Abbiamo letto l’intervista rilasciata da Matteo D’Ingeo a fine agosto al giornalista Sergio Magarelli. Pensavamo che il nostro documento, che stigmatizzava l’uso strumentale del Rosario in campagna elettorale, suscitasse l’approvazione della parte laica della città, che invece allora ha taciuto e lo cita oggi per sottolineare una mancanza: l’esserci indignati per Salvini ma non per la festa dell’Annunziata, con relativo rosario fatto volare, in segno votivo, da una persona “con precedenti penali, arrestata e condannata negli anni novanta”.
Premesso che come Consulta delle Aggregazioni laicali, non seguiamo questa come altre feste parrocchiali e men che meno quelle di quartiere (non è nostro specifico vagliare programmi, nomi e attività previste per tali iniziative), né sul manifesto riportato troviamo esposti simboli della Diocesi, capiamo bene che la questione è un’altra. Si tira in ballo la Diocesi perché si ipotizza una connivenza, o per lo meno una tolleranza della Chiesa locale con gente di malaffare. In tal caso, la CDAL (Consulta Diocesana delle Aggregazioni Laicali), come forse tutte le espressioni organizzate della Diocesi, dovrebbe indignarsi, dichiarando la propria estraneità e la non condivisione di tali scelte.
Intanto diciamo chiaramente che non è accettabile nessun tipo di collaborazione con la criminalità e che il rispetto della legalità è un dovere anzitutto per noi cristiani (sempre che la legalità sia a servizio dell’uomo, vedi il caso dei porti chiusi e l’obiezione di coscienza operata dalla Chiesa). Ma il punto è, una volta dichiarato senza dubbio questo, non per essere buonisti, ma per essere concreti, che ne facciamo delle persone a rischio che vivono nei nostri quartieri e nelle nostre parrocchie e hanno pagato il loro debito con la giustizia, o che non hanno proprio senso civico e vivono in clan dove certe abitudini e certi comportamenti arroganti sono duri a morire? Al netto delle prese di posizione, delle denunce, del rischiare di persona dicendo con franchezza ciò che va detto senza sconti e zone d’ombra (e nelle nostre comunità abbiamo sacerdoti e laici che rischiano di persona ogni giorno), c’è una urgenza educativa che richiede un faticosissimo, quotidiano, poco social servizio di accompagnamento alle situazioni, alle famiglie, alle singole persone. Il riscatto sociale non passa per la ghettizzazione e i marchi a fuoco, ma per un lentissimo, a volte disperato tentativo di recupero ad un contesto civile. Allora si tratta di stare dentro le delicate, complesse situazioni e i quartieri a rischio, cercando di mettere in campo qualsiasi possibilità di integrazione, giocando sul filo dell’equilibrio per non interrompere un difficilissimo dialogo con chi parla un’altra lingua, puntando sui bambini e sulla loro crescita e forse, ipotizziamo, provando a coinvolgere ciascuno nella partecipazione ad una festa di quartiere.
Certo, bisogna valutare se tutte le iniziative sono opportune, prestare attenzione per evitare teatralizzazioni e strumentalizzazioni, a fini personali, di segni e momenti religiosi, vigilare perché l’aiuto non passi per spalleggiamento, lavorare perché sia garantita la trasparenza e chiarito il senso del nostro agire, ma questo non significa non agire, per paura di contaminarsi. Nostri, non mostri, ricordiamolo.
Molfetta, 9 settembre 2019
Il Direttivo della Consulta diocesana delle Aggregazioni Laicali