Le questioni al centro del Disegno di legge sulle Unioni civili sono di grandissima importanza. E sono questioni di una delicatezza estrema, perché coinvolgono direttamente gli aspetti più fondanti e decisivi dell’umano, le sue aspirazioni più profonde: il bisogno di amare e di essere amati, il desiderio di vedere riconosciuta la propria identità e la propria capacità di intessere relazioni profonde, l’aspirazione ad avere dei figli. Dimensioni dell’umano che chiedono, innanzitutto, di essere trattate con cura, prudenza, rispetto, non solo nelle cose che si dicono, ma anche nei toni, nelle parole e nei gesti con cui ci si esprime.
È questo l’atteggiamento che chiediamo di mantenere a chi agisce in campo politico, è questo l’atteggiamento che vogliamo concorrere a costruire nel Paese. La nostra associazione è grande, abitata da sensibilità differenti, che possono legittimamente portare a modi diversi di agire per promuovere i valori che ci accomunano e in cui tutti crediamo saldamente. Ci sembra che questo sia un bene. Ma ciò non ci esime dalla responsabilità di avere ed esprimere un’opinione sulla legge in discussione. Come ogni legge, infatti, anche questa non riguarda solo qualcuno, alcuni individui: riguarda tutta la società, quello che essa vuole essere. Il suo presente e il suo futuro, il bene di ciascuno e di tutti.
Una legge per regolare le convivenze omosessuali e garantire a esse un riconoscimento da parte dello Stato va fatta. L’ha detto la Corte Costituzionale, ma lo dice soprattutto la necessità di dare una risposta a chi attende da tempo che lo Stato regolamenti in modo specifico diritti e doveri connessi a questo tipo di relazione affettiva, evitando di lasciare campo libero a decisioni creative del potere giudiziario, con il rischio di forzare sempre più spesso, e a volte in maniera disinvolta, i confini di una sana divisione dei poteri.
Tuttavia la legge, così com’è stata proposta in Parlamento, non ci piace. Non la condividiamo. Innanzitutto perché è piena di rimandi al diritto matrimoniale: in questo modo, le unioni civili finiscono per essere assimilate nei fatti al matrimonio, malgrado a parole il Disegno di legge dica una cosa diversa quando afferma che si tratta di “una specifica formazione sociale”. Un’ambiguità che nasce, evidentemente, dalla necessità di raggiungere un compromesso tra idee, culture, sensibilità e interessi differenti. Cosa che in democrazia può rivelarsi necessaria, lo sappiamo. Ma siamo anche convinti che non si dovrebbero fare leggi poco chiare, soprattutto su temi così importanti e delicati: si dovrebbe, al contrario, fare di tutto per non generare equivoci, avendo il coraggio e la saggezza di cercare un possibile punto alto di sintesi tra le diverse spinte e aspettative, più che un loro semplice giustapporsi. Questa è una legge che meriterebbe di essere fatta oggetto di uno sforzo maggiore di ponderatezza, precisione ed equilibrio. Auspichiamo davvero con forza che il Parlamento si dia il tempo e le modalità necessarie per farlo, con il necessario sforzo di ascolto delle istanze del Paese.
C’è un’altra importante ragione per cui questa legge non ci piace, ed è ben nota: l’idea di introdurre la stepchild adoption. Perché siamo convinti che anche questa legge, come ogni legge, deve proteggere innanzitutto i soggetti più deboli, più indifesi, più esposti ai rischi che possono nascere dall’intervenire su una materia così delicata. E questi soggetti sono i figli, i piccoli. Invece, ci sembra che la proposta avanzata sia pensata innanzitutto non per garantire i diritti dei figli, quanto piuttosto per permettere di soddisfare l’aspirazione di genitorialità degli adulti, trasformando così un desiderio in un diritto. Ma questo è un campo in cui non ci può essere spazio per interessi di parte.
Questa legge, poi, non ci piace per un altro motivo. Non ci piace per il modo con cui è stata strumentalizzata, facendola diventare oggetto di battaglie e compensazioni tra correnti e raggruppamenti partitici, secondo logiche e trattative che ben poco hanno a che fare con una materia così decisiva e delicata. Fa molta tristezza vedere una legge così importante ridotta, da una parte e dall’altra, a merce di scambio in vista di appuntamenti elettorali, o di chissà quali altre manovre. Vederla trattata come collante per tenere insieme o raccogliere i cocci di un’alleanza. È sconcertante vedere una legge così delicata ridotta a stendardo ideologico, da piantare nel campo del nemico o da strappare agli avversari, per poterla esibire a mo’ di trofeo sui propri spalti, come in uno stadio di calcio, tra opposte tifoserie. Una legge come questa, una discussione come questa, deve essere sottratta sia al piano della polemica ideologica sia a quello della piccola lotta di bottega, per essere affrontata sul piano della ricerca autentica, sincera e aperta di possibili punti di incontro tra idee, interessi, visioni dell’uomo e del mondo differenti.
Quello che ci sentiamo di chiedere ai nostri Rappresentanti, al nostro Parlamento, è di avere un sussulto di coraggio, di saggezza, di senso del bene comune. Di tornare a discutere, confrontarsi, senza pregiudizi e senza secondi fini, per trovare una soluzione legislativa che davvero sappia interpretare il sentire profondo degli italiani e ne sappia trarre un punto alto di sintesi. Per il bene di tutti, per il bene di ciascuno.
È questo l’atteggiamento che chiediamo di mantenere a chi agisce in campo politico, è questo l’atteggiamento che vogliamo concorrere a costruire nel Paese. La nostra associazione è grande, abitata da sensibilità differenti, che possono legittimamente portare a modi diversi di agire per promuovere i valori che ci accomunano e in cui tutti crediamo saldamente. Ci sembra che questo sia un bene. Ma ciò non ci esime dalla responsabilità di avere ed esprimere un’opinione sulla legge in discussione. Come ogni legge, infatti, anche questa non riguarda solo qualcuno, alcuni individui: riguarda tutta la società, quello che essa vuole essere. Il suo presente e il suo futuro, il bene di ciascuno e di tutti.
Una legge per regolare le convivenze omosessuali e garantire a esse un riconoscimento da parte dello Stato va fatta. L’ha detto la Corte Costituzionale, ma lo dice soprattutto la necessità di dare una risposta a chi attende da tempo che lo Stato regolamenti in modo specifico diritti e doveri connessi a questo tipo di relazione affettiva, evitando di lasciare campo libero a decisioni creative del potere giudiziario, con il rischio di forzare sempre più spesso, e a volte in maniera disinvolta, i confini di una sana divisione dei poteri.
Tuttavia la legge, così com’è stata proposta in Parlamento, non ci piace. Non la condividiamo. Innanzitutto perché è piena di rimandi al diritto matrimoniale: in questo modo, le unioni civili finiscono per essere assimilate nei fatti al matrimonio, malgrado a parole il Disegno di legge dica una cosa diversa quando afferma che si tratta di “una specifica formazione sociale”. Un’ambiguità che nasce, evidentemente, dalla necessità di raggiungere un compromesso tra idee, culture, sensibilità e interessi differenti. Cosa che in democrazia può rivelarsi necessaria, lo sappiamo. Ma siamo anche convinti che non si dovrebbero fare leggi poco chiare, soprattutto su temi così importanti e delicati: si dovrebbe, al contrario, fare di tutto per non generare equivoci, avendo il coraggio e la saggezza di cercare un possibile punto alto di sintesi tra le diverse spinte e aspettative, più che un loro semplice giustapporsi. Questa è una legge che meriterebbe di essere fatta oggetto di uno sforzo maggiore di ponderatezza, precisione ed equilibrio. Auspichiamo davvero con forza che il Parlamento si dia il tempo e le modalità necessarie per farlo, con il necessario sforzo di ascolto delle istanze del Paese.
C’è un’altra importante ragione per cui questa legge non ci piace, ed è ben nota: l’idea di introdurre la stepchild adoption. Perché siamo convinti che anche questa legge, come ogni legge, deve proteggere innanzitutto i soggetti più deboli, più indifesi, più esposti ai rischi che possono nascere dall’intervenire su una materia così delicata. E questi soggetti sono i figli, i piccoli. Invece, ci sembra che la proposta avanzata sia pensata innanzitutto non per garantire i diritti dei figli, quanto piuttosto per permettere di soddisfare l’aspirazione di genitorialità degli adulti, trasformando così un desiderio in un diritto. Ma questo è un campo in cui non ci può essere spazio per interessi di parte.
Questa legge, poi, non ci piace per un altro motivo. Non ci piace per il modo con cui è stata strumentalizzata, facendola diventare oggetto di battaglie e compensazioni tra correnti e raggruppamenti partitici, secondo logiche e trattative che ben poco hanno a che fare con una materia così decisiva e delicata. Fa molta tristezza vedere una legge così importante ridotta, da una parte e dall’altra, a merce di scambio in vista di appuntamenti elettorali, o di chissà quali altre manovre. Vederla trattata come collante per tenere insieme o raccogliere i cocci di un’alleanza. È sconcertante vedere una legge così delicata ridotta a stendardo ideologico, da piantare nel campo del nemico o da strappare agli avversari, per poterla esibire a mo’ di trofeo sui propri spalti, come in uno stadio di calcio, tra opposte tifoserie. Una legge come questa, una discussione come questa, deve essere sottratta sia al piano della polemica ideologica sia a quello della piccola lotta di bottega, per essere affrontata sul piano della ricerca autentica, sincera e aperta di possibili punti di incontro tra idee, interessi, visioni dell’uomo e del mondo differenti.
Quello che ci sentiamo di chiedere ai nostri Rappresentanti, al nostro Parlamento, è di avere un sussulto di coraggio, di saggezza, di senso del bene comune. Di tornare a discutere, confrontarsi, senza pregiudizi e senza secondi fini, per trovare una soluzione legislativa che davvero sappia interpretare il sentire profondo degli italiani e ne sappia trarre un punto alto di sintesi. Per il bene di tutti, per il bene di ciascuno.