Omelia per la festa di San Biagio

Ruvo, Concattedrale, 3 febbraio 2017
03-02-2017

Carissimi sacerdoti, religiosi/e, diaconi, consacrati secolari, autorità civili e militari, confraternite, fedeli tutti, auguri per la festa di San Biagio, vescovo, martire e patrono della nostra Città di Ruvo. Con vera commozione vivo con voi tutti, per la prima volta, la Festa del Santo Patrono. All’intera comunità ruvese, esprimo l’augurio di vivere un anno all’insegna della serenità, della pace e della prosperità. Un cordiale saluto a tutti i nostri fratelli e sorelle sparsi nel mondo.

Viviamo intensamente le nostre feste popolari e devozionali, con l’unico scopo di raggiungere la stazione finale, non quella intermedia. Ovvero, l’obiettivo dev’essere quello di configurare sempre più la nostra vita a Cristo, Figlio di Dio e unico Salvato- re. Anche i Santi sono e debbono essere un mezzo eccellente di perfezione cristiana. Essi ci indicano che Cristo è il vertice della vita cristiana; il resto è solo coreografia. Oggi, più che mai, il mondo ha bisogno di messaggi essenziali e di testimoni-martiri fino in fondo!
Richiamo brevemente alcuni tratti, per quello che si sa, della vita di san Biagio: egli, vissuto nel IV secolo, era un medico di origine armena. Divenne vescovo della città di Sebaste dove operò numerosi miracoli. Arrestato dal preside Agricolao durante la persecuzione ordinata da Licinio, fu imprigionato, lungamente picchiato e sospeso ad un legno, dove con pettini di ferro gli fu scorticata la pelle e quindi lacerate le carni. Dopo un nuovo periodo di prigionia, fu gettato in un lago, dal quale uscì salvo. Quindi per ordine dello stesso giudice, subì il martirio decapitato insieme con due fanciulli, dopo l’uccisione di sette donne arrestate perché raccoglievano le gocce di sangue che scorrevano dal corpo dello stesso martire, durante il suo supplizio. San Biagio è invocato contro i mali di gola, perché durante la sua prigionia guarì miracolosamente un ragazzo che aveva una lisca di pesce conficcata nella trachea.
La parola di Dio appena ascoltata ci offre preziosi spunti per la nostra riflessione personale e comunitaria.
Il bene non ha bisogno di propaganda.
La forza persuasiva della testimonianza.
La vita del cristiano dev’essere un riflesso di quella del suo Maestro Gesù, il quale fu profeta potente in opere e in parole. Di lui si è detto che visse sanando e beneficando tutti (Cf At 24). L’autentico seguace di Cristo è colui che vive sulla terra come forestiero, con lo sguardo fisso verso la patria eterna del cielo. Il santo anticipa, qui ed ora, la vera beatitudine senza fine del Paradiso.
Anche noi ci porteremo dietro solo le opere buone che avremo fatto. Saranno esse a farci strada e ci serviranno come credenziali di riconoscimento dinanzi al Signore. San Biagio, come i tanti martiri non solo dell’antichità, ma anche dei tempi assai vicini a noi, ha scritto in modo indelebile, con il suo sangue, da quale parte si è schierato. Egli, incurante della sua esistenza, mai ha barattato la sua fede con la promessa di onori terreni e passeggeri.
Il vento spegne i piccoli fuochi, ma ravviva i grandi.
Ogni prova, sopportata con fiducia nel Signore, rafforza la fede. I Santi, i martiri, non sono nati perfetti, ma lo sono diventati grazie ad un continuo allenamento nel superare le difficoltà. “Ho cercato il Signore e mi ha risposto e da ogni timore mi ha liberato”, abbiamo pregato con il salmista. (Sal 33).
San Biagio, come tanti altri Santi, avrebbe potuto preferire la vita terrena, qualche vantaggio di poco conto, ma ora sarebbe stato dimenticato per sempre. Invece, grazie alla sua fede, alla forza che riceveva dalla sua comunità, è andato fiducioso incontro al martirio, non da spavaldo. Di lui magari non abbiamo precisi dati anagrafici, ma vivo ed indelebile è il ricordo della sua testimonianza!
“Chi avrà perduto la sua vita per causa mia, la troverà”, ripete ancora oggi il Signore Gesù (Lc 9, 24). “Perdere” non è sinonimo di sciupare, di smarrire o di rendere vano, bensì di “offrire, di dare in dono” gratuito e gioioso la propria vita, cioè le proprie energie, la propria intelligenza a qualcuno più bisognoso!
I giusti, i santi, proprio perché “sono un tutt’uno con il fuoco divorante della fornace del cuore di Cristo, che brucia senza consumarsi, risplenderanno come scintille nella stoppia” (Cf Sap 3, 1-9).
Dai nostri santi, veri modelli di vita e di fede, impariamo ad essere generosi di noi stessi; a non temere coloro che possono nuocere al corpo, ma non allo spirito. Pieghiamoci solo davanti a Dio, non agli uomini! Viviamo in modo da essere ricordati, non biasimati o dimenticati!
La festa liturgica odierna ci avvicini di più a Dio e ai fratelli! Se uscendo dalla chiesa continueremo ad ignorarci, a girare la testa dall’altra parte incrociando una persona che ci ha fatto un torto, non serve a nulla; anche il Signore farà lo stesso con noi! Celebrare la festa patronale, oggi, deve spingere ciascuno di noi verso una fede bella, pulita, adulta e ricca di frutti di opere buone. Papa Francesco ci direbbe oggi:
«Mi attendo che non teniate vive le “utopie”, ma che sappiate creare “altri luoghi”, dove si viva la logica evangelica del dono, della fraternità, dell’accoglienza della diversità, dell’amore reciproco» (Francesco, Lettera Apostolica a tutti i consacrati in occasione dell’Anno della Vita Consacrata 2014-15, II, 2). Questo significa che noi dobbiamo tracciare sentieri di vita nuova, senza attendere che inizino gli altri!

Svegliamo il mondo (ci esorta Papa Francesco) con la forza profetica delle nostre scelte radicali, vegliando nel buio della notte, indicando le luci dell’aurora del nuovo giorno che sorge (Cf Is 21, 11-12).
Auguri e così sia!

+ don Mimmo Cornacchia, Vescovo