Cinquant’anni fa, papa Paolo VI promulgava in forma di Motu Proprio la Lettera Apostolica Mysterii Paschalis nella quale affermava che «la celebrazione del mistero pasquale, secondo l’insegnamento del Concilio Vaticano II, costituisce il momento privilegiato del culto cristiano nel suo sviluppo quotidiano, settimanale ed annuale». Questa centralità, posta in evidenza nel magistero conciliare e post conciliare, costituisce l’identità propria della vita cristiana.
Tutti gli anni la Chiesa ripropone i riti della Settimana Santa non solo per orientarci verso il loro significato storico o morale quanto per farci entrare nel clima misterico-salvifico delle celebrazioni, fino a diventarne parte in causa. In questa luce la Settimana Santa rappresenta un momento decisivo per noi: condotti dallo Spirito in un itinerario liturgico-misterico, siamo invitati ad aprire la porta del cuore al Crocifisso-Risorto che viene a far Pasqua con gli uomini e le donne di oggi. Con tale disposizione interiore ricondurremo alla nostra immaginazione e al nostro affetto il viaggio che Gesù ha compiuto verso Gerusalemme in mezzo a quell’umanità che ancora cammina nel mondo e continua a chiedere, a soffrire, a sperare. Prima dei nostri sentimenti cercheremo i suoi, quelli di Gesù. Entreremo nei suoi stati d’animo, nei suoi pensieri, nelle sue domande, nel suo divino abbandono. E solo dopo aver contemplato Gesù nei giorni della sua Pasqua, riceveremo la luce necessaria per imparare a leggere dentro la cosa più bella e più importante che abbiamo, che è la nostra vita, il futuro nuovo che ci è stato aperto. Ricomprenderemo finalmente la grazia di Dio nei nostri riguardi e apprezzeremo quanto Egli ha fatto per noi, nonostante i nostri peccati.
Il personaggio che ha vissuto più da vicino il mistero del Salvatore e che meglio ci può aiutare nella contemplazione dell’evento che ha segnato per sempre la storia dell’umanità è Giovanni, il discepolo che Gesù amava. Egli, vivendo l’intimità con il Maestro nella Cena, lo ha seguito nel dramma della passione e ha condiviso l’oscurità della croce. Questa comunione con Gesù lo ha portato a correre verso la tomba vuota e a credere in Lui, fino a fare la professione di fede sul lago di Tiberiade esclamando: «È il Signore». La sua testimonianza ci consegna uno stile di vita pasquale che scaturisce dalla consapevolezza che «la morte è il nostro limite, ma Dio è il limite della morte» (K. Barth) e cresce con la certezza che «il Risorto fa della vita una festa continua» (S. Atanasio).
di Pietro Rubini