Omelia per la Santa Messa Crismale

Cattedrale, 12 aprile 2017
12-04-2017

Chiamati ad essere “Tovaglie da Altare”

   Carissima Ecc.za Mons. Felice di Molfetta, carissimi sacerdoti, diaconi, religiose e religiosi, consacrati laici, seminaristi, fratelli e sorelle, con la Messa Crismale, celebriamo quest’oggi una vera epifania della Chiesa con cui prendiamo maggiore consapevolezza di essere membra del Corpo di Cristo, organicamente strutturato nei vari ministeri e carismi.
Come non mai siamo tutti riuniti intorno all’altare: vescovo, presbiteri, diaconi e fedeli battezzati. In questa solenne Liturgia, il Vangelo di Luca ci presenta Gesù che nella Sinagoga di Nazaret apre e legge la parola di Dio: “Oggi si è adempiuta questa Scrittura” (Is 61, 1-3), mentre “gli occhi di tutti sono fissi su di Lui” (Cf Lc 4, 20).
La parola che Gesù ha letto dinanzi a tutti è esattamente il suo programma missionario: la sua predilezione per i poveri, i prigionieri, i ciechi, gli oppressi! La sua non è preferenza, ma predilezione, e quanto Gesù ha iniziato, oggi tocca alla sua Chiesa portarlo a compimento!

Carissimi presbiteri, non saremo mai abbastanza consapevoli della dignità alla quale il Signore ci ha chiamati. Noi siamo “vasi di creta” (2Cor 4, 7) in cui tuttavia c’è e passa il deposito della grazia di Dio.
San Leopoldo Mandic ad un suo penitente diceva: «Ringraziamo il Signore e domandiamogli perdono, perché si è degnato di permettere che la nostra miseria venisse a contatto con i suoi tesori di grazia».
Il Signore ci ha chiamati per una missione grande, che possiamo riassumere in tre verbi: evangelizzare, liberare e illuminare! Questa sfida riguarda tutti i credenti, soprattutto noi sacerdoti e ministri consacrati.

Evangelizzare è portare la notizia buona a tutti ed ovunque! Sarà la prima raccomandazione che il Risorto farà ai suoi Discepoli: “Andate in tutto il mondo e predicate il mio Vangelo” (Mc 16, 11).
Paolo ai Corinti dice di volersi fare tutto a tutti pur di guadagnare qualcuno al Vangelo (Cf 1Cor 9, 19)! Dobbiamo farci divorare dallo zelo dell’annuncio! Papa Francesco ai giovani del Collegio Spagnolo di Roma ha detto recentemente: «Il prete non deve accontentarsi di condurre una vita ordinata e comoda che permette di vivere senza preoccupazioni» (1° aprile 2017). Il sacerdote, quindi, è chiamato a vivere delle sfide, a camminare controcorrente, a lasciare impronte indelebili dovunque passi!
La carità pastorale (= amoris officium) ci deve spingere ad andare incontro all’altro, capendolo, perdonandolo, accettandolo come farebbe Gesù! Quanti oppressi, delusi dalla vita, dalle istituzioni, dalle autorità, dai genitori ed educatori, vi sono nel mondo e forse in casa nostra! Si dice che San Leopoldo Mandic fece del confessionale la sua cella. Noi dovremmo dire che, del nostro posto di lavoro, del nostro ministero, dovremmo fare il pulpito da cui parlare e predicare.
Non dobbiamo aver paura di farci espropriare dal prossimo che è nel bisogno.
È il Signore che bussa alla nostra porta!

Siamo chiamati, anche noi, a liberare, a sciogliere le catene, i nodi degli oppressi, di coloro che sono condizionati più dai vicini che dai lontani, più dai conoscenti che dagli estranei, più dal proprio io che dal prossimo.
Come ha fatto il Signore, dobbiamo prenderci cura del bisognoso, come fosse nostro figlio e fratello. Curare è molto più che guarire. Vi sono mali inguaribili che richiedono, comunque, tanta cura e passione. Molte volte, la cura – terapia migliore è l’amore, la pazienza, la solidarietà, la collaborazione, il silenzio stesso! Se non possiamo dare una medicina che guarisca, diamo almeno un poco di sollievo, di consolazione e di comprensione! Soprattutto dobbiamo donare del nostro tempo, da sottrarre non ai doveri, ma al riposo e agli hobbies.

La Chiesa, come comunità di battezzati e di ordinati, è chiamata ad una specialissima missione: essere luce del mondo (Mt 5, 14). Il tema della luce è quanto mai pasquale: è la vittoria della vita e dell’amore! Per risplendere bisogna avere olio nelle lampade, ma anche una buona dose di riserva, per essere sempre allerta, pronti a saltare e ad andare incontro al Signore che viene (Cf Mt 25, 1-13).
Quando incontriamo una situazione difficile, un groviglio di sentimenti nel cuore di un genitore, di un giovane, o le braccia incrociate di chi ha perso la speranza, dovremmo poter dire: oggi la salvezza viene in questa casa; oggi si compie e si attua la parola che ho pronunciato! Come nella notte di Pasqua, la luce si diffonde dal Cero pasquale fino all’ultima candelina; così dal nostro intimo, deve spandersi la Luce che accarezza e riscalda il cuore impietrito di molti!
Tra poco saranno benedetti gli Oli dei Catecumeni, degli Infermi e del Crisma. L’olio esprime dolcezza, vita, luce, sapore, agilità. Pertanto, chi riceve l’unzione, deve poter avere ed esercitare tali proprietà.
Il Profeta Isaia ha detto: “Voi sarete chiamati sacerdoti del Signore, ministri del nostro Dio sarete detti” (Is 61,6). “Ministro (= minus) è colui che amministra, che si fa minus (= minimo), piccolo, umile, pur di far felice qualcuno. Al Convegno pastorale diocesano sul tema della famiglia, lo scorso settembre, dicevamo che il problema vero non sono le tenebre, ma l’insufficiente luce delle persone buone ed autentiche! Il Signore ci ha collocati sul candelabro per far luce a tutti coloro che sono intorno! La luce non va nascosta o messa sotto la campana, bensì deve esporsi anche al vento contrario per ravvivarsi ancor più!

Chiamati ad essere testimoni e costruttori di comunione
Carissimi sacerdoti, qui, dinanzi al popolo a cui siamo destinati come servi e maestri, manifestiamo la nostra volontà di ricominciare con entusiasmo, con coerenza, con abnegazione e soprattutto in letizia e comunione, il nostro ministero che ci rende configurati a Cristo. Le legittime personali visioni non degenerino mai in divisioni! Il Vescovo, in quanto segno visibile dell’unità della Chiesa particolare, ha il compito di versare sul Corpo ecclesiale l’olio della comunione, lubrificando tutte le membra e le varie giunture. Facciamoci abitare dallo Spirito, che fa l’unità delle differenze, non nell’uniformità, ma nell’armonia. Rinnoviamo con gioia ed entusiasmo le nostre promesse sacerdotali, la nostra volontà di essere sacrificio gradito a Dio
Padre Onnipotente e alla Chiesa tutta!
Mons. Tonino Bello osava chiedere al Signore di trasformarci “da stracci da cucina a tovaglie d’altare”! Cari fedeli, pregate per i nostri sacerdoti, affinché non avvenga mai il processo inverso, che da tovaglie d’altare, diventino luridi stracci da bottega!
Miei cari sacerdoti, vi ringrazio infinitamente per la vostra qualificata, instancabile ed intelligente cooperazione pastorale. Viviamo in modo che i nostri fedeli siano fieri di noi!

Contagiamoli col profumo della nostra santità di vita; sentiamoli come dono di Dio, non come un peso! I pastori devono profumare di pecore, ma anche le pecore devono profumare di pastore! Il profumo è sempre piacevole ed attraente! Faccia- mo dell’obbedienza alla Chiesa e al Vescovo, il campo di prova dell’obbedienza a Cristo. La difficoltà sorge, diceva sant’Ignazio di Loyola, quando si guarda “a chi” si fa obbedienza, piuttosto che “per chi”!
Vigiliamo sulla nostra fraternità pastorale e sulla nostra fraternità ministeriale. Miei cari, io vi chiedo sincero perdono se a volte non sono stato di sufficiente edificazione. Anche noialtri però, facciamo girare la moneta del perdono e della riconciliazione!
“Dove l’amore è più grande, lì la fatica è minore”, dice Sant’Agostino (Di- scorso 340, 2). L’umiltà annienta ogni nemico ed è la prima garanzia di santità. Diceva San Gregorio Magno: “Che cosa c’è di più sublime dell’umiltà?” (Regola pastorale, III, 7, 2).
Mi piace concludere lasciandoci interrogare, prima della benedizione degli Oli, dallo stesso padre della Chiesa (San Gregorio Magno), il quale traccia il profilo del pastore come uno che “riceve vita, quando la dona”, e al quale vorrei somigliassimo noi tutti:

“Sia puro nel pensiero, esemplare nell’azione, discreto nel suo silenzio, utile con la sua parola. Sia vicino ad ogni persona con la sua consolazione e sia, più di tutti gli altri, dedito alla contemplazione. Sia umile alleato di chi fa il bene, ma per il suo zelo a favore della giustizia sia inflessibile contro i vizi dei peccatori. Non attenui la cura della vita interiore nelle occupazioni esterne e non tralasci di provvedere alle necessità esteriori per la sollecitudine del bene interiore” (Regola pastorale, II, 1).

Questa bella esortazione ci introduca a vivere, in spirito e verità, l’atto di ab- bandono alla volontà di Dio che stiamo per rinnovare, coniugando insieme parole e gesti!
Presentiamo all’altare una speciale preghiera per i nostri sacerdoti defunti: don Luca Murolo; don Giuseppe Tambone, don Tommaso Tridente e don Franco Sasso. Facciamo gli auguri più belli di santità e di vita a don Nunzio Palmiotti per i suoi 60 anni di sacerdozio, a don Giuseppe Pischetti per i suoi 25 anni di sacerdozio; e a Mario d’Elia e Felice Marinelli per il loro venticinquesimo di diaconato.
Pregate, carissimi, per noi sacerdoti, perché il ministero ordinato non dipende dalle nostre qualità, pur necessarie, e neppure dalla nostra inguaribile indegnità: dipende unicamente dal Sacerdozio di Cristo, come da una sorgente, ed è posto sotto la singolare protezione di Maria.
Gesù morente, prima di affidare Maria a Giovanni, si preoccupa di consegnare Giovanni a Maria (Cf 19, 26-27).

Il suo ultimo pensiero è rivolto anzitutto al “discepolo che Egli amava”, il quale rappresenta non solo l’umanità intera, ma tutti coloro che nei secoli, con l’imposizione delle mani, saranno costituiti pastori e ministri di amore e di misericordia!
Così sia!

+ don Mimmo Cornacchia, Vescovo