Omelia per la festa di San Corrado

Cattedrale, 9 febbraio 2017
09-02-2017

Carissimi sacerdoti, religiosi/e, diaconi, consacrati secolari, Signor Commissario Prefettizio, autorità civili e militari, comitato Feste Patronali, fratelli e sorelle, con gioia particolare celebriamo insieme, per la prima volta, la festa liturgica di San Corrado, nostro Patrono. Auguri a tutti coloro che portano il nome di Corrado e auguri all’intera Città di Molfetta.
San Corrado, eremita del XII secolo, mosso dal profondo desiderio di mettersi alla sequela di Cristo, lasciò cadere nel vuoto la pressione della famiglia che voleva orientarlo alla carriera ecclesiastica. Egli abbracciò la spiritualità cistercense ed eremitica, preferendola agli onori terreni.
Aveva nell’animo il desiderio di recarsi, insieme ad altri suoi amici, nella terra di Gesù, ma dovette fermarsi nei pressi di Bari, a Modugno, alla Grottella, dove santamente chiuse la sua vita terrena.
I fedeli e i devoti molfettesi, probabilmente all’inizio del XIV secolo, portarono a Molfetta le spoglie mortali del venerato eremita, per poi collocarle definitivamente nella nuova Cattedrale il 10 luglio del 1785.
Il desiderio che spinse Corrado a voltare le spalle alle lusinghe mondane esprime, in sostanza, il medesimo impeto interiore da cui fu attirato il re Salomone, il quale, proprio perché non ambiva a raggiungere onori e gloria terrena, ricevette dal Signore l’incommensurabile ricchezza della sapienza e del discernimento (Cf 1Re 3,11-14).
Lasciamoci interrogare da questi splendili ed eloquenti esempi!
L’autentica venerazione dei santi consiste più che nell’invocazione, nella loro imitazione. Dev’essere spontaneo, quasi un bisogno per noi, ricalcare le orme di San Corrado, che preferì l’invito del Signore alle lusinghe delle vanità e dei beni terreni. Con le realtà mondane dobbiamo avere un rapporto equidistante, sereno e non di sottomissione. Tutto è bello e buono, a volte però è inquinato l’approccio che abbiamo con esso.
I Santi, con la loro testimonianza e con la loro fedeltà a Cristo Signore, squarciano il cielo e ci fanno intravedere quella beatitudine che vedremo nella sua pienezza nell’Eternità. Sapientemente San Benedetto, nella sua Regola, esortava i suoi monaci a non anteporre mai nulla all’amore per il Signore.
La santità della vita non è disprezzo delle cose terrene, ma il loro sapienziale uso. Dobbiamo sì adoperare le cose della terra, ma non diventarne schiavi. Non deve meravigliarci più di tanto la domanda che Pietro pose al suo Maestro: «Cosa avremo in cambio, noi che abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito?» (Cf Mt 17, 27-29). Non è forse vero che anche noi ci facciamo prendere dal medesimo timore del discepolo? Santa Teresa d’Avila diceva alle sue monache: «Quando volete sapere se una cosa che state facendo vale la pena, chiedetevi: quanto mi costa in termini di sacrificio e di dolore?». Se vivremo la sequela di Gesù con gioia e radicalità, riceveremo il centuplo di ciò che avremo lasciato. Tuttavia, dobbiamo sapere che tale ricompensa non è da intendersi in senso automatico e fatalistico.
Salvare la nostra anima, la nostra vita, non è come salvare un documento al computer. Salvare la propria esistenza, terrena e soprannaturale, richiede impegno continuo, estenuanti rinunce e disponibilità ad anteporre il Signore a tutto, ogni giorno della nostra vita.
I Santi parlano da sé! Il loro stile di vita e le loro scelte ci fanno pensare immediatamente che hanno i piedi per terra, ma il loro cuore, la loro mente, sono costantemente rivolti al Cielo.
Il nostro Santo Patrono ci incoraggi e ci sproni a vivere, qui ed ora, una dimensione sempre più ascetica della vita. Ascesi vuol dire che per andare in alto, nel bene e nelle buone opere, bisogna esercitarsi.
Con fiducia, cerchiamo in terra il Signore, che tutti speriamo di vedere e di godere nella vita senza fine. Sforziamoci di essere testimoni credibili di speranza, ispirandoci alla difesa dei valori della vita, della famiglia, della libertà. Viviamo una vera riconciliazione tra noi! Non desistiamo dal garantire e dal difendere la dignità ai più deboli, dal promuovere passione civile e partecipazione responsabile nel servizio leale delle istituzioni. San Corrado lasciò il mondo per l’eremo; forse noi oggi dovremmo lasciare l’eremo per il mondo! Anzi: è nel mondo che noi dobbiamo crearci l’eremo, quel luogo e quello stile di vita che ci metta direttamente alla presenza di Dio. Il vero cristiano mentre parla di Dio al popolo, deve imparare a parlare a Dio del popolo. Questa è la Chiesa conciliare, la Chiesa in uscita, direbbe Papa Francesco. Il dove della Chiesa è il dove del mondo. Il fedele non è avulso dal contesto sociale e temporale in cui vive. Egli, però, deve saper stare nel mondo come il sale e il fermento nella massa; deve far sentire la sua presenza, con discrezione ed umiltà, non cedendo all’apparente coreografia! Cerchiamo di vivere la nostra fede in modo autentico ed efficace, accanto all’umanità ferita, in comunione reciproca e nella gratuità.
La Chiesa non vuole riservarsi particolari spazi di potere, bensì è pronta a condividere impegni comuni, per alleviare sofferenze, sanare conflitti, difendere i deboli, oggi in crescente numero.
Nella sua missione di madre e maestra, la Chiesa mette a servizio del bene comune tutte le sue risorse di spiritualità, di trascendenza e di umanità. Insieme, comunità ecclesiale e comunità civile, possiamo e dobbiamo trasmettere alle generazioni di domani, secondo l’insegnamento del Concilio e dei Sommi Pontefici, ragioni di vita e di speranza (GS, 31).
Carissime sorelle e fratelli, illustri autorità civili e militari, rinnovo l’invito della mia Lettera Pastorale a fare della nostra comunità una vera famiglia, in cui regni la comunione, la solidarietà ed una grande sensibilità per chi è più nel bisogno. Esorto tutti e ciascuno, con tutto il mio cuore, a guardare il cielo per amare la terra. I veri santi mai si sono lasciati attrarre dal cielo, a scapito della missione terrena. Quanto più vogliamo stare in piedi, dobbiamo saper stare in ginocchio.
Insieme, troviamo nuove forze per suscitare fiducia e speranza, nutriamo grandi ideali per creare futuro, promuoviamo la cultura del dialogo e dell’intelligenza per rendere la nostra città più vivibile, più accogliente, più bella!

Vinciamo la rassegnazione e facciamo ricorso alle nostre migliori risorse di mente e di cuore! Con una collaborazione disinteressata e generosa potremo rendere la città più sicura, pulita, attenta nella cura delle nuove povertà e fedele alla sua tradizione di comunità ospitale.
Possa la memoria del patrono San Corrado illuminare le nostre menti e scaldare il nostro cuore per fare della nostra città una casa comune, ordinata, amministrata con giustizia e curata con amore. San Corrado non è fuggito dal mondo, ma nella solitudine della preghiera e della contemplazione ha trovato l’energia necessaria per bonificare il mondo dal di dentro e renderlo vero riflesso dello splendore del Dio Creatore. Così sia! Auguri!

+ don Mimmo Cornacchia, Vescovo