano a soddisfare le richieste, e per i bisognosi il nuovo ordine politico e sociale non aveva predisposto alternative valide.
Queste situazioni portarono ad una vera e propria avversione verso lo Stato Unitario che videro in Puglia due momenti forti, con i moti di fine Ottocento come protesta popolare contro le vessazioni dello Stato centrale circa il prezzo della farina. E poi, al di là della seguente retorica fascista, la partenza di migliaia di giovani per una guerra, la prima mondiale, di cui la popolazione del sud non ne capiva né l’utilità né l’interesse.
Oggi molti ambienti intellettuali pugliesi considerano l’unità d’Italia come una invasione. Certo, manca ancora una visione storica sufficientemente condivisa ed equilibrata, scevra da un uso retorico della storia che ancora oggi fa capolino qua e là, soprattutto in ambienti politici. Tuttavia è necessario constatare come il Sud non può essere continuato ad essere considerato il serbatoio della manovalanza per lo sviluppo dell’Italia (del nord). Ieri attraverso l’emigrazione della forza lavoro per l’industria, oggi attraverso l’emigrazione per il lavoro impiegatizio ed intellettuale, continuando a depauperare questa terra delle forze giovani. Allo stato unitario non si chiede assistenza, ma condizioni di parità per una imprenditoria che non debba sottostare al tallone della criminalità organizzata e delle cosche mafiose. Per troppi anni lo Stato ha continuato ad essere per lo meno latitante su questo versante.
Nondimeno l’impegno è a costruire una mentalità non piagnona. La cultura del piangersi addosso non paga, e se si vuole un riscatto, questo necessariamente passa attraverso la costruzione di una cultura della legalità su cui la comunità ecclesiale si è chiaramente schierata da decenni. Inoltre la formazione delle nuove generazioni passa attraverso una prospettiva che va oltre la visione nazionale aprendosi ad una dimensione europea. Che poi l’Italia unita oggi sia una realtà positiva e irrinunciabile, gli ambienti ecclesiali lo sanno molto bene e lo vivono ogni giorno attraverso quello scambio costante che avviene tra le chiese del sud e quelle del nord. Non sono pochi i giovani delle nostre diocesi spostatisi in quelle del nord per lavoro che si inseriscono nelle comunità ecclesiali in modo attivo, e non sono pochi i gruppi ecclesiali del nord che vedono tanta ricchezza di idee e di esperienze e che intrattengono rapporti con il sud. C’è uno scambio di doni molto proficuo a livello ecclesiale, che va valorizzato. Ma del resto una chiara identità unitaria è mostrata dalla communio ecclesiarum espressa nella Conferenza Episcopale Italiana e questo è un dato di fatto che vale molto più di tanti discorsi.