Non ancora… Pace, Servizio e Comunione a m

Editoriale n. 9 del 4 marzo 2018

di don Angelo Mazzone

Mi è stato chiesto di declinare i temi della settimana teologica, celebrata qui da noi nei giorni scorsi, sulla scorta dell’esperienza di accoglienza nella nostra comunità della Madonna della Pace di alcune famiglie di extracomunitari. Ho subito pensato al fatto che questa richiesta forse veniva da lontano, da molto lontano e ho subito risposto. Ho pensato che forse, in fondo, fosse proprio don Tonino, di cui si è parlato queste sere, a chiedere una verifica a questa comunità! (E non solo a essa, ndr).
Infatti sono passati tanti anni da quando, mentre questa comunità muoveva i primissimi passi della sua storia, egli la incoraggiava con gli scritti, le omelie e tanti pensieri raccolti in un prezioso volumetto che prende il titolo da una delle sue lettere: Provocazione fatta pietra.
Don Tonino scrive che questa comunità, il cui titolo si richiama al tema fortemente evocativo della pace, pur stabilizzandosi in una struttura di pietra è chiamata (proprio in ragione della vocazione del suo titolo) più delle altre comunità, ad essere profezia di una tenda più leggera…; “messaggero che annuncia la pace” alla città (Cfr. Is 52,7).
Questa grande eredità morale e spirituale ci ha spinti, negli ultimi due anni, a provare a mettere in pratica le utopie di questo grande profeta e ad accogliere nella nostra casa canonica due famiglie di extracomunitari. Ci siamo confrontati e ci confrontiamo con il delicato compito dell’accoglienza che, a mio modo di vedere, riassume e sintetizza le tre parole Servizio, Pace e Comunione di cui abbiamo parlato queste sere.
Nell’esperienza dell’accoglienza di questi fratelli abbiamo immediatamente colto che il vero servizio non l’abbiamo fatto noi a loro, ma al contrario, loro a noi, con silenzio e discrezione. Nei loro occhi giovani abbiamo scorto sì la paura del mare e abbiamo percepito anche tutta la carica di futuro e di speranza che la promessa di una terra buona e accogliente, che ha spinto Abramo e tanti altri uomini e donne a lasciare tutto per mettersi in cammino, si realizzava qui davanti a noi. Abbiamo avuto la conferma che nella logica del servizio si capovolgono i piani del dare e avere e abbiamo compreso le parole di Pietro: “Signore, tu lavi i piedi a me?” (Gv 13,6).
Abbiamo imparato, con un’esperienza diretta, che il tema della pace non può essere compreso se non dopo aver affrontato quello della giustizia; che non si può vivere nella pace se a tutti gli uomini non sono garantiti gli stessi diritti: la casa, il lavoro, la dignità umana… e che quando questo avviene, così come è stato per questi nostri fratelli, si realizza la profezia del salmo “Giustizia e Pace si baceranno” (Sal 84,11).
Abbiamo intuito che il bisogno intenso di comunione che ci portiamo dentro, quella che tentiamo affannosamente di rea-lizzare nelle nostre comunità, non si può dare se non a partire dalla condivisione nel senso più autentico e difficile del termine: con-dividere!…
Gli spazi, le sostanze, la lingua, gli odori, le speranze, i progetti… Piuttosto che inseguire sterili estetismi religiosi nelle nostre strutture e chiese, saremo felici soltanto quando sentiremo rivolta a noi la parola di Gesù: “Date voi stessi da mangiare”! (Lc 9,13). Ma è difficile! E dobbiamo dire che non ce l’abbiamo fatta a pieno… Nonostante abbiamo aperto le porte della canonica, forse non abbiamo ancora aperto quelle del cuore: abbiamo dato loro una casa (tra l’altro non nostra), ma non abbiamo mai mangiato banku con loro. Nonostante abbiamo incrociato tante volte gli occhi di Andrè Marie o di Gustav o di Tina, o di Jackson Junior, li abbiamo attraversati senza incontrarli mai davvero. Il loro odore continua a darci fastidio. Vedere i “nostri” spazi vissuti e usati da altri un po’ ci pesa ancora.
Il Vescovo degli ultimi, oggi come ieri, scrive ancora a tutti noi: “La durezza del sasso, la forza coagulante del cemento, la spinta delle volte, lo scenario incomparabile del mare non potrebbero simbolizzare per sempre, all’interno della nostra Chiesa locale, che la pace non è un tema friabile soggetto alla moda, che la comunione deve esserne il tessuto connettivo, che la tensione e il servizio all’altro ne è il segreto profondo, e che l’apertura planetaria sui problemi della terra ne è lo sfondo più naturale?” (Cfr. Provocazione fatta pietra, Lettera ai parrocchiani, 7.11.1987)
E dopo più di trent’anni gli rispondiamo con un po’ di vergogna, come quando da ragazzi venivamo scoperti senza aver terminato i compiti a casa: “Non ancora, caro Don Tonino!
Aiutaci tu!”