Omelia per la Santa Messa della Cena del Signore

Cattedrale, 13 aprile 2017
13-04-2017

Carissimi fratelli e sorelle nel Signore! Sono, questi, i giorni più belli e più grandi dell’anno liturgico. I giorni in cui le parole di Giovanni – “Avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine” – si fanno realtà. Nell’ultima Cena, nell’intimità del Cenacolo, il Maestro consuma con gli Apostoli il rito della Pasqua ebraica e compie, inatteso e sconvolgente, il gesto di lavare i piedi ai suoi discepoli. Compie cioè, un gesto che era proprio dei servi e degli schiavi!
Ciò che Gesù compie, cogliendo tutti di sorpresa e causando nell’animo di Pietro un sussulto quasi di scandalo, è innanzitutto un atto di ammirevole umiltà con il quale il Maestro insegna ad essere umili, senza manie di rivalità e di grandezza, come era già accaduto.
Basta ricordare la discussione tra Giacomo e Giovanni su chi fosse il più grande nel gruppo dei discepoli. L’orgoglio della loro madre faceva da garanzia e da supporto: “Maestro, di’ che questi miei figli siedano uno alla tua destra e uno alla tua sinistra nel tuo Regno” (Mt 20,21). Siamo tutti esposti a questa tentazione! La lavanda dei piedi però, non è solo un gesto di umiltà: essa è la chiave di lettura di quanto sta per accadere.
L’istituzione della Santissima Eucaristia e del Sacerdozio, l’agonia nell’orto degli ulivi, il consegnarsi nelle mani dei persecutori, la crudele passione, lo strazio del Calvario fino alla morte di croce!
Tutto è da leggersi come un grande atto di servizio all’umanità, un mettersi in ginocchio davanti agli uomini e lavare i loro peccati.
L’acqua di quel catino è figura del sangue sparso sulla croce, il sangue di Dio che continua a lavare i piedi dell’umanità. Quell’acqua richiama ancora il Battesimo e la grazia del perdono sacramentale (la Confessione).
La cultura che si respira intorno, usa un criterio decisamente diverso. Non dobbiamo però dimenticare la vita umile di tanti, dei più, diremmo, che nel nascondimento spendono la vita a servizio dei fratelli: in famiglia, tra i malati, i deboli, i piccoli e quanti sembrano commensali al tavolo dell’opulenza e dell’abbondanza.
Quanta dedizione, quanto sacrificio, quanto umile eroismo di molti che non si ritengono eroi! A questa moltitudine di uomini e donne, sacerdoti, consacrati e laici, che non vivono sulle prime pagine dei rotocalchi, va la nostra ammirazione e gratitudine: Dio vede e tutto è scritto nel libro della vita.
Tuttavia, il clima in cui viviamo, superficiale, appariscente e roboante, a volte sembra avere il sopravvento! Esso vuol farci credere che la vita è godimento a qualunque costo; che il mondo è dei furbi e dei forti; che il sacrificio e la fatica sono mali da evitare, anzi da bandire perché incompatibili con la gioia. Proclama che bisogna spendersi solo per le proprie visioni particolari; che la fedeltà agli affetti e ai doveri quotidiani è ingenua rinuncia alle avventure che la vita offre. Predica che non esistono valori buoni e vincolanti per tutti, ma che ognuno si fa i suoi.
Ma – ci chiediamo – dove porta questo modo di vedere le cose? Rende vera- mente felici? L’esperienza dice di no: la cultura diffusa fa sentire banale e noiosa l’esistenza. La violenza e il dispregio della vita umana, infatti, specialmente quando è debole e non efficiente, non testimoniano forse il vuoto e la noia?
Non sono forse il segno di visione negativa della vita, che uccide l’anima ed è capace di qualsiasi errore? Una visione pessimistica spinge i giovani specialmente, a subire la vita!
E allora? Allora guardiamo Cristo, Dio fatto uomo, nel suo porsi in ginocchio davanti all’uomo! Egli ci fa vedere che l’amore è la vita che si dona a prezzo di se stessa.
È questo il mistero della divina Eucaristia, è questo il mistero del Sacerdozio: “Fate questo in memoria di me!”.
Cari fratelli e sorelle, aiutateci ad essere santi sacerdoti! Aiutateci con la vostra preghiera, con la vostra fiducia e quell’affetto che sento essere vivo nelle nostre comunità!
Le esigenze della santità sono il nostro dovere! Un dovere che abbiamo verso di noi e verso di voi perché, se saremo pastori santi serviremo meglio la Chiesa, e saremo noi stessi veramente felici. I limiti umani sono anche nostri! Vi chiedo di andare oltre le nostre insufficienze e i nostri peccati! “Nostro Signore non ci ha scelti perché siamo i migliori, ma perché lo diventiamo” (S. Agostino).
Aiutateci col vostro esempio, affinché sappiamo almeno alternare stola e grembiule, come diceva l’amato vescovo don Tonino.
Aiutateci affinché, lavando i piedi, cioè versando acqua zampillante sui piedi del prossimo bisognoso, emarginato e disperato, sappiamo toccare ed iniettare dolcezza e fiducia, nel cuore inaridito.
Così sia!

+ don Mimmo Cornacchia, Vescovo