Mitezza e mass media

di Enzo Quarto, Presidente Ucsi-Puglia, portavoce del Forum "Bambini e mass media".

1. Mitezza e comunicazione mediale
Riscoprire l'importanza della mitezza nella comunicazione mediale è riconoscere la necessità di un nuovo umanesimo culturale. Le parole più in uso nella comunicazione mass mediale sono molto lontane dal senso della mitezza, e hanno contribuito non poco a cambiare in negativo il linguaggio interpersonale. Sensazionalismo, spettacolarizzazione, colpo a sorpresa, scoop, danno più il senso di una aggressività che non intende lasciare incomprensioni e sottintesi, quanto conquistare l'attenzione, come si possa conquistare in guerra una postazione sul campo di battaglia, reale o ideale che sia.
Il campo di azione delle comunicazioni mass mediali è visto proprio come una trincea, dove l'unica regola che possa valere sia quella della “mors tua vita mea”. Trincee dove la mitezza non ha spazio né considerazione né emozione. Eppure la comunicazione è veramente vincente e lascia il segno a lungo, cioè diventa cultura, se è capace di mitezza e suggestione insieme.
La comunicazione interpersonale è in sé mite. Di fronte ad una persona che ci aggredisce con le parole, noi non siamo attenti a ciò che dice ma a come lo dice e alle eventuali conseguenze di quel come, soprattutto per noi stessi e per le persone care. Ci poniamo cioè in un atteggiamento di difesa o, per chi ha il temperamento più impulsivo ed impetuoso, ci atteggiamo pronti a rispondere nello stesso tono. Ovvero non entriamo in dialogo, ma in conflitto. Direi che questi sono per lo più atteggiamenti patologici. Lo scopo della comunicazione è dialogare. Il dialogo ha bisogno della ragione e la ragione ha bisogno della mitezza. L'ira non è mai una buona consigliera, né tantomeno premessa di dialogo.
Nel nostro mondo tecnologico post moderno è proprio il dialogo ad aver perso la ragione della sua necessità, a cominciare dalla sfera personale, più intima. Perché?
Per curare una patologia è necessario capire la malattia, che nel nostro caso viene dal linguaggio dominante della cultura mass mediale commerciale. Anche nell'informazione sembra che i mezzi della comunicazione di massa non sappiano far altro che usare sensazionalismo e/o pietismo. Due estremi che non entrano nella notizia, ma ne scontornano aspetti emotivi privi di razionalità, direi quasi “bestiali”, immediatamente coinvolgenti. Perché questo approccio negativo?
 
2. Radio e televisione: il marketing
La televisione alle sue origini non interessava nessuno. La radio era il mezzo forte. La radio consentiva le dirette e una informazione più immediata rispetto agli eventi. Ed era quindi il mezzo più diffuso nelle case. La televisione contava su mezzi per nulla agili, che consentivano dirette solo in studi adeguati, e soprattutto richiedeva una ripresa su pellicola degli eventi e la relativa stampa della pellicola e il successivo montaggio. Occorrevano due giorni di lavoro per informare. Di qui, lo scarso interesse della gente per il mezzo televisivo.
Ma un bel giorno, dopo la seconda guerra mondiale, in America una ditta di cosmetici scoprì che in televisione si vendevano a dismisura i propri prodotti. Nacque così il marketing e la costante promozione di prodotti attraverso prima le televendite, poi attraverso i programmi di intrattenimento, soprattutto quiz. Si scoprì, dunque, la natura della televisione come mezzo di grande suggestione, capace di soddisfare le esigenze di natura promozionale e commerciale.
In mezzo secolo la televisione è stata invadente tanto da cambiare il linguaggio quotidiano, divenuto più persuasivo che dialogante. Il linguaggio della pubblicità e della promozione commerciale ha invaso la vita pubblica e privata, compresa la politica. Tutto è andato modificandosi pur di rispondere alla logica della conquista di fette di mercato, di audience. Ecco che gli altri mezzi della comunicazione di massa, segnati da un ingiustificato moltiplicarsi di concorrenza, si sono imposti
come scopo principale di “catturare” l'attenzione del pubblico di lettori o telespettatori, o ascoltatori e successivamente internauti. Per farlo la suggestione era la strada giusta. Ma è molto più facile suggestionare con il dramma, con la violenza, con il sopruso, con la negatività. Costa meno. Anche questo lo dobbiamo al marketing: il miglior risultato con il minor costo.
Ecco perché si preferisce comunicare con sensazionalismo e pietismo. È più facile e cattura l'attenzione di più utenti della comunicazione, anche se questi ad un certo punto si dichiarassero, come capita molto spesso oggi di sentire, insofferenti ad una comunicazione “cattiva” e “gridata”.
Le regole dominanti della comunicazione commerciale non sono dettate dalla necessità intrinseca di dialogare, ma dalla inderogabile necessità di “vendere”, o meglio di far “acquistare”. Insomma, i mezzi di comunicazione di massa preferiscono dire ciò che è facile, ciò che cattura l'attenzione del pubblico con il minimo sforzo, il minimo impiego di energie, e soprattutto senza scomodare i gangli veri del comando sociale di un sistema dove la persona è degradata al solo ruolo di consumatore. È indubbio che non possiamo e non dobbiamo rassegnarci a questo stato di cose.
3. Comunicazione e suggestione
Persino Gesù, per far comprendere il suo messaggio, puntava sulla suggestione delle parabole. Con la suggestione è possibile catturare l'attenzione e la considerazione degli interlocutori. Di suggestione è ricco il racconto della vita, che la tradizione letteraria, prima orale e poi scritta, ci ha lasciato come patrimonio. Dalla suggestione può nascere lo stupore, che è leva di cambiamento e di considerazione del nuovo e dell'inatteso, dell'imponderabile, di una conversione sulla visione delle cose, di un rinnovamento culturale autentico e partecipato. Ma se immaginassimo la suggestione come uno “strumento” per comunicare, potremmo dire che come ogni strumento può essere usata nel bene come nel male. Può favorire il dialogo oppure il conflitto, può educare ed informare o diseducare i disinformare.
Tutto in ogni caso avviene nei mezzi della comunicazione attraverso la manipolazione, che può essere in buona fede o cattiva fede. Non c'è una terza via.Dovremmo diffidare sempre di chi, con convinzione sospetta, afferma di comunicare senza alcuna manipolazione. Nel mondo mass mediale questo assunto è sempre falso. Persino le dirette di eventi di cronaca, nude e crude, riportano solo un aspetto della realtà, così come l'osserva l'operatore o il regista o il conduttore, o anche il giornalista, che racconta sulla base delle proprie reazioni, emozioni e coinvolgimenti intellettuali ed emotivi.
Tralasciamo per decenza tutto ciò che venga utilizzato nella comunicazione mass mediale in cattiva fede. In ogni caso siamo di fronte al risultato di una manipolazione, innegabile, ancor più evidente quando la comunicazione è frutto di una post produzione, cioè montaggio e assemblaggio di immagini e parole.
La difficoltà del nostro mondo contemporaneo sta nel fatto che anche altri mezzi della comunicazione di massa; giornali, riviste, dvd, ecc., si sono presto adeguati alla finalità dello strumento televisivo, uniformandosi al linguaggio prevalente. I mass media hanno finito, insomma, per favorire una suggestione portatrice di conflitto invece che dialogo.
Le opinioni si scontrano, invece di dialogare. Vengono blandite come spade in una crociata della propria convinzione, contro l'opinione altrui. L'aggressività prevale sulla mitezza, il conflitto sul dialogo. La cultura si incancrenisce.
4. Alla scoperta dell'etica della verità
Ecco perché riscoprire la mitezza nel comunicare è far rifiorire la cultura di un nuovo umanesimo. Il malato, che poi siamo tutti noi che diamo vita al sistema, deve prendere coscienza della sua malattia e preoccuparsi di porre rimedio, cioè di affrontare una cura. Voglio dire che tocca a tutti noi porci il problema di usare con “criterio” i mezzi di comunicazione.
Siamo chiamati ad usare il potere di discernere e non lasciarci ammaliare dalla facile suggestione priva di valore conoscitivo, educativo e formativo. Se è nella società che matura una richiesta di cultura della verità, i mass media non possono far altro che adeguarsi, pena la loro perdita di attrattiva.
Abbiamo bisogno di una grande rivoluzione culturale e sociale che porti i mass media a cambiare atteggiamento, a preferire sì la suggestione, ma non intrisa solo di sensazionalismo o pietismo, quanto di mitezza e foriera di dialogo.
Abbiamo bisogno di scoprire l'etica della verità, pieni come siamo di menzogne e di parziali verità utilitaristiche e commerciali.
Questo non riduce la responsabilità dei comunicatori, giornalisti o pubblicitari che siano. È necessario tornare a mettere la persona al centro delle comunicazioni sociali, quindi i mezzi della comunicazione al servizio della persona e non del mercato.
La comunicazione può e deve farsi carico delle testimonianze che siano educative e formative, quindi autentiche. Attraverso le testimonianze scoprire l'essenza della persona per seminare e raccogliere solidarietà, comprensione, condivisione della sofferenza come della gioia. Così come il racconto della vita che abbiamo storicamente conosciuto ci ha insegnato, di generazione in generazione.
Abbiamo bisogno di non sentirci schiavi di un sistema, meno ancora vittime, ma protagonisti. Persone che scelgono di vivere la vita nel giusto e nell'armonia, trasformando i conflitti in opportunità di crescita individuale e sociale attraverso il dialogo, premessa di conoscenza e rispetto delle diversità.
Scrive san Paolo nella lettera ai tessalonicesi: “Esaminate ogni cosa e scegliete ciò che è buono”. Ecco il metodo di una buona comunicazione nel segno della verità, o meglio della ricerca della verità. Esaminare ogni cosa vuol dire ascoltare ed osservare per conoscere. Scegliere ciò che buono vuol dire discernere, considerare, mediare preferendo ciò che è utile a tutti, non certo ciò che possa favorire gli uni sugli altri.
Comunicare è dunque la forma più alta di dialogo, e come abbiamo già detto, non c'è dialogo senza mitezza.
Guardare il mondo con gli occhi dell'uomo e non del denaro è ciò che ci fa rinascere. Anche di fronte a notizie drammatiche si può e si deve considerare il racconto di una esperienza della vita, parte del mondo in cui viviamo e che ci appartiene, e che anche noi contribuiamo a determinare. C'è un aspetto educativo e formativo anche nel dramma, che di per sé è parte della vita stessa. L'importante è non lasciare il dramma fine a se stesso, peggio ancora foriero di atteggiamenti e considerazioni lesive del bene comune.
5. Comunicazione del bene e buonismo
Comunicare il bene non è dunque buonismo. Ma una azione decisamente più difficile e complessa, ma anche più affascinante perché si avvale delle regole basi che una poesia di Mary Oliver ci affida nella sua splendida sintesi:
“Istruzioni per vivere la vita”:
Presta attenzione.
Stupisciti.
Raccontalo.
Se non cambiamo la cultura della nostra vita, non possiamo pretendere che a cambiarla siano gli altri. Allo stesso modo non possiamo pretendere che i professionisti delle comunicazioni di massa cambino il sistema da soli. La patologia
del sistema, che è nel preferirci consumatori prima che persone, finora, la condividiamo tutti. Anche perché nel frattempo, il mondo mass mediale si è evoluto nel mondo cross mediale, dove chiunque fa veicolare notizie, per lo più false e inattendibili, ma pericolosamente verosimili.
Il mondo cross mediale più di quello mass mediale ha bisogno dell'etica della verità. Altrimenti questo grande potenziale di democrazia è destinato a travolgere tutto e tutti come boomerang che sorprendentemente torna indietro per colpire e far male chi non sa distinguere, discernere, comprendere, separare il grano dal loglio, la giustizia dall'inganno, il vero dal falso.
Il racconto della vita, di generazione in generazione, la storia, ci ha insegnato che la verità non ha bisogno di essere gridata. È più difficile da raccontare, ma emerge su tutto grazie alla sua forza vera, che è la mitezza.
La verità si impone con la mitezza e resta impressa nel passato, come nel presente e nel futuro, tutto ancora da raccontare. Una comunicazione che non adoperi la mitezza è una comunicazione falsa ed artificiosa, diseducativa e fuorviante, speciosa ed ingannevole.
Cambiare la cultura dominante del consumismo non è facile, anche se ci aiuta la crisi del sistema economico e finanziario ormai strutturale. Ognuno di noi è chiamato a dare il proprio contributo attivo per uscire dal “pantano” e favorire una cultura della mitezza a servizio dell'uomo.