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È dedicata all’ottava parola del Decalogo (settimo comandamento nella tradizione cattolica) la Giornata dedicata ad approfondire la comprensione della realtà ebraica mediante la mutua conoscenza, la stima e il dialogo. Senza voler qui esporre tutte le tappe che hanno portato alla situazione attuale di amicizia, dialogo e collaborazione, si devono ricordare la svolta operata da alcuni gesti di Giovanni XXIII e la Dichiarazione
che segnò positivamente le relazioni tra la Chiesa Cattolica e le Comunità Ebraiche. Tuttavia hanno inciso profondamente, nel corso dei cinquant’anni di relazioni, gli incontri tra Giovanni Paolo II e il Rabbino Capo Elio Toaff nel 1986 e tra Benedetto XVI e il Rabbino Capo Riccardo Di Segni nel 2010. Le richieste di perdono del Beato Giovanni Paolo II e il riconoscimento delle colpe del passato, durante il giubileo del 2000, hanno liberato la Chiesa da ciò che la allontanava dalla testimonianza di pace e di amore predicata da Cristo. Avendo un unico Dio, che è Padre di tutti gli uomini, «la Chiesa esecra, come volontà di Cristo, qualsiasi discriminazione tra gli uomini» (NA 4).
L’aver scelto dal 2005, di riflettere su una delle ‘Dieci Parole’, ispirandosi al discorso tenuto da Benedetto XVI nella sinagoga di Colonia l’anno precedente, vuol dire aver presente la comune prospettiva dell’Alleanza e lo stretto legame tra fede e vita. Il patto che Dio stabilisce con Israele avviene nel dialogo tra Dio, Mosè e il popolo. La relazione con Dio, per mezzo di Gesù Cristo, è il motivo che ci spinge a sviluppare il dialogo con gli ebrei, che hanno in comune con i cristiani un grande patrimonio spirituale, pregano lo stesso Signore, hanno le stesse radici nell’Antico Testamento e nel Decalogo.
L’ottava parola si riferisce anzitutto al furto delle persone per renderle schiave. L’identità del Dio d’Israele è di liberare gli schiavi, per cui chi ruba la persona e la dignità fa il contrario di quello che ha fatto Dio. In passato cadeva in schiavitù chi non poteva pagare i debiti. La Torah concedeva una tregua il settimo anno con l’abolizione della schiavitù. I nuovi schiavi sono i bambini, per l’accattonaggio, le donne, avviate alla prostituzione, gli immigrati, sfruttati nel campo del lavoro. Nel sussidio, preparato per la Giornata dalla parte cattolica ed ebraica, è presentato il comandamento ‘Non ruberai’ alla luce del rapporto con Dio: ‘Io sono il Signore’. Si vuole esprimere così uno dei doveri fondamentali dell’etica nella vita sociale, assieme ai due precedenti comandamenti che proibiscono omicidio e adulterio. Da una parte si vuole comprendere, come obbedienza al comando di Dio il rispetto per la proprietà, per i mezzi e gli attrezzi del proprio lavoro, dall’altro s’intende la proibizione del furto, che deve includere oggi, oltre all’atto criminoso compiuto con scasso e violenza a danno delle persone, la truffa, l’evasione fiscale e la corruzione.
Nell’epoca della globalizzazione il comandamento si coniuga, tramite i criteri di giustizia e di equità sociale, al positivo per i Paesi con economie sviluppate, che hanno l’obbligo di riconoscere le loro responsabilità e doveri nei confronti dei Paesi e delle società che necessitano di aiuto. In tal senso si afferma la destinazione universale dei beni e, nell’attuale crisi, la «decrescita felice», l’onestà e la trasparenza. Se la ricchezza si smaterializza, l’idea di furto cambia.
I profeti denunciano spesso le mancanze che, a causa della cattiva inclinazione umana, incidono a livello di opinione pubblica e sul piano educativo. Condannano il furto connesso all’idolatria, che implica la disobbedienza anche agli altri comandamenti. La loro parola difende gli oppressi dai malvagi. A questo proposito è significativa la figura di Elia e di Nabot (cfr 1 Re 21). In favore del giusto, che persiste nel bene, si proclama la vittoria definitiva di Dio sul male (cfr. Am 2, 1-16). Se si vuole vivere oggi il precetto divino, è necessario rivedere il proprio rapporto con i beni, che sono a servizio e che aiutano a vivere, ma di cui non si può diventare schiavi. La riflessione sul precetto ‘Non rubare’, è una risposta a Dio che, offrendo la sua Alleanza, chiede di amare il prossimo tutelando la sua libertà. Si tratta, dunque, di scoprire un altro modo di essere con se stessi e con l’altro ed entrare nell’economia del dono.