Ufficio per la pastorale della salute

XXIX Giornata mondiale del malato

La relazione di fiducia nella cura dei malati

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Oggi 11 febbraio, ricorrenza liturgica della Beata Maria Vergine di Lourdes, si celebra la XXIX Giornata mondiale del malato.

 

Il tema scelto da papa Francesco, «Uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli»(Mt 23,8) ”La relazione di fiducia alla base della cura del malato”, evidenzia le modalità di approccio e la relazione col malato.

 

Messaggio del S. Padre Francesco per la XXIX Giornata Mondiale del Malato

 

In serata alle ore 18.30, il vescovo Mons. Domenico Cornacchia celebrerà la S. Messa nella Parrocchia dell’Immacolata a Molfetta dove concluderà la visita pastorale.

 

Scarica la cartolina della giornata

 


Di seguito una riflessione a partire dal messaggio del papa, già pubblicata su Luce e Vita N. 6 del 7 febbraio 2021, del direttore dell’ufficio, il dott. Mimmo Cives

 

«È trascorso un anno. Si vive peggio, ma si vive. Sono lontani i giorni in cui si esorcizzava il timore cantando sui balconi e scoprendo una rinnovata solidarietà. Ben presto i frammenti di pensieri elaborati ad occhi aperti hanno dovuto lasciare il passo a paure concrete e consapevolezza che non siamo più liberi. Siamo infatti assoggettati a regole di comportamento fortemente lesive della nostra libertà personale e ad un tipo di isolamento frustrante e mal tollerato. Non è umana la vita che non si può trascorrere in compagnia di esseri umani da ascoltare e dai quali essere ascoltati.

 

È stata stravolta anche la comunicazione medico-paziente non più basata sulla relazione “in presenza”, ma “a distanza”, che non consente una corretta trasmissione di segnali e di valori empatici. I disagi di questo tipo di vita non devono condurci ad abbassare la guardia verso un nemico davvero pericoloso e che può essere contrastato sì dai vaccini, ma soprattutto dai responsabili comportamenti di ciascuno. È responsabile chi manifesta la propria libertà nel bene e nel male. Dolore e tristezza sono entrati in tante case.

 

Nella tua Gianna, già provata per la perdita di importanti affetti e costretta a tirar su i tuoi figli senza padre. Non riuscivi a contenere il pianto per la paura che il virus ti provocasse lutti ulteriori. Nella tua Simone, che ti preoccupi della tua azienda e che vorresti evadere dal tuo isolamento. Nella tua Giovanna, che vivi il peso della tua solitudine. Non hai affetti e nessuno, tranne me, sa della tua esistenza.

 

Nella vostra, Michele e Lucia che con gli occhi rossi salutate dal balcone i vostri nipotini senza poterli abbracciare. Nella tua Elisa, che piangi la morte di tuo marito al quale non hai potuto dare un ultimo bacio quale suggello di 50 anni sempre vissuti in bella simbiosi.

 

E voglio ricordare te Giuseppe, strappato quella sera dalla tua casa fra l’incredulità e la rassegnazione tua, di tua moglie e del tuo unico figlio, per essere trasferito, a sirene spiegate, in una Unità di Terapia Intensiva. Ho vissuto con te le tue ansie e le tue speranze, la tua paura e il tuo affido, il tuo terrore e la tua resa finale. Attraverso il tuo telefonino mi mostravi dietro la maschera di ossigeno, la tua fame d’aria, gli occhi sbarrati che mi interrogavano, la tua richiesta di aiuto, la speranza che ti abbandonava. Per tutto il periodo del ricovero non hai voluto che tuo figlio, quell’unico figlio, ti vedesse dilaniato dal dolore. Un giorno, da padre, capirà. Tu mi hai insegnato cosa è la dignità di chi soffre e quanto sia importante vivere e non sopravvivere.»