Riportiamo i discorsi pronunciati in occasione della benedizione del monumento, eretto dal Comune di Molfetta, per ricordare la visita di papa Francesco a 25 anni dal dies natalis del Servo di Dio don Tonino Bello.
Dirette a cura dell’Ufficio Comunicazioni sociali
Discorso del Sindaco di Molfetta Tommaso Minervini
Il 21 novembre 1982 entrava nella cattedrale di Molfetta il nuovo Vescovo. Si chiamava monsignor Antonio Bello, oggi per tutti si chiama don Tonino Bello servo di Dio, con un pastorale di legno d’ulivo e, quale terziario francescano al petto aveva una croce anch’essa di legno a forma di tau.
La forma del tau, con la banda sinistra sinuosamente prolungata in basso e chiusa da una parentesi, esprime la scelta dell’amore tra Creatore e creato che coincide con la spiritualità di san Francesco.
La linea sinuosa, che compare sulla traversa della croce, allude all’onda del mare elemento sempre in movimento.
Mare che accoglie e abbraccia tutta la terra così come don Tonino accoglieva fraternamente tutti, partendo dagli ultimi.
Due “segni” intersecano l’onda quasi unendoli al tau e ai due grafici che, posizionati, in verticale si intersecano in basso.
Di questi, uno rappresenta, stilizzato, il gabbiano, simbolo della pace, l’altro la struttura essenziale dell’ala che preconizza il suo valore alto.
Questi grafici, opportunamente collocati sul legno della croce richiamano alla mente la figura stilizzata del Cristo crocefisso.
Così, e senza pretese, prese forma la croce pettorale di don Tonino Bello, vescovo.
E questa che vedete è l’esatta riproduzione della croce di don Tonino fatta nel silenzio operoso dei nostri artigiani e dell’associazione imprenditori che hanno realizzato questo simbolo donato alla Diocesi di Molfetta.
L’ulivo della famiglia De palma, donato al Comune di Molfetta. i fratelli De Santis, che hanno col cuore modellato le pietre, gli operai della Multiservizi e delle ditte impegnate che hanno realizzato gli impianti, i progettisti nostri e della Diocesi e gli amministratori e uffici comunali e diocesani che come novelli cirenei hanno realizzato questo e l’altro simbolo che più tardi andremo a scoprire.
Siate cirenei della gioia come soleva dire don Tonino.
Questi simboli erano presenti sul palco che il 20 aprile 2018 vedeva, per la prima volta, nella storia della chiesa un Papa venire a Molfetta. Sì, proprio a Molfetta dopo 2018 anni di storia un Papa dal nome Francesco, su intercessione del nostro Vescovo, monsignor Cornacchia, è venuto qui a ricordare il cammino di don Tonino. Un cammino che continua più splendido che mai, perché, come lui sollecitava: non rattristarti popolo mio, andiamo verso momenti splendidi della storia e la primavera spirituale inonderà il mondo.
All’inizio le parole di don Tonino apparvero dissonanti rispetto al coro, poi per tutti è diventato il Profeta, per noi laici il Vescovo che profumava di popolo.
Il già santo, se nel mondo contemporaneo santità è avere la capacità, a 26 anni dal dies natalis di contaminare suoi suoi valori la cita di moltitudini di persone e della interpretazione ancora vivete del messaggio evangelico, quello autentico.
Don Tonino portava un messaggio di riconciliazione che, come vedete, ancora oggi, la nostra comunità deve ancora recepire in pieno e coltivare un presente che porti quel messaggio nel futuro.
Ora, con la benedizione di oggi, devono tornare in primo piano i molti volti autentici ad incrociare il messaggio di don Tonino ben piantato nel centro della nostra città, dopo le maschere rumorose.
Così, quando noi non ci saremo più, e le nostri opinioni ed i cavilli burocratici non li ricorderà più nessuno per i laici resterà la tensione etico morale, per i credenti la tensione evangelica.
Infatti questi segni vanno oltre di noi e i loro valori cammineranno su altre gambe ed in altri cuori.
Io devo davvero ringraziare chi ha polemizzato in questi giorni perché così si è potuto vedere chiaramente la differenza tra i poteri della burocrazia e della polemica ed il grande valore evocativo del potere dei segni, come auspicava lo stesso don Tonino.
Sì, il potere dei segni. I segni di don Tonino, quelli di mettersi in corpo l’occhio del povero, quello di costruire la pace, quello del servizio, la chiesa, le istituzioni col grembiule, quello dell’accoglienza, quello della speranza, di incamminarsi sui crinali dell’audacia, alla convivialità delle differenze a quello dell’eleganza che è il rispetto dell’altro, quello della bellezza; quando diceva che bello è una opinione e infatti non è esiste nelle lingue antiche dei padri né in greco che viene dal significato di valore, né in latino che deriva da bonus né in aramaico. Bello è sempre associato a ciò che è buono, di valore.
Questi e tanto altro come tutta la vita di don Tonino evocano il potere dei segni. Il giorno dei funerali di don tonino un sacerdote del seminario in una storica diretta televisiva che mi trovai a coordinare concludeva la cronaca dicendo: ora tornando a casa nessuno potrà dimenticare i segni di don Tonino perché la sua vita è stata piena di significati come piena di significati è stata la sua morte.
Nessuno siano perplesso verso questi segni. Nessuno deve avere paura di questi segni.
I farisei erano una setta che ritenevano di essere superiori agli altri, imponevano leggi per non contaminarsi con gli altri e preservare ad ogni costo le loro usanze. Poi la storia del vangelo la conoscete e don Tonino ci ha insegnato la contaminazione e la convivialità delle differenze.
Un principio anche laico. Anche il buon Gaetano Salvemini, laico impenitente, affermava che la laicità non è rigettare i simboli degli altri ma far sì che ognuno avesse la libertà dei propri segni e delle proprie idee.
Suvvia oggi siamo qui a fissare nella storia della Città la memoria di don Tonino e della visita del Papa.
Perché senza memoria non esiste la storia, non esiste una comunità, non esiste nulla. Solo l’attimo che fugge.
Noi oggi andiamo a fissare per le giovani generazioni i segni di questa memoria che dovrà continuare, perché i giovani non abbiano paura, come diceva Giovanni Paolo II e don Tonino esortava loro ad “organizzare la speranza” di cambiamento.
La realtà delle persone e delle leggi? Ma noi siamo qui ad operare per subire tutto ciò o per fare ciò di cui sentiamo collettivamente ciò che è buono e giusto? Sembra proprio avverarsi la profezia della collocazione provvisoria della croce.
Nel libro pietre di scarto don Tonino evocava la costruzione di una nuova spiritualità eversiva.
Il potere di questi segni, la croce e l’ulivo, si proprio qui, nel centro della città, nel punto dell’incrocio tra le strade della Chiesa che vanno verso la diocesi e alle finestre le cui stanze hanno visto l’impegno pastorale esaltato, contrastato e scomodo e la strada che conduce ai palazzi della laicità del governo cittadino.
I segni non si nascondono, ci devono indicare la direzione cui ognuno può sceglie di andare.
La croce e l’ulivo in questo incrocio devono svettare, infatti non stiamo facendo una tomba non dobbiamo seppellire niente e nessuno, stiamo elevando dei simboli. Quelli che erano sul palco del Papa. Il simbolo cristiano della croce e l’ulivo simbolo laico della pace. Non è un caso che la croce è stata donata alla Diocesi e l’ulivo al Comune.
Allora carissimi concittadini questi sono i segni. I segni che, come scriveva don Tonino nella lampara, daranno ai nostri fratelli la gioia di prendere il largo, il fremito di speranze nuove.
Il bisogno di sicurezze nella burocrazia ci ha inchiodati in un mondo vecchio e triste.
Lo stesso Papa nella sua omelia il 20 aprile 2018 a Molfetta citava don Tonino dicendo che proprio nel tempo di Pasqua augurava di accogliere le novità ed esortava gli specialisti della perplessità, i contabili pedanti dei pro e contro ad accogliere i segni del cambiamento.
Che questi simboli siano per la nostra Comunità segnali di direzione per camminare insieme in profonda comunione.
Questi segni siano direzione valoriale soprattutto per i giovani.
In un convegno nazionale della gioventù don Tonino disse questa filastrocca di Gianni Rodari:
Un signore di Scandicci
buttava le castagne
E mangiava i ricci
Un suo amico di Lastra a Signa
buttava via i pinoli
E mangiava la pigna
Tanta gente non lo sa,
non ci pensa e non si cruccia.
La vita la butta via
e mangia soltanto la buccia.
Questa città deve e sta recuperando comunitariamente il senso alto delle cose e dei comportamenti e dobbiamo essere di esempio verso chi continua a occuparsi degli involucri.
Qui davanti è riportata sulla pietra la frase scritta di proprio pugno da don Tonino “in piedi costruttori di pace”, che questi segni siano il segnale di direzione ai nostri giovani dell’impegno che questo grande Vescovo ha svolto a livello nazionale e internazionale per la pace.
La croce è sempre una lacerazione. Ma siamo ancora tutti alla ricerca di quelle terre nuovi e cieli nuovi che devono portare, ciascuno per i propri compiti, nelle proprie professioni a migliorare in termini di bontà, di valore la nostra grande Comunità Molfettese.
Ora reverendissimi Vescovi vi chiedo di nobilitare questo umile lavoro di tanti volti e cuori sereni a segni di valore che il popolo di Molfetta e soprattutto i giovani possano, sollecitati da questi segni, trarre riflessione e segni di direzione valoriale. E in nome di don Tonino provare a continuare il cammino ut unum sint.
Molfetta, 7 aprile 2019.
Discorso di Mons. Domenico Cornacchia
Saluto cordialmente Sua Ecc.za Rev.ma Mons. Francesco Cacucci, Arcivescovo Metropolita di Bari-Bitonto, il signor Sindaco Tommaso Minervini. la senatrice Carmela Minuto, le autorità civili e militari, e tutti quanti voi.
Stasera siamo qui davanti a questi segni che conosciamo molto bene e che ci sono sicuramente familiari.
Qualcuno avrebbe preferito vedere realizzato un monumento al Vescovo don Tonino Bello. Qualcun altro avrebbe desiderato un monumento a Papa Francesco.
Invece, dinanzi a noi due semplici segni a ricordare lo straordinario evento della visita pastorale del Santo Padre, lo scorso 20 aprile 2018, in occasione del 25° anniversario del dies natalis dell’amato e indimenticabile Servo di Dio, il Vescovo don Tonino Bello.
Innanzitutto la Croce: vuole rendere ancora viva la presenza di quel Vescovo, umile, semplice, essenziale, povero; quel Vescovo, don Tonino, che ha sempre profumato di popolo e ha indicato, con la sua vita, la strada della radicalità evangelica.
«Quella croce è scomoda e “scomoda” le nostre coscienze: è stata piantata qui, nel cuore della città, perché ricordi al passante il peso di quello strumento di sofferenza e lo induca ad eliminare le fabbriche che le producono, nonché ad escogitare strategie perché il suo peso non gravi sulle spalle di chi è più debole per l’assenza di voce, per cultura, per censo, per potere.
Quella croce è scomoda perché indica, nel superamento dell’egoismo e nel dono di sé, il luogo e il mezzo per dare senso alla giustizia. è scomoda perché è il segno dell’amore che si fa dono.»
Non rimuoviamola la croce, specie quella che non si vede, ma piantiamola nella nostra vita, nei nostri cuori, nelle nostre case, perché… per crucem ad lucem, attraverso la croce, riceviamo la luce della speranza.
E poi c’è l’ULIVO, segno eloquente della nostra terra: ha adornato l’altare papale nella storica celebrazione del 20 aprile dello scorso anno.
L’ulivo produce le olive e poi l’olio: simbolicamente ci ricorda che le lampade della nostra carità hanno bisogno di essere riempite dell’olio dell’amore, che non deve mai venire a mancare affinché possiamo versarlo abbondante sulle ferite degli uomini di oggi, di domani, di sempre!
Questi segni, la croce e l’ulivo, ci ricordino sempre le parole che Papa Francesco ha fatto risuonare durante la celebrazione eucaristica di quell’indimenticabile 20 aprile dell’anno scorso: «Don Tonino ha vissuto così: tra voi è stato un Vescovo-servo, un Pastore fattosi popolo, che davanti al Tabernacolo imparava a farsi mangiare dalla gente. Sognava una Chiesa affamata di Gesù e intollerante ad ogni mondanità, una Chiesa che «sa scorgere il corpo di Cristo nei tabernacoli scomodi della miseria, della sofferenza, della solitudine».
Permettetemi un ultimo riferimento ad un altro segno che incornicia la croce e l’ulivo: è l’erba verde. Chiedo ancora al Vescovo don Tonino di ispirare le nostre parole per dare un significato profondo a questo simbolo: una volta, scrisse così, indicando la bellezza semplice dell’erba: «Festa dell’erba verde. Sarà anche la festa della speranza in un mondo più limpido, restituito ad antiche trasparenze, se sapremo implorare da Dio che metta finalmente nel cuore degli uomini una incontenibile nostalgia di purezze perdute» (1 giugno 1986).
Così sia per ciascuno di noi, per la nostra città, per la nostra Diocesi, per il mondo intero.
Molfetta, 7 aprile 2019
† Domenico Cornacchia