A tutti fa paura sperimentare il bisogno, la mancanza, il vuoto, l’assenza, il rischio della malattia, il deserto; persino a me, che parlo troppo, che non assomiglio a Wonder Woman ma sognavo da tempo di tornare nel ‘continente nero’.
Esattamente come due anni fa, tra un aereo ed un altro, siamo arrivati a Nairobi nel cuore della notte, quando la gente pazientemente comincia a camminare per recarsi ad affrontare una giornata di lavoro, quando macchine, camion, piki piki (motorini) e matatu dormono. Nel buio, non avverti la spettacolarità di essere approdato in un ‘nuovo mondo’, non cogli la bellezza della natura e non ti accorgi della meraviglia della quotidianità del Kenya.
Primo stop a Nanyuki, una città vera e propria, fantastica accoglienza per noi, acqua calda, case in pietra, pioggia, supermercato e prezzi altissimi! La vera Africa doveva ancora arrivare, le strade, diciamo così ‘caratteristiche’ dovevamo ancora incontrarle, perché certo non immaginatevi una colata d’asfalto nel deserto, in Kenya si viaggia tra pietre vulcaniche e sabbia del deserto!
Arrivare a Marsabit, per me, è stata una vera e propria benedizione, ritornare in quella terra spettacolare, che, a differenza di due anni fa era molto più verde e fertile, ha avuto un fascino particolare, rivedere chi lavora per quella gente, girare per il ‘paese’, rivedere le capanne, ritornare nella missione di Diriba Gombo, ritrovare i bimbi della Fathima House cresciuti’ Emozioni difficili da raccontare.
In questa seconda esperienza mi sono accorta che L’Africa ti riporta all’essenziale, quello che per qualcuno è invisibile agli occhi, è stata la benedizione che ha permesso di ritrovarmi, di confrontarmi con l’irrequietezza dell’animo, con il trambusto della vita comoda, e di cominciare per davvero il viaggio nel deserto.
Ogni giorno ci sono in tv filmati e racconti dell’Africa, ma vivere la realtà, la quotidianità, ha un gusto diverso: non si sa mai per davvero cosa si affronterà solo per ‘sentito dire’.
Descrivo brevemente uno degli incontri che ha lasciato un segno profondo dentro di me; siamo stati nella scuola di Badassa, un cantiere ancora in costruzione (si sta ultimando la classe IV grazie alla generosità delle donazioni dei fedeli della parrocchia ‘Santa Maria di Sovereto’ sita in Terlizzi). Cercate di immaginare la scuola come una piccola stanza sterrata, circondata da lamiere e con qualche banchetto in cui sono seduti almeno cinque bambini; stare a scuola ha sconvolto la mia giornata, rimanere un po’ di tempo con i bimbi dell’asilo (la più piccola di due anni e mezzo), che leggevano, scrivevano e facevano piccole addizioni con una felicità incredibile, mi ha lasciata un attimo perplessa! Già’. andare a scuola, una conquista per pochi, e allora, come non pensare che da noi i bimbi inventano tutte le scuse più strambe per astenersi da un giorno di scuola e questi piccolini, con a seguito le loro matite minuscole, custodite come un tesoro prezioso avevano gli occhi spalancati e desideravano imparare?
Più ci spostavamo nella diocesi di Marsabit, verso il nord del Kenya e più ritrovavamo posti che sembravano ‘dimenticati da Dio’, con gente poverissima e gioiosa, ma più salivamo e più dentro di me riconoscevo l’unicità di incontrare l’altro. A questo proposito, sembrerebbe inutile partire, sono circondata ogni giorno da altre persone, basta affacciarmi alla finestra, andare a lavoro, passeggiare’ Ma, quanti volti incrociamo di cui non ricordiamo il nome? In Africa l’altro, l’ospite è una risorsa: accoglierlo, incontrarsi, bere chiaik insieme, abbracciarsi è il segreto della loro serenità’. Non hanno niente e condividono tutto del loro niente.
Stare a contatto con la gente ti fa capire il bisogno di evangelizzazione, di guide, di sacerdoti e laici che dedichino il loro tempo a lavorare fianco a fianco della comunità per cogliere le difficoltà che affrontano ogni giorno.
Posso affermare con certezza che l’Africa è dura, quotidianamente ci sono problematiche da affrontare, dalla mancanza di acqua, alla difficoltà di curare un bambino in ospedale (lontano almeno sei ore dalla missione); ma l’Africa non delude, ti affascina, ti rapisce, ti fa innamorare e ti fa sentire veramente a casa.
Questo viaggio mi ha riconfermato che al contrario di quanto ci si può aspettare, sono gli Africani a correre in soccorso di noi occidentali, ad insegnarci e ricordarci la bellezza dell’incontro.
Per concludere ‘Il ritorno porta addosso mal di testa e mal d’anima’ [cit. Negrita] perché quella gente ti resta nel cuore, con le sue contraddizioni e con il suo amore che, dopo giorni così intensi è difficile dimenticare.