Un sentimento di estrema pietà

di Domenico Amato

La dolorosa e tragica vicenda di Sarah Scazzi ha suscitato una profonda impressione nell’opinione pubblica. Eppure, dopo il clamore mediatico, anche questa storia, individuato il colpevole ed espulso il mostro dalla comunità, non sembra aver provocato nessun esame di coscienza collettivo.

Il sentimento che ha albergato in me dall’inizio della scomparsa di questa adolescente è stato di una estrema pietà.

Pietà per questa ragazza violata per quarantadue giorni nella sua vita privata. Posta sotto l’occhio della TV è stata scandagliata in ogni suo pensiero, in ogni sua azione, in ogni suo litigio, in ogni suo sogno, in ogni sua debolezza. Senza alcun rispetto, ognuno si è sentito in diritto di esprimere giudizi, di fare ipotisi, di denigrare atteggiamenti. Ogni conduttore televisivo, ogni esperto o pseudotale si è improvvisato, a volta a volta, investigatore, psicologo, censore, mentre la vita di questa bambina veniva passata al setaccio senza alcun pudore e rispetto.

Violata nell’immagine prima ancora che nel corpo (almeno dalla sequenza con cui abbiamo saputo la verità, visto che quel corpo era già stato devastato).

E poi ho provato una pietà estrema per questa piccola vita nell’apprendere la verità sulla sua morte. Pietà per quel corpo insanamente desiderato, per quel corpo ucciso e violato, per quel corpo vilipeso e gettato.

Povera Sarah. Quali parole si possono trovare per descrivere tutto il male che hai dovuto subire. Eppure non possiamo trincerarci semplicemente dietro la lunga sfilza di epiteti per descrivere l’assassino. È necessario fermarci e scendere più a fondo. E di fronte a questo zio è scattato in me un altro sentimento quello della rabbia.

Rabbia per come nessun altro pensiero ha guidato la mano omicida se non quello del soddisfacimento di un impulso primordiale. La soddisfazione dell’istinto sessuale non si è fermata davanti a niente. Non si è arrestata né davanti al rispetto di quella ragazzina, né alla sua giovanissima età, era una bambina, né al grado di parentela e all’orrore di quello che si voleva consumare. Non si è fermata nemmeno davanti al pensiero della propria famiglia trascinata in un abisso di vergogna, di dolore, di abissale sconvolgimento, non ha pensato alla moglie, non ha pensato alle figlie. Nulla. C’era un impeto e tutto è stato obnubilato. No, io non credo al raptus. E non veniteci a raccontare di seminfermità mentale, e non venite a raccontarci di perizie e controperizie. La verità è un’altra, ed è giunto il tempo di prenderne pienamente coscienza. È stato varcato, e non da ora, il limite tra la finzione e la realtà. Nella mente delle persone si insinua a vari livelli la confusione tra virtuale e reale. Ormai le fiction e le telenovelas vengono spacciate come specchio della vita quotidiana, e la cronaca è trattata come una infinita telenovelas con codazzo di pseudo approfondimenti che altro non sono che l’occhio voyeristsico di una società guardona e pettegola, dove l’unico assente è un qualsivoglia giudizio morale.

Ho provato rabbia per questo assassino che non ha provato orrore per il delitto compiuto, ma come in una fiction appunto ha preso quel corpo e ne ha fatto scempio, e ha continuato a muoversi con depistaggi, finti ritrovamenti, sceneggiate televisive di fronte alle telecamere, senza alcuna rimorso.

C’è ancora un’altra considerazione da fare, circa l’immaturità dei maschi. E qui non basta più individuare il mostro e chiudere il discorso, è necessario interrogarsi del perché dei tanti, troppi delitti perpretati sulle donne. Donne uccise da ex mariti, donne uccise per turpi desideri, donne violate nella propria dignità. Cinquant’anni di emancipazione femminile, cinquant’anni di rivoluzione femminista per cosa, per avere questi risultati? Forse qualcosa non ha funzionato bene, e bene ancora non funziona. E qui forse ci vorrebbe la coraggiosa parola delle donne circa l’aberrante sfruttamento che del loro corpo, riducendolo a merce, ne fa la pubblicità, la moda, la macchina mediatica, la pornografia, la prostituzione. È necessario che noi maschi non chiudiamo il discorso dietro le frasi di condanna del mostro, ma cominciamo con coraggio a fare un esame di coscienza sui pensieri, sugli atteggiamenti, sulle parole, forse è bene ricominciare a mettere dei paletti precisi e vincolanti, e, piaccia o non piaccia, a ritornare alla consapevolezza che il male nasce dal profondo del nostro cuore per cui la vigilanza comincia dai nostri pensieri. È bene ritornare al principio mosaico che all’uomo non è lecito desiderare la donna d’altri, e ancor di più considerare il precetto evangelico che avverte in maniera chiara e decisa: «chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel proprio cuore».

Un’altro sentimento, ha preso il mio animo, quello di una profonda pena. Pena per questi adolescenti costretti a subire l’ignavia e l’egoismo degli adulti. Costretti a vivere soli e a subire le scelte irresponsabili di un mondo adulto che pone prima di tutto e soprattutto il soddisfacimento dei propri bisogni. Pena per questi adolescenti su cui molti speculano, facendo leva sulle loro intemperanze, sulle loro ambiguità, sui loro bisogni, sulle loro incertezze. E così invece di essere aiutati, accompagnati e anche corretti, vengono ridotti anch’essi a “merce” di questa società vorace.

Infine ho provato una grande ammirazione per la mamma di Sarah. Per come caparbiamente non si è arresa, per come ha saputo e voluto cercare sua figlia con le unghie e coi denti, per come ha saputo dignitosamente subire la clava mediatica, fino all’oscenità di sbatterle in faccia una verità tremenda e orribile davanti a milioni di spettatori voraci, senza alcuna pietà per lei nel nome dell’audience. E per il silenzio con cui ha protetto il suo immenso dolore.

Quante domande questa tragedia ci impone. Non lasciamole cadere.

E per te Sarah l’affidamento al Signore di ogni pietà e consolazione. Chissà quanti sogni avevi, e in un banale pomeriggio di estate sono svaniti.