Per la salute mentale

a cura di Antonio Rubino

Sono partite le procedure di finanziamento per permettere – entro maggio 2011 – l’apertura per 12 ore di almeno 2/3 dei Centri di salute mentale (Csm) pugliesi. L’obiettivo è quello di arrivare all’apertura 12 ore dei 48 Csm, più 60 sedi decentrate, entro il 2011, secondo quanto stabilito da una deliberazione di giunta regionale (n. 916 del 25 marzo). Il potenziamento dei Csm – si legge nella relazione – prevede, tra l’altro, l’incremento dell’assistenza domiciliare, dei servizi home maker e di sostegno alle famiglie; piani terapeutici individuali; centri diurni autogestiti; assistenza nelle carceri; incremento della prevenzione. Dallo scorso anno vengono stanziati 2,2 milioni all’anno per conseguire gli obiettivi. Soltanto 15 Csm sono aperti 12 ore al giorno. Il personale è il 44% rispetto al fabbisogno. La spesa per assistenza psichiatrica va per il 50% ai privati.

Alleggerire le strutture. “La deliberazione regionale ha messo in evidenza le grosse difficoltà dei servizi di assistenza psichiatrica”, esordisce Rosa Pinto, direttrice del Csm Bari Est e volontaria al Consultorio della diocesi di Bari-Bitonto. “Il manicomio ha fatto vedere come la malattia istituzionalizzata impoveriva gli utenti” e ha insegnato che “l’intervento presso strutture riabilitative doveva essere di breve durata” per “evitare che il paziente, allontanato dal territorio, potesse peggiorare”. Negli ultimi anni, invece, in Puglia “è stata incentivata l’istituzionalizzazione, perché i servizi psichiatrici territoriali, non avendo risorse e non potendo coprire almeno nelle 12 ore le richieste del territorio, si appoggiavano a strutture esterne del privato sociale”, facendole lievitare di numero e “favorendo lo scarico delle famiglie”; mentre “i servizi psichiatrici pubblici diventavano Centri di smistamento”. Oggi “la domanda di cura è indirizzata verso strutture di 24 ore private, senza turn over dei pazienti e con costi alti”. Con il provvedimento regionale “si vuole modificare questa tendenza”.

Integrazione col privato. Gli obiettivi da raggiungere sono, oltre alla copertura per 12 ore, “una maggiore qualità di interventi” e soprattutto “la collaborazione col privato sociale”, che è “una cultura da costruire”. “Se guardiamo – prosegue Pinto – solo al finanziamento per le 12 ore, i fondi destinati sembrano insufficienti”; se però “facciamo un lavoro d’integrazione con le strutture riabilitative private”, da un lato “si farà del bene ai pazienti”, dall’altro “si libereranno risorse”. Il personale delle strutture private destinate a chiudere “potrebbe essere utilizzato dal servizio pubblico”. Le ipotesi d’impiego dei lavoratori del privato sociale vanno dall’assistenza domiciliare, alla prevenzione, alla cura degli immigrati, alle case per la vita. Queste ultime sono costituite “da comunità di pazienti che vivono in appartamento e impostano una vita autonoma”. A Bari, a breve, aprirà la terza casa pugliese grazie ad “un progetto integrato fra Comune, Asl e privato sociale”. I tempi previsti di realizzazione degli obiettivi della deliberazione sono fattibili “se riusciremo ad avere le unità lavorative di cui abbiamo bisogno”.

Non lasciarli soli. “L’atto della giunta ha un obiettivo importante: tentare di coprire un servizio, dando una riorganizzazione nel tempo attraverso un crono-programma, cosa rara – quest’ultima – nelle delibere di giunta”, nota Filippo Anelli, segretario regionale dei medici di famiglia. Il punto di partenza è quello di “non lasciare sole queste persone, che non sono in grado di rappresentare i loro bisogni”. La situazione attuale è di “una mancanza di punti di riferimento per la psichiatria delle urgenze, figuriamoci per i pazienti che devono restare a casa”. L’idea di creare “una rete di riferimento mi sembra molto valida”, prosegue. Con la deliberazione si vuole “disegnare una mappa, che sul territorio oggi non c’è”. L’apertura per 12 ore “è la prima risposta, l’ideale sarebbero strutture di 24 ore”. L’alternativa poteva essere “la convenzione con il privato sociale, provocando però l’internamento dei pazienti”. Questo “alleggerisce le famiglie” ma “li sradica dal territorio”. Tra gli elementi positivi, il fatto che il provvedimento “non ha solo un taglio medico ma di tipo multi-professionale, inserendo educatori sociali nel sistema e prevedendo integrazioni coi piani di zona”. Oggi “l’attenzione verso queste persone è bassa poiché sono messi in case protette, così come prima erano messi in manicomio”. Il problema si risolve “seguendoli a casa con piani terapeutici”. Uno dei problemi è quello della “mancanza di psichiatri e infermieri”, quindi “il piano rischia di non reggere”. Anelli evidenzia un altro “grande problema, quello delle carceri: l’assistenza è stata trasferita dal ministero della Giustizia agli assessorati regionali, ed oggi è tamponato da ex medici convenzionati con le carceri che però si vanno esaurendo”. Secondo Anelli il privato sociale non verrà penalizzato dall’iniziativa “perché può integrarsi nei piani di zona e le case protette rimarranno”.

a cura di Antonio Rubino

(2 luglio 2010)