Una fede che cambia la vita

di Gianni Antonio Palumbo

«La fede ha le sue fatiche e le sue notti oscure’; la tentazione del nostro secolo è quella di ricadere in un umanesimo nichilistico o, peggio, nelle maglie di una ‘fede debole’, alla disperata ricerca del ‘segno miracoloso’ per alimentarsi come un’esile fiaccola. La vera scommessa, nell’era dello spread e dell’incertezza elevata a sistema esistenziale, è quella dell’obbedire a ‘ciò che lo Spirito suggerisce’, recuperando il significato più profondo di un termine (obaudire) che implica il prestare ascolto e, successivamente, l’aderire in maniera totale al verbo della salvezza.

Sono alcune delle suggestioni che la lettera pastorale di Mons. Luigi Martella per l’anno 2012-2013 offre al lettore attento. L’epistola ha titolo Una fede che cambia la vita e indaga, a supporto delle comunità cristiane della diocesi, che si accingono a vivere il nuovo anno pastorale, il fecondo rapporto tra fede ed educazione, un nesso imprescindibile.

Il 2012 è un’annata foriera di ricorrenze. Mentre ci si prepara al consueto appuntamento col Convegno pastorale diocesano, non si può non ricordare, come precisa Mons. Martella, l’indizione dell’Anno della Fede da parte di papa Benedetto XVI con la lettera apostolica Porta fidei. Anno che ricorrerà nel cinquantenario dall’apertura del Concilio Vaticano II e nel ventennale dalla pubblicazione del Catechismo della Chiesa Cattolica e, elemento che coinvolge profondamente tutti noi, dalla morte di don Tonino Bello.

La riflessione di Mons. Martella si articola in tre momenti fondamentali. Il primo insiste sul fondamentale assunto che si debba Conoscere per educarsi ed educare. È il presupposto fondamentale perché ci si possa porre ‘alla scuola del Vangelo’. Il rischio che si annida nella quotidianità delle nostre comunità è di cedere a un attivismo che si traduca nel tanto temuto trionfo della ‘struttura’ sulla fede. La presunzione di ‘sentirsi a posto’ e di poter elargire lezioni di vita e cristianesimo agli altri confina col fariseismo e non giova alla crescita delle nostre comunità. Bisogna anche guardarsi dalle panie di una fede ‘fai da te’, quella fede selettiva che l’uomo si costruisce a propria immagine e somiglianza, ignorando le provocazioni evangeliche e il magistero della Chiesa. Per conoscenza non si intende la mera cognizione delle Scritture di una religione del Libro; solo l’atto di ‘entrare nel cuore vivo del Vangelo’ e la ‘compromissione’ con il Cristo (intesa come promessa di reciproco ascolto) possono conferire all’educatore quell’autorevolezza che

renderà la sua opera feconda.

Quello con il Cristo è un (e veniamo al secondo momento della riflessione di Mons. Martella) incontro che cambia la vita. Gli esempi, in tal direzione, sono molteplici; il Vescovo muove da figure evangeliche, quali l’emorroissa, Zaccheo, per poi volgere lo sguardo ai discepoli di Emmaus. Significativo l’esempio soprattutto della prima, che, grazie alla ‘fiducia’ nel Cristo, si emancipa dallo stato di impurità (l’immagine di copertina della lettera pastorale, ndr). Fondamentale anche il caso del pubblicano; la sua discesa dal sicomoro è figura della ritrovata capacità di ‘operare abbondantemente il bene’.

Nodale anche la rievocazione della parabola esistenziale di Sant’Agostino. Nella conversione, testimoniata nelle Confessiones (che diverranno per un intellettuale come Francesco Petrarca guida irrinunciabile), un ruolo basilare è giocato proprio dai Maestri, tra cui la madre Monica (nel terzo momento della riflessione, Martella ribadirà la centralità della famiglia nell’educazione cristiana), e dalla testimonianza comunitaria. Nel momento in cui rievoca la comunità ambrosiana di Milano, che apparve al santo di Tagaste ‘popolata di fedeli’ nel vero senso del termine, è come se Mons. Martella invitasse tutte le comunità della diocesi a seguirne l’esempio, per diffondere il profumo e il fascino della fede nella nostra società.

È qui che interviene il terzo snodo della meditazione episcopale: Vivere la fede in una società complessa. Come si è già detto, si tratta di una sfida nell’epoca che ha elevato il labirinto a sistema. Si è proclamata la morte di Dio, per poi saggiare con sconcerto l’insufficienza della scienza a offrire risposte agli interrogativi che da sempre assillano l’individuo. Forse l’umana riscoperta del desiderio di Dio potrà lenire le angosce della società contemporanea, a patto che non si punti all’inesausta ricerca di esperienze sensazionali. È necessario invece valorizzare la dimensione della fede nella famiglia, nel pieno rispetto del principio del life-long learning, e tornare a credere fortemente nella funzione educativa della liturgia. Tutto ciò sarà nuova linfa vitale, se gli educatori sapranno innervare di valore testimoniale le loro azioni, per tornare a destare, in chi li osserva e da loro desidera apprendere, ‘stupore’ e ‘meraviglia’.

‘Per essere veri educatori non basta essere adulti, bisogna essere ‘risorti”.