Chiesa locale

Omelia di mons. Vincenzo Turturro nella Cattedrale di Molfetta

V domenica di Quaresima - 16 marzo 2024

Care Eccellenze,

confratelli sacerdoti,

religiosi e religiose,

fratelli e sorelle dell’amata Diocesi di Molfetta-Ruvo Giovinazzo-Terlizzi, che così numerosi avete scelto di prendere parte a questa celebrazione, anche rappresentati dalle Autorità civili e militari,

 

a una settimana dall’ordinazione episcopale, il Signore mi fa il grande regalo di essere tra voi, per lodare il suo cuore premuroso e generoso. Nella sua misericordia non ha tenuto conto delle mie tante fragilità e attraverso la mia povera persona ha fatto dono alla Chiesa di un nuovo Vescovo, un giovane Vescovo.

 

Ringrazio Lei, Eccellenza, don Mimmo, e con Lei ringrazio i confratelli di questa Diocesi, con cui ho condiviso buona parte del mio cammino formativo e vocazionale.  Porto ognuno di voi nella preghiera, mi siete molto cari.  Quotidianamente rendo lode al Signore per avermi fatto nascere nella mia famiglia e aver fatto sorgere e maturare la mia vocazione al sacerdozio in questa terra, in questa Diocesi, nel seno di questo presbiterio.  Vi ho portati e vi porterò con me in qualsiasi parte del mondo la Chiesa decida di inviarmi.

 

Immagino comprendiate bene l’emozione che provo nel salire su questa Cattedra (seppure evidentemente non mi appartenga!).  Circa vent’anni fa ero inginocchiato su questi gradini per essere ordinato sacerdote.  Ora sento tutto il carico di una storia che grava sul mio cuore: storia di santità e di servizio, storia di amore alla Chiesa e di attenzione premurosa al Popolo di Dio.  Mi propongo di continuare ad attingere da questa storia la linfa vitale per essere testimone credibile di Cristo Risorto.

 

Il Santo Padre mi invia in Paraguay, dove troverò una cultura ricca seppur differente dalla nostra, conoscerò una storia nuova, dovrò adattarmi ad una lingua che non mi appartiene, incontrerò persone buone e bisognose di amore.  Parto però con la certezza che la fede in Gesù Cristo e l’Amore per la Chiesa accomunano tutti i Popoli che come pastori siamo chiamati a servire.  Mi metterò in cammino con l’amato popolo paraguayano conservando nei miei polmoni l’aria respirata in questa nostra terra.  Il profumo del nostro mare, la bellezza della nostra veracità, la devozione verso la Santissima Vergine, la genuina umanità e la fede sincera di ognuno di voi mi accompagneranno per sempre.

 

In mezzo a voi ho sperimentato fin dalla mia giovinezza l’affettuosa “maternità della Chiesa”, che si è fatta cura premurosa nelle parole ed opere del venerabile don Tonino, azione concreta nel ministero di don Donato, delicata carezza nell’affetto del compianto don Gino, accompagnamento gioioso nella generosità di don Mimmo.  Questa nostra Chiesa diocesana è scrigno del desiderio di ognuno di voi, cari fratelli e sorelle, di accorgersi dei semi di vita presenti nel mondo intero, anche negli anfratti del cuore umano che sembrano più lontani dalla Chiesa e da Dio.

 

Mi piace rivolgere il mio grazie a ciascuno di voi, care sorelle e cari fratelli, per la vostra gioia!  Ho percepito nei cuori di ognuno di voi il rallegramento profondo per la grazia che il Signore sta operando.  È qualcosa che davvero tocca il cuore!  In questo vostro sentimento leggo l’ulteriore conferma che quanto si realizza non è mia proprietà, ma è un dono che Dio fa alla sua Chiesa.  Siamo servi, tutti quanti, ed io mi sento oggi più che mai al servizio, collaboratore della vostra gioia.  Gesù l’ha ribadito nel Vangelo odierno: «Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore» (Gv 12,26).

 

Il brano del Vangelo di questa Quinta Domenica di Quaresima mi aiuta a definire con voi i contorni del tesoro inestimabile che il Signore ha messo in questo fragile vaso di creta.  Lo faccio usando tre parole: comunione, gloria, testimonianza.

 

  1. Comunione

L’ora della passione è ormai vicina, e Gesù decide di salire a Gerusalemme per celebrare la sua ultima Pasqua. L’evangelista annota che lì “tra quelli che erano saliti per il culto durante la festa c’erano anche alcuni Greci” (Gv 12,20), che desideravano vedere Gesù. Per questo si rivolgono a Filippo, il quale interpella Andrea e insieme si recano dal Maestro.  È bello contemplare i due discepoli che camminano insieme per presentare a Gesù i bisogni del popolo.

 

Pensiamo, cari sacerdoti, alle nostre attività, alla vita delle nostre comunità, alle scelte che compiamo giorno per giorno.  Quanta voglia abbiamo di metterci insieme per presentare al Signore i bisogni del santo Popolo di Dio?  Quanto mai significativo durante l’ordinazione episcopale è il rito dell’imposizione delle mani sul capo dell’ordinando: è un gesto apostolico. Ci si ritrova così all’interno di quell’abbraccio, di quel desiderio di unità di cui la Chiesa continua ad essere maestra.  Credo fermamente che la comunione sia il contributo più grande che la Chiesa può e deve dare alla pace nel mondo, in una società divisa da barriere sociali, politiche ed ideologiche, lacerata da armi che continuano ad uccidere.

 

Mettiamoci tutti quanti a servizio della comunione.  Se desideriamo davvero la pace, ognuno di noi dovrà imporsi di essere un appassionato costruttore di unità.  Nelle nostre famiglie, all’interno di questo nostro presbiterio, nelle nostre citta, ricordiamo quanto il Beato Giovanni Paolo I, da Patriarca di Venezia, era solito raccomandare ai confratelli Vescovi, quando si trattava di prendere qualche decisione e non c’era consenso tra di loro: “Accontentiamoci di fare un passo più corto, ma facciamolo tutti insieme”.

 

  1. Gloria

Giovanni racconta nel Vangelo odierno: “Venne allora una voce dal cielo: L’ho glorificato e lo glorificherò ancora!” (Gv 12,28). Quella “gloria” è la manifestazione di Dio, che ha il suo culmine nella croce. Lungi da una vuota esaltazione personale, sulla croce vediamo chi è davvero Dio: amore, solo amore!  All’epoca dei fatti riportati nei vangeli il popolo aspettava una rivelazione trionfale del Messia, invece Gesù si presenta come il seme che deve marcire e portare frutto. Come la potenza di vita nascosta nel seme è sottratta alla vista, così la fecondità della croce è scambiata ancora oggi per follia da chi non entra nella logica dell’amore.  Quando nel rito dell’ordinazione, durante il canto delle litanie, ero prostrato pensavo a quanto è consolante il contatto con l’humus, con la terra.  Si sente tutto il calore che permette poi al seme di generare le radici più tenere e iniziare un percorso di maturazione.  In questa terra, in questo mondo è stata conficcata la croce di Cristo. Questa terra, questo nostro mondo, la nostra storia sono preziosi perché fecondati dal sangue di Cristo.

 

Ricordiamo questa verità dinnanzi alle scelte che siamo chiamati a prendere, perché siano ispirate all’amore, impegnandoci a coniugare prudenza e audacia, concentrandoci non sui risultati che fanno peccare di efficientismo, quanto sulle premesse, facendo il primo passo, dissodando il terreno, creando un clima favorevole all’accoglienza e al dialogo, accompagnando, consolando, infondendo speranza.  Creiamo strutture idonee perché i nostri giovani crescano nella responsabilità e i nostri ragazzi sprigionino creatività.  Il resto dobbiamo attenderlo dalla benedizione del Cielo, con pazienza operosa, orante e attenta.

 

  1. Testimonianza

Nel Vangelo abbiamo ascoltato: “Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto” (Gv 12, 24).  In ebraico bar è il “chicco di grano” ma è anche il “figlio”. Dunque il chicco di grano, ma anche il Figlio con la sua morte porterà molto frutto.  Occorre fare attenzione: il centro della frase non è il morire, ma il “molto frutto”. Il centro è la fecondità, non il sacrificio. Come un chicco di grano, Gesù è caduto in terra nella sua passione e morte, ma poi ha portato frutto con la sua risurrezione. Il “molto frutto” che egli ha portato è la Chiesa.  Tutti noi nasciamo da quel chicco di frumento. Tutta l’umanità, nasce, prende vita, risorge da quel chicco di frumento.  Badate bene: tutta l’umanità.  Non solo noi battezzati, perché egli è morto per tutti. Il brano del Vangelo, infatti, si conclude con queste significative parole di Gesù: «Io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me».  Sentiamoci accolti tutti quanti da quell’abbraccio risanatore e vivificante di Cristo.

 

Gesù ha messo nel nostro DNA un gene pasquale: “Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna”.  Solo se è spesa per qualcosa di grande la nostra vita assume un senso, avrà il sapore dell’eternità.  Cari giovani, mi rivolgo soprattutto a voi: abbiate il coraggio di credere nella Risurrezione, di avere fiducia nella potenza della vita rinnovata da Cristo, che libera, dona pace e crea comunione e fratellanza.  È consolante pensare al Vescovo successore degli Apostoli, testimone della risurrezione.  Papa Francesco ama chiamare i Vescovi “martiri del Risorto”, perché con la loro vita e il loro ministero sono chiamati a rendere credibile la risurrezione (Alla Congregazione per i Vescovi, 27 febbraio 2014).

 

Personalmente ho incontrato il Risorto nei volti, nei cuori, nelle storie di tutti quanti voi.  Ho fatto esperienza di Cristo risorto nei sorrisi dei giovani, nelle speranze degli ammalati, nelle storie delle famiglie delle nostre comunità.  È un’esperienza dalla quale scaturisce una luce, un calore, una gioia che colpiscono e attraggono.  Pertanto non posso tenerla chiusa nel cuore, devo comunicarla al mondo.  Grazie a tutti voi, per avermi fatto conoscere Cristo Risorto!

 

Questa è la nostra vocazione: essere testimoni della risurrezione, prima di tutto attraverso la gioia che traspare dalle nostre vite.  Oggi sono necessari non solo cristiani “buoni”, ma cristiani “felici”, perché solo un cristiano felice può evangelizzare senza smentire il Vangelo.

 

In questo itinerario verso la Risurrezione ci accompagna Maria Santissima, che nella nostra Diocesi ha titoli bellissimi: Madonna dei Martiri, Madonna delle Grazie, Madonna di Corsignano, Madonna di Sovereto.  Anche noi, come don Tonino, vogliamo lasciarci avvolgere dallo sguardo materno di queste icone della Vergine Santa, così che la Madre vegli su tutti noi, soprattutto nel momento nella prova e della tristezza.  Maria accompagni e benedica con il suo amore materno e la sua femminile tenerezza ognuno di voi, le vostre famiglie e le persone che vi sono care.

 

Così sia!