Il Pellegrinaggio diocesano in Polonia

Nicoletta De Palma

Non è facile racchiudere in poche righe le emozioni, gli incontri, i volti, i profumi. I colori e i sapori di un viaggio. Rimangono vivi negli occhi e nell’anima, non sempre le parole riescono a renderli al meglio. Proverò a raccontali sull’onda del ricordo freschissimo del pellegrinaggio diocesano in Polonia, sui luoghi di Giovanni Paolo II, presieduto dal Vescovo Mons. Luigi Martella effettuato dal 20 a 24 agosto. Siamo in quarantacinque con don Franco Sancilio e don Raffaele Tatulli.

Ci conosciamo quasi tutti, ritroviamo con piacere alcuni compagni di viaggio del pellegrinaggio in Russia dello scorso anno. Volo diretto Bari Varsavia. All’arrivo all’aeroporto, ci aspettano pullman e Agata, la guida che parla un buon italiano. Destinazione Czestochowa. Il viaggio è lungo, ma ci fa compagnia un rilassante paesaggio di boschi fitti di alberi dal tronco alto e sottile e dalla chioma folta e verdissima. Siamo un po’ stanchi, ma appena in albergo apro la finestra della camera, rimango senza fiato. Di fronte, sull’altura di Jasna Gora, illuminato, si erge maestoso e splendido, il convento fortezza della Madonna di Czestochowa, il più importante centro religioso della Polonia, che risale al 1382. E l’emozione si rinnova il giorno dopo con la visita del Santuario, della meravigliosa basilica barocca della Santa Croce, e soprattutto della cappella che custodisce l’icona miracolosa della Madonna, dipinta, secondo la leggenda, da San Luca. Qui, davanti alla sacra immagine, il Vescovo ha presieduto la concelebrazione in un’atmosfera così mistica, di religiosità così intensa, che difficilmente potremo dimenticare. Eravamo in tanti, ma ognuno era solo con la Vergine, Le confidava affanni e paure, Le affidava preghiere e speranze. Intorno, gente di tutte le età e di tutte le lingue, in ginocchio, in quella cappella tappezzata di ex voto, con un intera parete coperta di stampelle, e dall’altare, piccola e scura, splendida a sfregiata nel volto sulla guancia destra, la Madonna miracolosa, tanto amata da Giovanni Paolo II, irradiava una calda luce di amore e di pace. Andando via da qual luogo santo, mi sono sentita serena e in armonia con me stessa e con il mondo.

In Polonia tutto parla di Giovanni Paolo II, a cominciare da Wadowice, la cittadina in cui nacque, linda e fiorita, che ricorda i nostri paesini di montagna. Lì, nella bella piazza principale, c’è la chiesa tardo-barocca in cui fu battezzato, accanto alla casa natale e al liceo dove studiò. Dovunque, nei monasteri che abbiamo visitato, c’è una statua, un monumento, un suo ritratto, una targa. In ogni chiesa c’è un segno del Papa polacco.

Anche i campi di concentramento sono luoghi sacri: si entra e si esce in silenzio. La visita ad Auschwitz è stato un pellegrinaggio nel pellegrinaggio, un pellegrinaggio nell’orrore del più grande campo di concentramento e sterminio della Polonia. Perfino il sole che splendeva il giorno in cui ci siamo stati. Mi è sembrato un oltraggio. Per raccontare ciò che abbiamo visto non trovo parole e non

voglio cercarle, per rispetto a quei luoghi e a quei morti. Lì si può solo piangere e pregare. E davanti al muro tra le baracche dove si volgevano le fucilazioni, in quel posto senza pietà e senza Cristo, il Vescovo ha invitato tutti noi ad un momento di raccoglimento e di preghiera.

Cracovia ci riconcilia con la vita. Mi sono rimasti nel cuore lo splendore della città, ricca di storie e di leggende, un tempo famosa e potente, l’incanto del centro storico, l’armonia della piazza del mercato, circondata da splendidi palazzi medioevali, la gotica chiesa dell’Assunta. In alto sulla collina di Wawel, sorge, imponente e austero, il castello reale, e accanto la cattedrale dei Santi Venceslao e Stanislao, eretta nel 1320 su due chiese romaniche del 1100. E’ la più grande chiesa gotica della Polonia, architettonicamente opulente, ricca di riferimenti storici e religiosi, dove venivano e sepolti i re polacchi. Come scrisse Giovanni Paolo II “Chi visita quel tempio, si trova faccia a faccia con la storia della nazione”. E intorno e dentro la città, il lento scorrere della Vistola.

Merita una citazione la miniera di sale di Wieliezke, con i suoi trecento chilometri di gallerie, che arrivano ad una profondità di 327 metri. Devo confessare che mentre l’ascensore ci portava giù, ero un po’ turbata, mi aspettavo un inferno dantesco. Invece ci ha accolto un’affascinante mondo sotterraneo dove tutto è di sale, pavimenti, pareti, oggetti, statue con ampi ambienti illuminati da splendidi candelabri anch’essi di sale. Suggestiva la cappella di Santa Kinga.

La Polonia è tutto questo e molto altro. E’ una nazione che è riuscita a risorgere dalle macerie, ad andare avanti senza dimenticare il passato, a guardare con fiducia al futuro. Passato, presente e futuro si fondono in una mirabile sintesi storica, architettonica, culturale e religiosa. Ne è testimonianza la capitale, Varsavia, più volte devastata, completamente, distrutta durante la seconda guerra mondiale. Oggi la città nuova è modernissima, con grattacieli, centri commerciali, strade larghe e traffico intenso. La città vecchia, ricostruita come era in origine, ha un fascino particolare. Deliziosa la piazza del mercato con le case settecentesche dai colori pastelli ( rosa, grigio, celeste), la Cattedrale in stile gotico dove riposa il Cardinale Wszyuski, l’atmosfera rilassata e “antica”.

E dovunque giardini, verde fioriere, grandi parchi. Stupendo il parco dei ‘Lazienki’, ricco di ville, laghetti e monumenti, tra cui quello dedicato a Chopin. Il grande compositore morì a Parigi ma espresse il desiderio che il suo cuore fosse riportato a Varsavia dove tuttora riposa nella Chiesa di Santa Croce, nel grande boulevard, in italiano ‘nuovo mondo’ che unisce la città nuova al centro storico.

In questa bella strada c’è la Università, ci sono accademie,grandi alberghi e i suoi marciapiedi ornati da grandi fioriere, panchine di marmo grigio con incise le cartine stradali della zona. Accanto ad ogni nome di strada c’è un tasto. Se lo spingi, si librano nell’aria le note dei notturni e delle polacche di Chopin.

Andiamo via con un po’ di nostalgia (cinque giorni sono davvero pochi). Abbiamo anche imparato, grazie ad Agata , la nostra guida, qualche parola in polacco: ‘voda’ che significa acqua, ‘droga’ che significa strada, ‘nié’ che vuol dire no, ‘Pivo’ che significa birra (molto buona).

Come spesso accade, quando un luogo ci è piaciuto in maniera particolare, sentiamo il desiderio di tornare.

DO WIDZENIA, POLONIA. ARRIVEDERCI