Che gioia trovarsi assieme a Bari, città porta di accoglienza e dialogo, che dimostra come il mare può essere davvero nostro, dove “nostro e vostro” si uniscono e il fatto di attingere alle medesime risorse può significare unione, non competizione, conoscenza, non violenza. L’amore di Dio non rimane un’entità senza forma ma presenza, un bambino figlio di Dio, perché l’amore non sia un’indicazione generica e facile per maestri che dispensano verità prive di amore. Lo capiamo in questo luogo privilegiato insieme a San Nicola, che tanta devozione raccoglie in Ucraina e Russia. Il nostro Dio è “molto geloso di Sion”, perché è amore, amore vero, non elisir di benessere per individualisti che riducono tutto alla propria personale convenienza. Gesù piange guardando Gerusalemme della quale ne vede la distruzione. Gesù non condanna, non si compiace di avere ragione: piange e affronta il male perché il male non sia l’ultima parola e perché in ogni croce gli uomini vedano il suo amore. Il sogno di Dio è che “diventiamo vecchi e vecchie” in piazze che “formicoleranno di fanciulli e di fanciulle”. Vecchi e giovani, la vita protetta dall’inizio alla fine. Per realizzare questo sogno che è suo e nostro, Dio ci dona e ci affida “il seme della pace”. Gesù è questo seme, pagato a caro prezzo, tutt’altro che un richiamo senza volto e senza corpo, entità generica e falsamente rassicurante, ridotta a cura del nostro benessere individuale. Dio è felicità, ma ci chiede di amare, cioè di donare non di possedere.
Si può forse essere felici e amare da soli? Amarsi senza amare rovina la nostra vita! La pace è un seme di amore, irriducibile, perché non c’è vita senza pace. È affidato a noi. Dipende da noi: non prediamocela con Dio! Lui la pace l’ha pagata a caro prezzo. Adesso dipende solo da noi. È un seme: contiene già tutta la pace, ma deve crescere. Cristo, principe della pace, vieni! Vieni ad illuminare chi vive nelle tenebre.
Siamo qui per consegnare al Signore, che è il Principe della pace, il desiderio di pace che riempie i nostri cuori e che alimenta la speranza di tante sorelle e di tanti fratelli. Siamo qui per affidare all’intercessione di San Nicola le lacrime di tanti il cui dolore è il nostro dolore, le cui lacrime sono le nostre.
L’ansia della pace è il nostro grido che diventa preghiera: vieni Gesù, porta il Natale della pace in Ucraina! Il seme della pace possa crescere nelle crepe di cuori induriti e che il Signore possa toccarli con la forza della sua grazia. Che possano vedere presto i piedi «del messaggero che annuncia la pace» (Is 52,7). È un sogno? No. Una guerra tra cristiani umilia e scandalizza, offende il nostro unico e comune maestro che la spada ordina di rimetterla nel fodero, ricordando che chi di spada ferisce di spada perisce e che la violenza segna la vita della vittima e dell’assassino, sempre.
Cosa può pensare San Nicola se non rattristarsi e chiedere nel nome di Dio di fermarsi? San Nicola non vuole la violenza e ordina la pace! Non si dica che non ci sono le condizioni! Quelle si trovano! Smettiamo combattimenti che portano solo alla distruzione! La pace non è un sogno è l’unica via per vivere! È la scelta, non una scelta. E la pace diventa preghiera, sofferta, per certi versi drammatica invocazione. Ma la pace è solidarietà, scelta concreta di aiutare chi è colpito, perché la guerra vergognosamente e senza nessuna pietà distrugge tutto, perfino gli ospedali, le scuole e la guerra uccide di freddo, di malattie non curate, di disperazione. Non smettiamo di aiutare, accogliere, mandare di sognare che le spade si trasformino in vomeri.
Un profeta di questa terra di Puglia, un instancabile operatore di pace, don Tonino Bello, trentasei anni fa, in giorni in cui si assisteva a una crescente militarizzazione di questa regione, scriveva: «Incombe su di noi la dissolvenza in negativo del testo di Isaia che dice: “Forgeranno le loro spade in vomeri, le loro lance in falci, e non si eserciteranno più nell’arte della guerra. Ci sovrasta l’ombra di un minaccioso anti–Isaia, dove sono i vomeri a trasformarsi in spade e le falci in lance»1.
Cosa porta il possesso del nucleare? Facciamo nostra la sua preoccupazione, che supera il tempo e ci aiuta a vivere nel nostro, perché ciascuno di noi non si stanchi mai di coltivare, come può, ma sempre con la forza dell’amore, sogni di speranza e di pace. Senza visione di pace non la si cerca e non la troviamo. Certo, un seme sembra piccolo, inutile. In esso è nascosta, però, tutta la pace. Ed è affidato a noi. Se lo teniamo per noi non serve a nulla. Possa ciascuno di noi, artigiano com’è di pace, gettare il seme della pace con il perdono, con la conoscenza, praticando la solidarietà e l’attenzione a ciascuno. Tutti possiamo fare tanto. È la famosa goccia che riempie l’oceano. E noi vogliamo esserci e non fare mancare la nostra. Anche perché, non dimentichiamolo, in una goccia qualcuno vedrà tutto l’oceano! C’è tanto bisogno di pace. Vogliamo che tanti vedano la luce del Natale riflessa dalla nostra umanità e solidarietà.
Maria corre verso Elisabetta. Noi vogliamo sollecitare, nella nostra umiltà, ma anche con la ferma risoluzione chi può e deve fare qualcosa per la pace perché, anche in maniera esplorativa, sia avviato un cammino che conduca al dialogo. Non ci saranno mai le condizioni, se non la sconfitta! Quanta distruzione di persone e cose dobbiamo aspettare?
San Nicola, uomo di pace, volge le spalle a chi non ascolta l’invito di pace. Spingiamo perché sia preparata una conferenza che, come saggiamente avvenne a Helsinki ormai troppi anni fa, possa risolvere tanti conflitti e creare le basi di una convivenza pacifica.
Rinnoviamo l’appello perché nei giorni di Natale non si compiano azioni militari attive, sia permesso ai cristiani di onorare il Dio della pace, non si profani quel giorno distruggendo le tante Betlemme dove vuole nascere il Signore. San Nicola ispiri la saggezza e il coraggio di questa scelta. Non ci abituiamo alla guerra e facciamo nostra la stessa trepida attesa del Papa per commuoverci anche perché speriamo che ogni giorno sia l’ultimo di guerra e attendiamo con ansia, con la fretta di Maria, che venga il Natale della pace. Che tutti noi, come Maria, senza chiederci se tocca o meno a lui, senza indugi, faccia crescere il seme della “pace”! La pace non è un ideale astratto o un dono che cade dal cielo: richiede fatica, tenacia, creatività. Lo facciamo perché non abbiamo pace senza la loro pace.
Desidero far risuonare ora quanto il Santo Padre disse quattro anni fa, sul sagrato di questa Basilica, senza aggiungere, al termine, alcun’altra mia parola, perché ritengo che le sue parole restino oggi purtroppo di drammatica attualità: «La pace va coltivata anche nei terreni aridi delle contrapposizioni, perché oggi, malgrado tutto, non c’è alternativa possibile alla pace. Noi ci impegniamo a camminare, pregare e lavorare, e imploriamo che l’arte dell’incontro prevalga sulle strategie dello scontro, che all’ostentazione di minacciosi segni di potere subentri il potere di segni speranzosi. […] Per fare questo è essenziale che chi detiene il potere si ponga finalmente e decisamente al vero servizio della pace e non dei propri interessi. Basta ai tornaconti di pochi sulla pelle di molti! Basta alle occupazioni di terre che lacerano i popoli! Basta al prevalere delle verità di parte sulle speranze della gente! […] L’anelito di pace si levi più alto di ogni nube scura. I nostri cuori si mantengano uniti e rivolti al Cielo, in attesa che, come ai tempi del diluvio, torni il tenero ramoscello della speranza (cfr Gen 8,11). […] «Su te sia pace» (Sal 122,8) – insieme: “Su te sia pace” [ripetono] –, in te giustizia, sopra di te si posi la benedizione di Dio. Amen»2.
Bari, 21 dicembre 2022
✠ Matteo Zuppi, Arcivescovo di Bologna – Presidente della Conferenza Episcopale Italiana
1 Scritti di don Tonino, vol. 4: Scritti di pace, Mezzina, Molfetta 1997, p. 38.
2 https://www.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2018/july/documents/papa–francesco_20180707_visita–bari–conclusione.html