Per arrivare al cuore della Parola e della comunità
intervista a cura di Luigi Crimella
‘L’omelia’ è il tema della XXXVIII Settimana di studio promossa a Capaccio (Salerno) dal 30 agosto al 3 settembre, presso il Centro di spiritualità Getsemani di Paestum, da parte dell’associazione professori e cultori di liturgia. Scopo è di approfondire forme, contenuti, problemi e prospettive dell’omiletica contemporanea partendo dalle indicazioni del Concilio Vaticano II in materia di liturgia. Relatori saranno docenti e studiosi di diverse università e centri liturgici italiani, tra cui P.Sartor, A.M.Calapaj, C.Valenzano, M.Augé, P.Tomatis, E.Bianchi e G.Busani. In vista di questo appuntamento, il SIR ha intervistato p. Paolo Sartor, docente di metodologia della ricerca teologica all’Issr di Milano e direttore della rivista ‘Ambrosius’, oltre che autore di numerosi volumi. Sarà sua la relazione di apertura dei lavori della settimana di studio.
Una ‘buona omelia’ è davvero determinante per una messa ben vissuta?
‘Si può rispondere affermativamente, nel senso che l’omelia rappresenta il compimento della liturgia della Parola. Il suo specifico è di puntare al rinnovamento dell’atto di fede. In quest’ottica è necessario che sia valida, anche se non costituisce il tutto della celebrazione ben vissuta’.
Conta di più la ‘forma’ dell’omelia o il suo ‘contenuto’?
‘Conta certo di più il contenuto, specialmente in una comunicazione che ha a cuore il Vangelo. Ma la forma è indispensabile per farsi udire e per riuscire a provocare e favorire il rinnovamento dell’atto di fede di cui si diceva prima. Penso che vada qui richiamato il modello di Gesù che ha saputo trovare forme assolutamente originali per un contenuto non certo ‘accessorio’. Tipico il caso delle parabole dove mostra bene cosa sia una precisa forma che serve il contenuto e non vi si sovrappone’.
A volte si ha notizia di qualche parrocchia dove il parroco viene considerato un ‘predicatore’. Allora si registrano presenze massicce di fedeli, provenienti anche da altre parrocchie’
‘Forse bisognerebbe distinguere se si tratta di una situazione in cui una persona ritorna alla fede dopo tanto tempo. Il fatto di trovare un prete o un vescovo che siano bravi predicatori e che quindi aiutino con un discorso più carismatico, non è poi una cosa negativa. Il problema è se la persona, poi, successivamente continuando in un itinerario di fede e in una dimensione più ordinaria, rischia di non avere più una comunità concreta con cui relazionarsi. In questo caso la ricerca dell’omelia ‘carismatica’ sarebbe un indulgere ai costumi del nostro tempo, basati sul bricolage degli stimoli, anche in campo spirituale. Non bisogna dimenticare che la caratteristica dell’omelia è di essere la predicazione alla comunità, suppone una certa comunità che sia guidata da un determinato pastore. Quindi il nostro legame con la comunità non è accessorio e nemmeno l’omelia lo è’.
Come possono i fedeli influenzare, se così si può dire, il proprio parroco perché orienti le omelie in qualche direzione più gradita?
‘C’è in qualche parrocchia, a dire il vero poche, una modalità di riunirsi per cui i fedeli che lo desiderano partecipano alla preparazione della predica insieme al parroco. Danno quindi elementi e suggerimenti e reagiscono insieme alla Parola di Dio. Non so se questa alla fine sia la modalità migliore, certo è uno stimolo per il predicatore. Un altro modo consiste nel preparare prima la preghiera dei fedeli, con contributi concreti e legati anche al vissuto comunitario. Si tratta di metodi validi e che andrebbero sviluppati’.
Quanto alla durata, c’è una ricetta ideale, oppure dipende dal contesto, dal predicatore, dall’uditorio, dalla resistenza fisica dei presenti?
‘Sulla durata, la risposta dipende dal contesto. In ogni caso, se l’omelia è parte della liturgia, come dice il Concilio Vaticano II, non può rappresentare l’unica parte o la parte dominante. Il card. Schuster diceva che doveva durare 7 minuti e non di più. Non so se lui stesso ce la faceva a stare in questa misura. Un dato è che noi predicatori tendiamo a fare premesse, svolgimento, conclusioni e non consideriamo che oggi le persone, specie i giovani, sono abituati a ragionamenti-spot. Dovremmo imparare ad aprire l’omelia con la ‘notizia’ che vogliamo sia recepita, come fanno i giornalisti, e poi far seguire un adeguato svolgimento”.
Risulta che nelle ‘giovani Chiese’ a volte i preti incoraggino qualche fedele a intervenire con proprie considerazioni o testimonianze durante le omelie. In che misura sono fattibili, o accettabili simili prassi liturgiche?
‘Una testimonianza di tanto in tanto, breve e ben preparata, non è vietata. Se poi viene ripresa dal presidente, cioè il celebrante, si può armonizzare nella stessa omelia e risultare positiva. Il problema è che dovremmo capire di più l’omelia come parte integrante della stessa liturgia: quindi il prete è chiamato a una celebrazione più convinta e capace di mostrare il mistero, i fedeli a partecipare attivamente sentendosi non spettatori ma attori del culto’.