
AUT PATI, AUT MORI
L’idea del logo nasce dalla volontà di riprodurre, seppur in modo stilizzato e minimale, i tratti caratteristici dell’edificio sacro che è la Chiesa di Santa Teresa. Si tratta, infatti, della riproduzione di una scalinata bidimensionale, che ricorda quella che quotidianamente i fedeli percorrono per accedere alla chiesa, accompagnata, lateralmente, da dei trapezi che ne accentuano la prospettiva.
Salire con sacrificio le scale significa ascendere al mistero di Dio per comprendere il suo progetto d’amore, lasciando le problematiche di sempre, menzionate dal piano stradale, per ricomprenderle solo nella luce di Dio incontrabile nello spazio del tempio.
C’è anche un accenno alla parte alta dell’edificio che ricorda il tetto spiovente, inaccessibile, su cui poggia la Croce. Nel mistero pasquale del Crocefisso, percorrendo «la mulattiera del Calvario» (don Tonino Bello) ed evitando ogni seducente scorciatoia, il pio credente ha modo di riscoprirsi nell’amore di Dio e configurarsi a Colui che «tutto può» (Fil 4,13).
Infine, per omaggiare la Santa d’Avila, di cui la parrocchia porta il nome, all’interno del logo è stato inserito un riadattamento della settecentesca scultura lignea di Santa Teresa, già venerata nel catino absidale della vecchia chiesa demolita nel 1961.
Il motto in quattro parole di santa Teresa di Gesù è «Aut Pati, Aut Mori». Così è abitualmente raffigurata con in mano un libro su cui sono impresse queste parole. Spesso vengono tradotte come “O soffrire, o morire”. Ciò suona duro e punitivo, per non dire deprimente. Cosa vuole dirci la Santa? È meglio abituarsi al dolore o morire? Si sta vantando di condolersi nella sofferenza e se questa non viene compresa è meglio morire? Che motto è questo per un santo?
La parola latina “PATI” è collegata a “PASSIONE”, “PAZIENTE”. Il significato di questi vocaboli è quello di essere parte di un processo di dispiegamento. Una passione nel suo senso originale si contrappone a un’azione – quando siamo in una passione siamo soggetti a un’emozione che ci collega con qualcosa al di fuori di noi stessi. Quando si è “pazienti” si attendono i risultati di un processo che è in movimento.
La congiunzione «aut…aut…» non significa “devi fare questo o quello” nel senso di una scelta forzata ma, piuttosto, che tutto è l’uno o l’altro o, meglio, tutto è solo nella misura in cui è l’uno o l’altro. Per la natura della vita siamo o impegnati in “pati” o “mori”. O siamo parte dello svolgimento di un processo o stiamo morendo. Ogni momento possiamo guardare dentro di noi e vedere quale aspetto di noi è «pati» e quale aspetto di noi è «mori».