Chiesa locale

La croce è il segno distintivo del cristiano

Azione liturgica del Venerdì Santo. Omelia e photogallery

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Il venerdì santo è l’unico giorno dell’anno in cui non si celebra l’Eucarestia, è dedicato alla liturgia crucis. È l’occasione in cui «la preghiera si concentra sul valore salvifico della croce» afferma Mons. Cornacchia.

La croce è il segno distintivo del cristiano, riferimento costante e irrinunciabile, perché da essa si riconosce chi crede profondamente. Come indica papa Francesco, attraverso la croce è possibile imparare ad uscire da noi stessi per andare incontro agli altri, “novelli crocifissi” e a farci muovere per primi verso i fratelli e le sorelle che stanno più lontani, che hanno bisogno di maggiore comprensione, consolazione e aiuto.

 

L’odierno mondo secolarizzato, fa notare il Vescovo, punta sempre più a ridurre il dolore, eliminare la sofferenza, cancellare il sacrificio. Tutto dev’essere indolore. Per questo la fede nella croce appare paradossale, assurda, insostenibile. Diventa uno scandalo, come già affermava S. Paolo.
Tuttavia, «il Vangelo della Croce è assurdo per il mondo, ma è ancora di salvezza per coloro che hanno fede in Dio e amore verso il prossimo» sostiene deciso Mons. Cornacchia, perché «è l’amore di Cristo che ci spinge a farci prossimo del prossimo. Ogni amore che non viene espresso dal sacrificio non è vero amore. La croce è segno di passione, non di sofferenza, ma di amore, di ardore, per qualcuno o per qualcosa».
 

La croce è amore senza misura, ci ricorda don Mimmo, richiamando la definizione di S. Bernardo, perché proprio lì si manifesta l’amore di Dio. Lo sapeva bene S. Francesco, che si riteneva un “novello pazzo” e ancor più l’evangelista Giovanni quando riconosce che nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici.
 

Eppure, l’annuncio della croce trova oggi molte resistenze. Provocatoriamente Mons. Cornacchia chiede come possa essere la croce ancor oggi “buona notizia”? Dio continua a salvarci ma noi ne siamo inconsapevoli, occupati in altro. E allora? «È necessario imitare Gesù. Occorre diventare un segno di speranza per gli altri, aiutare chi non ce la fa a portare i pesi» ma non è semplice, «a volte invece carichiamo le spalle con i giudizi, con l’indifferenza». In quanto credenti, «la missione che ci attende è di scendere dal Golgota e incamminarci per le strade del mondo e impegnarci», così da salvare il mondo partendo proprio dal calvario, dalla sofferenza che è ragione di salvezza.
 

La sapienza della croce, spiega Mons. Cornacchia, sta nel comprendere che «Gesù non ci libera dalla croce, ma ci libera con la croce» e questa consapevolezza può sostenerci nell’aiutare «chi non sa vedere oltre il buio e la tribolazione, solo così come diceva don Tonino le ferite diverranno feritoie, attraverso le quali si intravvede la luce del mattino della Pasqua della resurrezione».
 
Non resta che pregare in silenzio e con fiducia.
 

Susanna M. de Candia

 
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