Omelia per la Liturgia del Venerdì Santo

Cattedrale, 14 Aprile 2017
14-04-2017

Carissimi fratelli e sorelle, abbiamo seguito il Signore, in questi giorni, nel suo cammino verso il calvario. Mentre saliamo verso il monte della croce, ci fanno compagnia uomini e donne di ogni nazione, popolo, lingua.
Sono i sofferenti di questo mondo, i crocifissi, quelli che nessuno ha accompagnato, nessuno ha voluto, nessuno ha amato. Sono come quei due ladri che erano appesi alla croce con il Signore. Vogliamo vedere e sentire i gemiti di quelle donne e di quegli uomini colpiti dal terremoto poche settimane fa, dalla guerra, dalle calamità naturali e, soprattutto, da quelle causate dalla mano dell’uomo!
Guardando Gesù che viene condotto verso il Golgota, come un agnello innocente e indifeso, almeno per alcuni minuti, smettiamola di guardare noi stessi e di considerarci più sofferenti e vittime di ogni altro.
Quel sofferente, dice il profeta, “non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi, non splendore per poterci piacere. Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori, che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia: era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima” (Is 53,2-3).
Guardare al crocifisso, collocato al centro di ogni nostra chiesa, è diventato talvolta un’abitudine. Eppure lì si trova il cuore della fede cristiana e della nostra vita. Non c’è luogo sacro dove non ci sia il crocifisso. Ogni atto liturgico inizia con il segno della croce, con cui si proclama la Trinità, perché nella croce del Cristo si manifesta la volontà di amore del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Non ha l’apparenza e la bellezza per attirare il nostro sguardo, eppure Gesù dice: “Quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me” (Gv 12,32).
La croce attira il nostro sguardo, perché non è qualcosa che normalmente si vorrebbe vedere, tanto meno esperimentare.
Davanti a uno che soffre, si fugge, non si sa cosa fare, che dire. Il dolore mette paura!
Per questo i vecchi molte volte sono lasciati soli, i poveri disprezzati, i deboli considerati inutili e abbandonati.
Gesù in croce ci costringe in un certo senso a non fuggire! Per questo siamo qui. Per questo egli attira i nostri sguardi: noi fissiamo i nostri occhi in lui, per una volta non ce ne andiamo, lo vediamo sofferente in modo del tutto ingiusto, perché lui era l’unico giusto, l’unico davvero innocente.
Comprendiamo il suo amore, offerto a noi che non ne saremo mai degni ab- bastanza, per la nostra poca fede e per il nostro peccato!
Come Maria, la madre, e Giovanni, il discepolo che egli amava, siamo tornati qui questa sera davanti a lui. Il suo volto sofferente ci insegna la compassione, mitiga le durezze del nostro cuore, ci rende più consapevoli del dolore presente del mondo, ci avvicina ai tanti poveri e innocenti che soffrono e muoiono nell’indifferenza del mondo dei ricchi; ci fa più prossimi alle croci che la vita mette sulle spalle di tanti con il peso del giudizio, della condanna, di parole che feriscono, di violenze e rabbie senza motivo.
Cari amici, il male nel mondo è forte, e la morte ne è l’espressione più violenta e ingiusta. Talvolta ne siamo poco consapevoli.
Dovremmo essere più attenti alla forza del male, che penetra e agisce nella storia e nei cuori. Le croci piantate nel mondo sono numerose e noi ne conosciamo troppo poche, perché abituati a guardare noi stessi.
Oggi, guardando la croce di Gesù, i nostri occhi si aprono sulle croci del mondo e il suo corpo sofferente e morente ci distoglie da noi stessi per un po’ e ci aiuta a guardare oltre. Le sue ultime parole “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”, ci insegnano che nel dolore, l’unica vera forza che può penetrare persino la morte è la preghiera.
Sotto la croce, carissimi, gli uomini tentano di lacerare quell’unità per cui Gesù aveva vissuto. “I soldati, quando ebbero crocifisso Gesù, presero le sue vesti, ne fecero quattro parti – una per ciascun soldato – e la tunica”.
Solo la sua tunica non fu divisa! Era tutta d’un pezzo, come la sua Chiesa, come il suo amore e l’unità che egli voleva creare tra i suoi discepoli.
Aveva pregato poco prima, durante l’ultima cena con i suoi, perché fossero uniti: “Prego perché siano una cosa sola” (Gv 17). Sotto la croce si ricostituisce l’unità e la comunione tra uomini e donne divisi, che vogliono distinguersi dagli altri, che fanno fatica a trovare accordo, che sono abituati ad affermare se stessi e ad imporsi sugli altri, che poco sanno perdonare e amare. “Gesù, vedendo la Madre e accanto a sé il discepolo che egli amava, disse alla madre: Donna, ecco tuo figlio. Poi disse al discepolo: Ecco tua madre. E da quell’ora il discepolo l’accolse con sé”.
Sotto la croce nasce una nuova famiglia, la famiglia di Dio, unita dal suo amore per noi. Egli da una parte ci affida alla Chiesa, nostra madre, dall’altra chiede ad ognuno di noi di farsi carico di questa madre, di amarla, custodirla, proteggerla, prenderla con noi!
Cari fratelli e sorelle, non laceriamo quella tunica! Coltiviamo l’unità e la comunione in un mondo di gente divisa e contrapposta. Non rattristiamo con le divisioni, i rancori, le piccole inimicizie, con l’indifferenza, quella famiglia raccolta in silenzio sotto la croce.
Certo, tutto questo è strano e sconvolgente per il mondo ed anche per i discepoli, tanto che non seppero stare accanto a quel sofferente! Eppure proprio quel crocifisso è il re dell’universo, come egli stesso riconobbe davanti a Pilato. Un re che appare debole, impotente. La sua forza è l’amore gratuito. Non vince con la forza delle armi né con la prepotenza. Non si impone con la violenza. Al discepolo che ricorre alla spada in sua difesa, egli ordina di rimetterla nel fodero. La croce è la sua gloria, il segno di un uomo che non ha voluto salvare se stesso. La croce è la sua spada, il trofeo della vittoria! “Solo l’amore è forte come la morte”, leggiamo nel Cantico dei Cantici. L’amore di un crocifisso ha permesso a Dio di sconfiggere la morte.
Lasciamoci guidare dall’amore di Gesù. Rimaniamo assieme alle donne e al discepolo che Gesù amava sotto la croce, per imparare la compassione.
Il mondo ha bisogno di donne e uomini che non lasciano solo chi soffre, ha bisogno di persone miti e umili, che lottano contro il male con il bene e non con la violenza della spada.
Abbandoniamo tutte quelle armi che feriscono gli altri, fossero sentimenti, pensieri, parole, gesti. Oggi, dalla croce il Signore ci guarda con la tenerezza di un uomo dolente e ci chiede di stare con lui e di imitarlo, perché la vita sia migliore e il mondo più umano.
Non stacchiamo i nostri occhi da lui per poter vivere la gratuità dell’amore, con il quale Gesù custodisce e salva la nostra vita.

+ don Mimmo Cornacchia, Vescovo