Attualità

Chiesa che apre realmente le porte

Il progetto APRI all'Immacolata di Giovinazzo

Da pochi giorni la parrocchia Immacolata di Giovinazzo ha aperto le porte a due signore Nigeriane, nell’ambito del progetto APRI della Caritas diocesana. E’ la seconda parrocchia, dopo il Cuore Immacolato di Maria (ma anche la Madonna della Pace, negli anni scorsi, ha vissuto un’esperienza analoga).
Al primo articolo informativo, segue qui l’intervista,a cura di Giovanni Capurso, al parroco don Gianni Fiorentino per comprendere la dinamica umanitaria e missionaria in cui la sua comunità parrocchiale si sta coinvolgendo.

Don Gianni, in cosa consiste il progetto APRI al quale la parrocchia Immacolata di Giovinazzo ha aderito con entusiasmo?

La parola APRI è una sigla che significa Accogliere, Promuovere, Proteggere Integrare: è la sintesi di questi verbi importanti, anche se inizialmente l’avevo intesa come un imperativo. Apri la porta della tua casa, della tua parrocchia, del tuo cuore. Ma in qualsiasi modo la leggiamo è un invito ad accogliere chi ha bisogno. Questo desiderio di accoglienza era presente nel nostro cuore, da tempo. Poi un bel giorno è successo che gli amici della Caritas diocesana, in maniera molto casuale, ci hanno chiesto se fossimo stati disponibili ad accogliere delle persone extracomunitarie che, appunto, rientravano in questo progetto della Caritas nazionale. E allora abbiamo pensato che fosse giunto il momento, come parrocchia, di accogliere, perché si parla tanto di “chiesa missionaria”. E cosa significa? Significa essere Chiesa in uscita che, concretamente, apre le porte e quindi si fa vicina a chi ha bisogno. E così abbiamo detto di sì.

Chi sono le signore accolte e da dove provengono?

La nostra Chiesa diocesana ha creato un gemellaggio con la Chiesa che è in Nigeria. Per cui le due donne che stiamo accogliendo da poche ore (perché sono passati pochi giorni da quando sono qui) sono nigeriane. Non dico niente di più per motivi di privacy, ma soprattutto per motivi di delicatezza: non abbiamo fatto grandi domande, non siamo entrati nei dettagli delle loro storie. Quando vorranno aprire il loro cuore noi saremo disponibili ad ascoltarle. Per il momento anche gli amici della Caritas ci stanno veramente chiedendo di essere delicati nei loro confronti. Stiamo cercando di dare loro un tetto, una casa in cui poter vivere in maniera dignitosa. Ora il progetto prevede che la parrocchia metta a loro disposizione delle famiglie tutor. Questo lo dico perché l’impegno di accogliere queste persone non nasce soltanto dal mio desiderio personale di parroco, ma è il frutto anche di una disponibilità più allargata. Quindi ciò è stato possibile perché alcune famiglie si sono rese disponibili a rendersi loro vicine e a fare questo cammino di accoglienza.

C’è stata dunque una risposta positiva della comunità parrocchiale?

Sì, sì. Probabilmente ci sarà pure qualcuno che almeno per il momento non avrà fatto salti di gioia, perché sappiamo la reazione di molta gente a questi fatti di accoglienza. Però, per grazia di Dio, posso dire che indubbiamente la nostra comunità sta rispondendo bene. La loro disponibilità mi ha molto incoraggiato. Se ho potuto dire di sì agli amici della Caritas è perché c’era un gruppo di persone che ha ben risposto al progetto.

Ci sono concretamente prospettive future?

Il progetto prevede che l’accoglienza duri sei mesi. Poi prevede che queste persone acquisiscano una certa autonomia e siano in grado di cercarsi un lavoro. Naturalmente è una prima esperienza. Ma l’obiettivo, come dice l’ultimo verbo dell’acronimo, è l’integrazione. Quindi siamo in cammino verso questo obiettivo: che la persona sia in grado di rimettersi sulle proprie gambe e abbia una vita piena. È importante che questa accoglienza che stiamo dando alla fine si trasformi in risorsa, in opportunità, per la comunità stessa. Questa esperienza è davvero una finestra sul mondo. Se c’è un pericolo che rischia di ritorcersi contro la Chiesa stessa è il pericolo della chiusura. Parrocchie chiuse, chiese chiuse, che non si aprono alla povertà e al bisogno rischiano di impoverirsi. In non so fino a che punto siamo noi ad aiutare loro o sono loro arricchirci.

Intervista a cura di Giovanni Capurso